Google: un contenuto non fa un sito pirata

Google: un contenuto non fa un sito pirata

Mountain View si oppone alle richieste di deindicizzazione che colpiscano interi domini: è censura, e per di più inefficace. La proposta di legge SOPA fa parte del passato, nonostante le pressioni per riesumarla siano sempre più forti
Mountain View si oppone alle richieste di deindicizzazione che colpiscano interi domini: è censura, e per di più inefficace. La proposta di legge SOPA fa parte del passato, nonostante le pressioni per riesumarla siano sempre più forti

Google, nel contribuire alla causa dei detentori dei diritti con il proprio motore di ricerca, ha la possibilità di deindicizzare dei link che puntano ai singoli contenuti pirata, rendendo dunque i singoli contenuti meno accessibili ai propri utenti: non ci sarebbe dunque motivo di intervenire sugli interi domini, se non quello di accontentare un’industria che, più che limitarsi a tutelare i propri diritti, ha ingaggiato una battaglia a colpi di visibilità contro la concorrenza del sommerso.

Da tempo i colossi dei contenuti chiedono agli attori privati la massima collaborazione: lo hanno fatto incoraggiando proposte di legge come SOPA, che prevedeva di trasformare tutti gli intermediari della Rete in braccia armate dell’industria dell’intrattenimento in funzione antipirateria, e continuano ad esercitare pressioni su stato e mercato, dal momento che SOPA è stata archiviata. La prospettiva di ottenere la collaborazione di soggetti come i fornitori di connettività e l’industria dei domini, oltre a zavorrare gli intermediari di responsabilità , reca con sé delle naturali difficoltà tecniche : chiedere a un ISP (come prevede fra l’altro il Regolamento AGCOM), a un registrar o a un fornitore di servizi CDN di intervenire su una violazione significa inevitabilmente colpire l’intero sito , che è possibile ospiti anche materiale perfettamente legale.

Nel momento in cui Google si rende disponibile a collaborare con le deindicizzazioni dal proprio motore di ricerca, però, la situazione è più semplice: individuato un link che punti a un contenuto che violi il diritto d’autore è possibile agire chirurgicamente , senza intaccare la visibilità delle porzioni legittime del sito che lo ospita, senza che Mountain View si assuma la responsabilità di coinvolgere contenuti che il detentore dei diritti non ha provveduto a rivendicare.

Ma l’industria dei contenuti non sempre mostra di apprezzare la precisione con cui opera Google: le segnalazioni relative alle home page dei siti si sprecano , e da quello che può apparire un sintomo di pigrizia traspare l’intento di stiracchiare le regole del notice and takedown, previste ad esempio dal DMCA statunitense ma di fatto applicate anche in Italia , che prescrivono segnalazioni necessariamente circostanziate . Un intento ormai perseguito apertamente, spiega la stessa Mountain View in un vasto documento indirizzato allo United States Intellectual Property Enforcement Coordinator in cui traccia il panorama delle proprie iniziative in materia antipirateria e fornisce qualche suggerimento alle autorità statunitensi.

“È stato proposto che le piattaforme Internet rimuovano interi siti dai risultati di ricerca, piuttosto che fare affidamento sll’identificazione di singole pagine destinate alla rimozione”, ricorda Google. E la Grande G tiene a sottolineare come questo meccanismo sia inopportuno. Le piattaforme di blogging, i social network, i servizi di hosting o i siti di e-commerce sono al servizio di centinaia di migliai di utenti, alcuni dei quali possono commettere degli abusi: agendo sull’intero sito, ad esempio con la deindicizzazione, si finisce per colpire, oltre che la piattaforma, tutti gli utenti che se ne servono per propositi leciti, rischiando di sconfinare in quella che Google non teme definire “censura”.

Google sottolinea inoltre che agire sull’intero sito, magari nell’auspicio di prevenire ulteriori violazioni, si dimostra improduttivo , oltre che azzardato: i contenuti pirata rimbalzano di piattaforma in piattaforma, e i siti che della pirateria fanno un business sanno adattarsi rapidamente , sanno traslare di mirror in mirror e di dominio in dominio, approfittando addirittura della visibilità e degli spazi vacanti creati dalle azioni repressive.

La soluzione proposta da Google resta quella di colpire la pirateria impedendole di configurarsi come un business , negando gli introiti pubblicitari e tagliando i ponti delle transazioni a singoli siti, ma senza esercitare una diretta censura, senza infierire sulla circolazione dei contenuti laddove questa non sia orientata al profitto . Un’assunzione di responsabilità incoraggiata da più parti in Europa e negli States , di cui gli intermediari sembrano progressivamente disposti a farsi carico .

Gaia Bottà

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Pubblicato il
28 ott 2015
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