Europa, di che vive la pirateria?

Europa, di che vive la pirateria?

Uno studio commissionato dall'industria dei video esplora il business dei siti che lucrano sulle violazioni del diritto d'autore. Per convincere la politica e gli operatori dell'advertising e delle transazioni a fare terra bruciata
Uno studio commissionato dall'industria dei video esplora il business dei siti che lucrano sulle violazioni del diritto d'autore. Per convincere la politica e gli operatori dell'advertising e delle transazioni a fare terra bruciata

La pubblicità è la principale fonte di sostentamento del business pirata, pubblicità che spesso trae in inganno gli utenti disseminando software malevolo, sa tentarli con le lusinghe del gioco d’azzardo e irretirli con la promessa di pornografia. È questo il quadro tracciato dallo studio dal titolo The Revenue sources for websites making available copyright content without consent in the EU : commissionato da Motion Picture Association (MPA) e condotto da Incopro, è volto a scuotere visitatori e inserzionisti per incoraggiarli a non alimentare la catena del valore delle violazioni del diritto d’autore operate su larga scala, a fini di lucro.

Ricalcando le analisi dedicate dall’associazione Digital Citizens Alliance prima al mercato dell’advertising su siti pirata poi alle dinamiche degli abbonamenti , lo studio di Incopro indaga tutte le fonti di guadagno dei siti che “violano il copyright o facilitano la violazione del copyright (consapevolmente e inconsapevolmente), mettendo a disposizione del pubblico film e programmi televisivi senza la licenza o l’autorizzazione dei detentori dei diritti”. La ricerca si basa su dati raccolti per i 250 siti pirata più utilizzati in Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito , e anche in questo caso sembra configurarsi come un documento da presentare come testimonianza di fronte alle autorità, su cui l’industria di settore potrà incardinare le proprie strategie antipirateria, così come avvenuto per i citatissimi report stilati dall’associazione statunitense.

Incopro per il proprio studio nel settembre 2014 ha preso in esame 622 siti che si sono ritenuti operare in violazione della legge sul diritto d’autore per avere messo a disposizione film e programmi tv, da 1337x.to a zonadicto.org , passando per Mega, piattaforma in passato indignata per essere stata inclusa in questo genere di studi (nell’analisi di Incopro si specifica che la piattaforma possa ritenersi inconsapevole delle violazioni commesse dai propri utenti).
550 di questi siti ospitano pubblicità e 142 incoraggiano qualche tipo di pagamento: sono 122 siti a guadagnare con entrambe le modalità. Se 52 siti operano senza il supporto di pubblicità o transazioni con gli utenti, lo studio fa rilevare che 91,6 per cento dei siti presi in esame può contare su almeno una fonte di guadagno .
I ricercatori hanno poi selezionato i 250 più popolari per ciascuno dei paesi oggetto di analisi, sulla base di elaborazione di dati Alexa.

Fonti di guadagno per stato

L’ advertising , soprattutto per i siti più popolari in Italia e Francia, risulta la fonte di sostentamento scelta a maggioranza dagli operatori, mentre solo una minima parte dei siti si propone a pagamento, senza il supporto della pubblicità.

I siti esaminati sono poi stati classificati in tre categorie: servizi di hosting o cyberlocker , siti che propongono link a materiale condiviso in violazione del copyright su siti terzi, portali che indirizzino a reti P2P su cui materialmente avviene lo scambio dei file.

Fonti di guadagno per categoria

I servizi di hosting, anche in virtù della loro funzione potenzialmente utile a fini legali, nonché sulla base di modelli di business freemium, sono quelli che più si affidano alle transazioni. I siti che ospitano link e i portali che si appoggiano a reti P2P, invece, guadagnano principalmente dall’advertising: basta la pubblicità a mettere a frutto il numero sensibilmente maggiore degli utenti che li frequentano.

Lo studio si spinge poi ad analizzare il complesso sistema di distribuzione dell’advertising, prendendo in considerazione gli intermediari che contribuiscono a fornire la pubblicità ai siti presi in esame: AdCash, PropellerAds/OnClickAds2, DirectREV e Matomy Market si rivelano essere gli intermediari pubblicitari più ricorrenti. Per quanto riguarda le categorie di advertising disseminate sui siti presi in esame, Incopro osserva una consistente percentuale costituita da quelli che vengono definiti Trick button/Malware , quasi un terzo del totale: si tratta di banner che nascondono la loro natura pubblicitaria, ma soprattutto occultano le loro intenzioni malevole , cercando di catturare clic che si trasformino in download di software indesiderabile. Il 18,1 per cento dell’advertising afferisce invece alla categoria gambling , mentre il 10,4 per cento alla categoria adult : segue la categoria gaming , che rappresenta il 10 per cento del totale. Non mancano nemmeno inserzionisti classificabili in altre categorie, fra cui brand noti, che potrebbero figurare inconsapevolmente fra le pagine dei siti analizzati nello studio. Se, come avvenuto nel contesto italiano, alcuni attori di settore si sono già impegnati a sganciarsi dal business dei siti che lucrano sui contenuti altrui, a favore della propria reputazione e di quella degli inserzionisti, è improbabile che tutti gli intermediari dell’advertising scelgano di cooperare a supporto dell’industria dei contenuti: Incopro, a tale proposito, suggerisce di coinvolgere le CDN proponendo di collaborare nell’interrompere la fornitura materiale degli ad ai siti che operano nell’illecito.

La seconda fonte di introiti per i siti del sottobosco pirata sono i pagamenti degli utenti : pagano per accessi premium, per abbattere limiti di banda, per scansare l’advertising. Incopro individua diversi modelli per la gestione dei pagamenti, che poggiano sull’infrastruttura del sito stesso o si servono di intermediari.

Modelli transazioni

In ogni caso, lo studio suggerisce di nuovo l’idea di coinvolgere i soggetti che si occupano di gestire le transazioni: PayPal ha già spesso preso posizione negandosi a servizi ritenuti sospetti, e anche la politica europea e statunitense da tempo esercita pressione su soggetti come Visa e Mastercard, che nell’insieme sono soluzioni scelte da oltre il 40 per cento dei 30 siti selezionati dai ricercatori.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
11 mag 2015
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