Copyright, Grooveshark si inabissa

Copyright, Grooveshark si inabissa

La piattaforma avrebbe voluto proporsi sul mercato legale dello streaming musicale nonostante le pratiche illecite in cui affondava le proprie radici. Ora ha ceduto alle rivendicazioni delle major
La piattaforma avrebbe voluto proporsi sul mercato legale dello streaming musicale nonostante le pratiche illecite in cui affondava le proprie radici. Ora ha ceduto alle rivendicazioni delle major

Aveva tentato di irrompere nel mercato della musica con un catalogo di brani alimentato dagli utenti, confidava nel fatto che le major non avrebbero esitato a concedere le licenze dal caso per trasformarlo in un business legale, messe di fronte al fatto compiuto e a una platea di utenti da monetizzare: Grooveshark, il servizio di streaming che le etichette hanno denunciato nel 2011, dopo il tentativo parzialmente riuscito di convertirsi in una piattaforma lecita, ha ora chiuso i battenti.

Lanciata nel 2006 sulla base di un modello P2P e affidando agli utenti il compito di condividere musica a favore di tutti, la piattaforma aveva tentato di proporsi alle etichette con accordi di licensing. Tentativi che non le hanno mai davvero consentito di guadagnarsi la fiducia dell’industria musicale, nonostante una partnership con Sony e una revisione della propria offerta che avrebbe potuto mettere a frutto il favore degli inserzionisti e la propria platea, che ha raggiunto picchi di 35 milioni di utenti mensili. La denuncia di Universal del 2011, a cui hanno preso parte anche Warner e la stessa Sony Music, ha aperto una serie di confronti presso la giustizia statunitense, da cui sono emersi i dettagli di certe strategie adottate da Escape Media, gestore del servizio: Grooveshark è cresciuto con i caricamenti dei propri dipendenti, che consapevolmente, e sotto la minaccia dei propri datori di lavoro, alimentavano la piattaforma con brani caricati senza l’autorizzazione dei detentori dei diritti.

Il destino di Grooveshark e di Escape Media si sarebbe dovuto delineare in questi giorni, con l’avvio della fase finale del processo: prima del dibattimento in aula, il giudice aveva ricordato che si sarebbe dovuto discutere di 4907 brani caricati in violazione del copyright, per ciascuno dei quali si sarebbe potuto fissare un risarcimento massimo di 150mila dollari, fino ad una somma di 736.050.000 dollari .
Le parti hanno ora negoziato un accordo stragiudiziale: Grooveshark ha scelto la resa .

I responsabili della piattaforma, si legge nel documento che ha sancito l’accordo, si sono impegnati a versare alle etichette una somma di 50 milioni di dollari a titolo di risarcimento , a chiudere la piattaforma e a fare pubblica ammenda. RIAA ha celebrato la fine di Grooveshark come “l’esaurimento di una delle maggiori fonti di attività illegale”.

“Abbiamo cominciato quasi dieci anni fa con l’obiettivo di aiutare gli appassionati a condividere e scoprire musica – si legge ora sulla home page del sito, epurato da tutti i servizi e dai tutti i brani musicali e ceduto alle etichette – Ma nonostante le nostre migliori intenzioni, abbiamo commesso degli errori davvero gravi. Non ci siamo assicurati le licenze da coloro che detengono i diritti sulla grande quantità di musica ospitata sul servizio.” Grooveshark riconosce che lo scenario è cambiato, che ora gli utenti possono approfittare di offerte che ricalcano quella che Grooveshark mirava a proporre, servizi che si sono fatti largo dando vita a un mercato legale della musica in streaming con strategie lecite che li hanno saputi premiare.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
4 mag 2015
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