Belgio, no alla tassa sulla pirateria

Belgio, no alla tassa sulla pirateria

La collecting society SABAM avrebbe voluto imporre agli ISP il pagamento di un compenso per rimediare alle violazioni del copyright perpetrate dai netizen. Bruxelles ha detto no
La collecting society SABAM avrebbe voluto imporre agli ISP il pagamento di un compenso per rimediare alle violazioni del copyright perpetrate dai netizen. Bruxelles ha detto no

I fornitori di connettività non sono emittenti, non costruiscono il loro business sui contenuti che gli utenti possono ottenere online: la giustizia del Belgio ha così negato alla collecting society SABAM la possibilità di rivendicare dai provider una sorta di tassa sulla pirateria, atta a compensare i detentori dei diritti per i contenuti di cui i cittadini della Rete fruiscono illegalmente con la mediazione della Rete.

SABAM, che da anni meditava su come coinvolgere i provider nella lotta alla pirateria, nel 2013 aveva sporto denuncia nei confronti di Belgacom, Telenet e Voo: sosteneva che i fornitori di connettività lucrassero sull’abuso del copyright online dei loro utenti e per questo dovessero corrispondere ai detentori dei diritti una percentuale del loro fatturato. SABAM aveva addirittura calcolato il valore di questa sorta di equo compenso , atto però a compensare i detentori dei diritti per le attività illegali dei netizen: i danni arrecati dalla pirateria online che i provider avrebbero agevolato per aver mancato di introdurre misure di contenimento abbastanza repressive, sarebbe stata compensata con il versamento del 3,4 per cento del totale incassato con gli abbonamenti degli utenti.

I provider avevano reagito sottolineando l’iniquità di una misura fondata su stime aleatorie, una misura capace di riversarsi inevitabilemnte e indiscriminatamente sui cittadini della Rete, che verosimilmente avrebbero dovbuto farsi carico del costo aggiuntivo per la fornitura dei servizi, indipendentemente dal fatto che abusassero del diritto d’autore in Rete. Anche le autorità statali erano intervenute per intimare a SABAM di deporre la denuncia: non ci sarebbe stato modo di dimostrare che i provider ricoprissero un ruolo diverso da quello di neutri intermediari, fornitori della connettività che i netizen scelgono di sfruttare come più loro aggrada.

Se l’intervento del governo non ha spinto SABAM a desistere, forse può farlo le decisione del giudice di Bruxelles che ha ora decretato l’illegittimità delle richieste della collecting society: in quanto svolgono un’ attività di mere conduit , e non sono responsabili di vigilare sul traffico generato dagli utenti, ha stabilito il tribunale, i fornitori di connettività non esercitano alcuna forma di comunicazione al pubblico su cui la collecting society può rivendicare delle royalty.

SABAM non ha accettato pacificamente la decisione, chiamando in causa la propria interpretazione dell’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: la collecting society belga sostiene che la giurisprudenza europea ritenga dirimente l’aspetto del lucro nel determinare la corresponsione di un compenso agli autori vittime di abuso. Quello che SABAM non cita, invece, è il parere della Corte di Giustizia del’Unione Europea nel caso che l’ha vista opposta al provider Scarlet: le autorità europee hanno giudicato il sistema di filtraggio che SABAM avrebbe voluto imporre ai provider, rendendoli responsabili delle attività online dei loro utenti, incompatibile con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Gaia Bottà

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Pubblicato il 18 mar 2015
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