Australia, l'antipirateria per forza

Australia, l'antipirateria per forza

Dopo anni di confronti e proposte, i detentori dei diritti e gli ISP hanno trovato un accordo. Si prevedono avvertimenti senza conseguenze certe, e solo per coloro che abusino del P2P
Dopo anni di confronti e proposte, i detentori dei diritti e gli ISP hanno trovato un accordo. Si prevedono avvertimenti senza conseguenze certe, e solo per coloro che abusino del P2P

Industria dei contenuti e fornitori di connettività sono stati costretti a confrontarsi, ciascuno con le proprie esigenze: da un lato i detentori dei diritti e la necessità di soffocare le tendenze pirata dei cittadini della Rete australiana per convertirli al mercato legale, dall’altra i fornitori di connettività, restii ad inimicarti i loro utenti. Ne emerso un sistema di avvertimenti modellato sullo schema francese e sui suoi emuli: privo di misure deterrenti per l’indirizzo IP recidivo, se non quella dell’identificazione mediata da un tribunale.

L’Australia sta tentando da anni di affrontare la pirateria: da anni industria dei contenuti e ISP negoziano, propongono soluzioni, che puntualmente naufragano nei disaccordi. È stato il governo ad imporre una svolta, sotto la minaccia di una presa di posizione di stampo legislativo: costretti all’autoregolamentazione, gli attori del mercato hanno elaborato un nuovo codice di condotta , ora pubblicato dalla Communications Alliance , che rappresenta i fornitori di connettività.

Consiste nella replica di un modello ormai affermato in numerosi paesi del mondo, dagli USA al Regno Unito , elaborato alla luce dei risultati e delle tare dello schema di risposta graduale francese, che negli anni ha rinunciato alle disconnessioni per puntare sulle semplici ammonizioni .

L’Australia sceglie dunque di articolare in tre movimenti la propria strategia, che si applicherà ai soli utenti di connessioni fisse. Saranno i detentori dei diritti a rastrellare indirizzi IP presso le reti del file sharing con strumenti che si dovranno dimostrare adeguati e a sottoporli ad una istituzione denominata Copyright Information Panel (CIP), e composta da due rappresentanti degli ISP, due dei detentori dei diritti, uno delle associazioni dei consumatori, che si occuperà anche di relazionarsi con gli utenti. Il fornitore di connettitività diramerà gli avvertimenti: il primo monito conterrà una descrizione puntuale della violazione commessa dall’indirizzo IP, il monito rispetto a potenziali azioni legali, la raccomandazione al consumo legale. La seconda segnalazione avrà un tono più incisivo, ma non innescherà alcun procedimento. È solo con la terza violazione e il terzo avvertimento nel giro di 12 mesi che l’indirizzo IP potrebbe assumere un’identità per i detentori dei diritti: potranno rivolgersi a un tribunale per chiamare gli ISP a collaborare per fornire il nome dell’abbonato che si intenda denunciare.

Scoccato il terzo avvertimento, anche l’intestatario dell’abbonamento potrà agire: per 25 dollari australiani potrà chiedere al CIP una verifica del proprio caso, denaro che verrà rimborsato nel caso si accerti sia stato accusato ingiustamente.
Nessuna punizione prestabilita attende il cittadino della Rete: eventuali sanzioni saranno eventualmente decise dai tribunali, qualora si scelga la via del processo, e c’è qualcuno che teme che le disconnessioni non siano state del tutto accantonate.

Sul fronte dei costi, nel codice si specifica che un fornitore di connettività avrà il diritto di non agire su una segnalazione qualora il detentore dei diritti non si sia fatto carico delle spese, ma ulteriori dettagli sono ancora da definire. Il documento proposto in Australia dovrà sottoporsi a consultazione e subirà aggiustamenti prima di essere implementato per contrastare l’abuso delle tecnologie P2P.
In attesa della reazione dell’Australia, la pirateria potrebbe assumere forme ancora diverse .

Gaia Bottà

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Pubblicato il
27 feb 2015
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