L'FBI scova la faccia del fuggitivo

L'FBI scova la faccia del fuggitivo

Un caso risolto a distanza di oltre 10 anni grazie alla tecnologia. Tutto merito dei nuovi database per il riconoscimento dei volti. Impiegati anche a Boston per monitorare la folla
Un caso risolto a distanza di oltre 10 anni grazie alla tecnologia. Tutto merito dei nuovi database per il riconoscimento dei volti. Impiegati anche a Boston per monitorare la folla

Neil Stammer aveva fatto perdere le sue tracce nel 2000, dopo un arresto in New Mexico con pesanti accuse relative a rapimento e abuso sui minori: 14 anni dopo , l’FBI l’ha scovato in Nepal dove si nascondeva sotto falso nome e lavorava come insegnante. La cattura è tutto merito di un nuovo software in dotazione alle agenzie federali: con milioni di volti nel suo database, il programma è in grado di confrontare immagini nuove e vecchie alla ricerca di soggetti interessanti per le forze dell’ordine, proprio come è successo in questo caso.

La cattura di Stammer si era rivelata una bella gatta da pelare: da giovane aveva viaggiato molto e vissuto in Europa per molti anni, mantenendosi grazie alle sue doti di giocoliere ed esibendosi come artista di strada. In questo modo aveva imparato a leggere e parlare in almeno una dozzina di lingue , rendendolo un soggetto capace di nascondersi con successo in molti posti al mondo: rilasciato su cauzione, aveva fatto perdere le sue tracce e non era stato possibile per l’FBI venire a capo della situazione. Dopo ormai molti anni le piste battute si erano raffreddate e il caso era finito sotto una pila di altri fascicoli di altri fuggitivi. La svolta è arrivata solo quest’anno , quando il nuovo database per il riconoscimento facciale è entrato definitivamente in funzione e le agenzie federali che vi hanno accesso hanno iniziato a usarlo.

Un membro del servizio di sicurezza del corpo diplomatico, di stanza in Nepal, ha iniziato a confrontare le facce contenute nella lista dei ricercati dell’FBI con le immagini in suo possesso relative ai cittadini passati in ambasciata. Stammer si recava regolarmente presso la rappresentanza USA in Nepal, allo scopo di farsi rinnovare il visto con il quale viveva da tempo nel paese asiatico schiacciato tra Cina e India: il suo passaporto associava la sua foto a un nome falso, Kevin John Hodges, ma il viso era rimasto esattamente lo stesso. Il software ha subito individuato una corrispondenza, e a quel punto l’agente del Diplomatic Security Service (DSS) ha fiutato una possibile truffa e contattato l’FBI. La collaborazione tra Stati Uniti e Nepal, che non hanno accordi di estradizione, ha poi permesso di prelevare Stammer e riportarlo negli USA per sottoporlo al processo da cui era fuggito quasi 15 anni fa.

Il caso ha messo in luce uno dei potenziali vantaggi dei meccanismi di riconoscimento facciale: in questa occasione una serie di circostanze favorevoli, a cominciare dalle foto segnaletiche di Stammer abbinate alle foto molto simili da apporre sul passaporto, hanno consentito di rintracciarlo e assicurarlo alla giustizia. Nel suo caso c’era in ballo un reato, e la diligenza del personale d’ambasciata ha permesso di incrociare le informazioni e arrestarlo. Certo il riconoscimento facciale ha ancora dei limiti , anche se sarebbe sbagliato pensare che il suo funzionamento sia circoscritto a pochi casi ideali: prova ne sia la sperimentazione portata avanti dalla Polizia di Boston , che un blog locale ha pescato a condurre un programma di monitoraggio e tracciamento dei volti sistematico nel corso di un festival svoltosi lo scorso anno nella città del Massachusetts.

Migliaia di foto, ore e ore di video, sono state scovate in Rete liberamente accessibili : i documenti ad esse allegati dimostrano come il software utilizzato permetta di individuare gruppi di persone distinguibili per colore della pelle, altezza, vestiti, seguendo un singolo soggetto da una ripresa all’altra come in una pellicola hollywoodiana. La Polizia di Boston nega di aver preso parte alla sperimentazione, pur ammettendo di aver partecipato ad alcuni programmi pilota in merito: le indagini del blog dig Boston , che ha portato in luce la faccenda, portano a credere che nessuno del pubblico presente al festival fosse informato della questione. Di sicuro le autorità di Boston sono molto sensibili al problema del controllo delle folle, dopo il terribile attentato alla Maratona della città avvenuto proprio nel 2013: l’ opinione di dig Boston , però, è che l’amministrazione cittadina abbia fatto il passo più lungo della gamba, mettendo in piedi un sistema draconiano di tecnocontrollo a spese dei cittadini. Un sistema potenzialmente molto dannoso per la privacy, e con scarse dimostrazioni di effettiva capacità di contribuire realmente alla prevenzione di reati violenti o alla risoluzione delle indagini.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
19 ago 2014
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