Open source, rapporto sull'Italia

Open source, rapporto sull'Italia

Lo preparano gli esperti di Ware.it che lo presenteranno a Roma il 25 febbraio. Le competenze e le imprese focalizzate sul software a codice aperto si moltiplicano sul territorio mentre cresce anche il mercato di riferimento
Lo preparano gli esperti di Ware.it che lo presenteranno a Roma il 25 febbraio. Le competenze e le imprese focalizzate sul software a codice aperto si moltiplicano sul territorio mentre cresce anche il mercato di riferimento


Roma – Sono circa 200 le realtà imprenditoriali sparse sul territorio italiano e dedicate sostanzialmente all’open source. Ad affermarlo è il primo rapporto sul codice aperto in Italia realizzato da Ware.it , un rapporto che sarà presentato presso la sede del Censis a Roma il prossimo 25 febbraio.

Il rapporto, PMI, Hacker e Ricerca: la via italiana all’open source , registra la diffusione di piccolissime o piccole realtà aziendali di settore non solo nei grandi centri (Milano 29, Roma 23 e Torino 20) ma anche in città medio-piccole, dove queste imprese “stanno dando vita – si legge in una nota – a nuovi modelli reticolari di collaborazione di tipo distrettuale”.

A Pisa, Bologna, Padova e altrove, dunque, a trainare quella che viene definita “l’accumulazione di competenze” sono le università e i centri di ricerca nonché forme di autonomia e autoformazione che seguono “una logica tipicamente hacker”. Nell’insieme, sono queste le realtà che danno impulso alle nuove imprese di settore.

Secondo Ware.it in Italia il numero di sviluppatori open source va aumentando al punto che dopo Francia, Germania e Stati Uniti, proprio in Italia si trova il maggior numero di developer, circa il 7,8 per cento del totale dei programmatori open source nel mondo.

“Il nuovo sostrato professionale e imprenditoriale – continua la nota di presentazione del rapporto – non rappresenta ancora una vera e propria industria nazionale di produzione di software , ma appare sostanzialmente già in grado di avviare un processo di sviluppo tecnologico originale e offrire quindi una nuova prospettiva di attività all’IT italiano che dischiuda finalmente la possibilità di far superare al paese la condizione di protoinformatizzazione che lo caratterizza da decenni”.

Da segnalare, in questo senso, secondo gli autori del rapporto, come “a fronte della forte presenza di progettisti e programmatori software italiani nel mondo, i prodotti software open source sviluppati a livello mondiale anche in linguaggio naturale italiano sono poco meno dell’1 per cento (contro il 7,7 per cento dei software presenti in tedesco ed il 4,7 in lingua francese e a fronte di una larga maggioranza di software esistenti in inglese)”.

Ware.it auspica quindi un maggiore impulso anche istituzionale all’open source, partendo dalla pubblica amministrazione. In questo senso la posizione già espressa dal Governo “pur segnando una novità rispetto alle strategie dei precedenti governi del paese, non appare in grado di incidere in modo effettivo sulla domanda pubblica e cioè di indirizzare le scelte delle PA verso i software a codice aperto anche a vantaggio di una nascente industria nazionale”.

“Per avviare un processo di sviluppo – conclude la nota – occorre un atto di indirizzo politico più forte collegato ad un preciso obiettivo nazionale che vada esplicitamente a sostegno di una nascente industria del software a codice aperto”.

L’indagine completa è pubblicata su http://free.ware.it

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Pubblicato il
10 feb 2004
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