Freedom House, l'età della censura

Freedom House, l'età della censura

Il rapporto mondiale sulle libertà online online avverte: sono sempre di più le ingerenze dei governi, che ora agiscono direttamente sulle aziende della Rete. L'Italia è ottava nella classifica dei paesi più liberi
Il rapporto mondiale sulle libertà online online avverte: sono sempre di più le ingerenze dei governi, che ora agiscono direttamente sulle aziende della Rete. L'Italia è ottava nella classifica dei paesi più liberi

Il rapporto annuale Freedom on the Net redatto dalla fondazione americana Freedom House ha evidenziato come il 2015 sia stato un anno nero per le libertà online.

Nonostante il dibattito sulla difesa della privacy consequente alle rivelazioni dell’ex contractor dell’NSA Edward Snowden sembrava poter causare un movimento di protesta nei confronti delle ingerenze dei Governi nazionali, Freedom House ha infatti registrato un aumento degli arresti e delle accuse in conseguenza di qualcosa scritto online: rispetto a giugno 2014 la situazione è particolarmente peggiorata in 32 dei 65 paesi presi in considerazione, addirittura precipitando in Libia, Francia ed Ucraina per motivi diversi.

A livello di metodi di pressione, lo studio ha evidenziato come i governi, piuttosto che arretrare le proprie posizioni a seguito del Datagate, abbiano accresciuto la pressione sulle aziende ITC come Google e Twitter per richiedere la rimozione di determinati contenuti, anche in casi di semplice satira nei confronti dei rispettivi leader.
L’attenzione, insomma, sarebbe traslata dai singoli utenti, diventati più esperti ed in grado di aggirare le limitazioni ad hoc, alle aziende, su cui si agisce attraverso nuove leggi e pressioni politiche più che con misure tecnologiche.

Proprio dal fronte normativo la prospettiva sembra più nera: Freedom House riferisce infatti che in 14 paesi sono state approvate leggi che istituiscono un vero e proprio sistema di sorveglianza di massa.

Invece di vere e proprie riforme per affrontare i problemi legati alla tutela della privacy ed alla sicurezza online, il sempre maggior utilizzo di Internet da parte di gruppi internazionali di terrorismo ha offerto una motivazione per adottare anche in regimi democratici strumenti di sorveglianza ancora più invasivi e regolamentazioni per la data retention molto permissive: è il caso della Francia che dopo i fatti di Charlie Hebdo e dell’Undicesimo arrondissement ha finito per stringere la vite della libertà di espressione online.

Tutto questo ha portato ad un quadro in cui il 61 per cento degli utenti Internet al mondo vive in paesi dove la critica al governo, ai militari o alle famiglie di potere è oggetto di censura online ed il 58 per cento vive dove blogger e cittadini della Rete sono stati arrestati per aver condiviso online opinioni politiche, sociali o religiose.

A livello di statistica generale, 18 paesi sono stati contrassegnati come “liberi”, 28 come “parzialmente liberi” e 19 come “non liberi”.

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La classifica , poi, non sorprende particolarmente: ai primi posti i paesi nordici (Islanda, seguita da Estonia, Canada e Germania), mentre all’ultimo posto c’è la Cina che resta il paese in cui ha meno senso parlare di libertà. D’altra parte centinaia di migliaia di persone sono impiegate dal Governo nella Grande Muraglia digitale che monitora parole e comportamenti dei netizen cinesi e fra le maglie del controllo sono finite negli anni Google, Facebook, YouTube, Twitter, Instagram e diverse altre piattaforme e siti stranieri.

Brutte notizie anche per quanto riguarda i paesi protagonisti della “cosiddetta Primavera Araba” tra il 2010 ed il 2011: secondo il rapporto gran parte di questi hanno subito una recrudescenza della censura online delle critiche ai governi. Un esempio citato dal rapporto è quello del Marocco, dove la polizia ha tenuto in galera per 3 mesi un rapper 17enne per aver criticato le autorità in un video online.

L’ Italia si trova all’ottavo posto, anche se è tra i paesi definiti per libertà di stampa “parzialmente liberi”: sono stati registrati 23 casi di limitazioni all’eccesso dei contenuti o violazioni dei diritti degli utenti. Le previsioni antiterrorismo , con le liste dei siti da bloccare e l’estensione della data retention nonostante l’ invalidazione della relativa direttiva europea, nonché i poteri di filtraggio per le violazioni del diritto d’autore in capo ad AGCOM sono menzionati nel report dedicato allo Stivale.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
2 nov 2015
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