Contrappunti/ Siamo degli idioti

Contrappunti/ Siamo degli idioti

di Massimo Mantellini - Lo siamo tutti. Convinti di navigare nell'oceano stiamo invece nella vasca da bagno. Qualcosa ci smuove, come la battaglia del timbrificio Armani ma, in verità, non ci interessa guardare oltre il bordo della vasca
di Massimo Mantellini - Lo siamo tutti. Convinti di navigare nell'oceano stiamo invece nella vasca da bagno. Qualcosa ci smuove, come la battaglia del timbrificio Armani ma, in verità, non ci interessa guardare oltre il bordo della vasca


Roma – Siamo degli idioti. Tutte le volte che leggo notizie come quella sugli ultimi sviluppi della ormai annosa battaglia di domini fra Giorgio Armani e Luca Armani non riesco a non pensare che tutti noi siamo degli idioti. Per la precisione qualche milione di idioti.

Quando mi do e vi do dell’idiota non alludo al comune epiteto gergale ma alla radice greca della parola. Ho aperto un vocabolario per trovarla e recita così:
Dal greco Idiotes , “persona privata, semplice cittadino, quindi inesperto ignorante zotico.”

La nostra caratura di idioti da quando esiste Internet è aumentata in maniera formidabile. Da dietro le tastiere di questi computer fra loro collegati lo siamo, se possibile, molto più di un tempo. Magari nemmeno ce ne accorgiamo. Se volessi rincarare la dose forse potrei dire che in Italia lo siamo ancora più che altrove. Idioti alla ennesima potenza.

In una Internet collegata, fisicamente coesa da giganteschi fasci di bit siamo soli, inesperti , ignoranti e privati cittadini. Incapaci di qualsiasi tipo di azione comune. E’ questo dunque il ritratto di una straordinaria debolezza. Possedere fra le mani uno strumento tanto potente e usarlo in maniera così sciocca ed egoista. Come scavare un tunnel sotto una montagna per farci passare attraverso le biglie dei nostri giochi da spiaggia. A turno, in silenzio. Ognuno con le proprie palline.

Le nostre comunicazioni in rete sono controllate da soggetti terzi. Ogni giorno di più. Dicono sia per il nostro bene. Nel nostro calendario è ormai ogni giorno il giorno dopo l’undici settembre. La nostra privacy ridicolizzata da ragioni di polizia e (assai più spesso) di marketing, le nostre comunicazioni di posta elettronica intasate da messaggi non richiesti. I nostri spazi di confronto sottoposti a tentativi di normalizzazione, i siti web incanalati dentro assurde normative professionali. L’espressione del pensiero negli spazi elettronici sottoposta ormai con costante regolarità al delirio querulomane dei soggetti più vari. O di quelli più potenti che non devono pagarsi un avvocato perchè di avvocati ne stipendiano già a sufficienza. Le normative sui brevetti e sui marchi o le licenze di utilizzo del software o la possibilità di disporre legittimamente del pubblico dominio o di quanto si acquista, ogni giorno sottoposte a nuove più stringenti normative. Potenti lobby si scrivono da sole i testi da approvare in Parlamento e poveri politici interessati, o semplicemente assenti, le firmano. E noi qui, sempre da soli, dietro questi PC nell’illusione di essere finalmente all’interno di un sistema di comunicazione liberato dai flussi soliti dei vecchi media. La rivoluzione di Internet.

Ma quando mai.

Paghiamo prima per reati di pirateria informatica che magari non commetteremo. Ci è stato detto che è l’unica maniera per far quadrare i conti. Versiamo il nostro obolo quando acquistiamo un substrato di archiviazione. Tranne poi essere eventualmente perseguiti per le medesime ragioni che giustificano la tassa. Che abbiamo dodici anni o si sia ormai canuti settantenni. La legge non ammette distinzioni. E il dio denaro ancor meno. Perchè i bit scambiati in rete non sono quasi mai di quelli consentiti. E noi siamo quindi dei ladri. Senza troppi giri di parole. Siamo ladri anche se cantiamo “Buon Compleanno” ad una cena in un ristorante senza aver pagato le dovute royalties. Ladri senza sensi di colpa ma ladri. Magari col vestito della festa e il sorriso sulle labbra.

Idioti quindi. Semplici cittadini, ignoranti , perchè non consci dei nostri diritti e incapaci di percepire il controllo che li avvolge. E svogliati quando si tratterebbe di opporsi ai troppi che ci tirano elettronicamente la giacchetta. Così che la nostra misera giacchetta è ormai ridotta uno straccio impresentabile.

La Internet italiana ha ormai dieci anni e non esiste una sola seria associazione che tuteli gli interessi dei suoi utenti. Nessuna che ne dia una seppur minima numerica rappresentanza ogni qualvolta i controllori di Internet rivoltano Internet a loro piacimento. Ci sono stati, negli anni, esperimenti fallimentari in questo senso. Falliti perchè tutti noi siamo stati incapaci di animarli. Persone troppo private per capirne l’importanza. Zotici . Poi esistono le associazioni finte (inutile far nomi, basta una occhiata per riconoscerle) o le associazioni generiche dei consumatori dai nomi che conosciamo. Gente che non sa nulla dei grandi problemi della rete. Capaci di chiedere ingenuamente alla Procura di Roma la chiusura di rotten.com, come fece una di queste qualche tempo fa, ma del tutto inadatte a comprendere il nuovo universo digitale e le sue mille trappole.

Siamo seduti su di uno strumento di aggregazione potentissimo, incapaci di percepirne le possibilità. Magari impegnati, come facciamo da troppi anni, a cianciare di libertà digitali e diritto alla libera espressione del pensiero. Meglio se in un contraddittorio con i soliti noti che ci dicono che no, Internet è un pericolo per i nostri figli, e le chat, e la pedofilia e i terroristi che nascondono messaggi in codice dentro le foto porno e tutto il resto. Solite questioni. Pensieri piccoli, parziali, incapaci di descrivere il tutto.

Siamo persone private, semplici cittadini, zotici e ignoranti . Crediamo di navigare fra le onde dell’oceano e invece galleggiamo nella vasca da bagno di casa nostra. Di quello che accade di là dal bordo non sappiamo nulla. E soprattutto – quello che è peggio – non ci interessa. A meno che un giudice condanni il proprietario di un piccolo timbrificio a rifondere le spese legali ad uno degli uomini più ricchi del paese. Uno con il suo stesso identico cognome. Piccole storie in grado di smuoverci per qualche minuto e di farci pensare come potrebbe essere se davvero qualche decina di migliaia di persone fosse in grado di impegnare una piccola parte delle proprie energie per qualche buona causa come questa. Ma è inutile illudersi: tutto cio’ non accade e ognuno di noi se ne sta a mollo nella propria vasca, in attesa che qualcuno fra i tanti pretendenti venga a togliere il tappo. Ed allora di tutti i nostri sogni non resterà – e tocca dirlo, “finalmente” – più nulla. Magari non è la maniera migliore per chiudere un anno. Oppure forse sì. Siamo degli idioti. Buon anno a tutti.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
23 dic 2003
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