Diritti digitali, nessuno difende gli utenti

Diritti digitali, nessuno difende gli utenti

I colossi telematici mondiali non fanno abbastanza per difendere i diritti e la privacy dei propri utenti, dalla colonna infame non si salva nemmeno Google. Ma la colpa è solo parzialmente attribuibile alle aziende
I colossi telematici mondiali non fanno abbastanza per difendere i diritti e la privacy dei propri utenti, dalla colonna infame non si salva nemmeno Google. Ma la colpa è solo parzialmente attribuibile alle aziende

Ranking Digital Rights (RDR), un progetto del think thank progressista New America con base a Washington D.C., ha rilasciato la versione 2015 del suo indice di “corporate accountability” riguardante dieci delle principali corporazioni attive online e il loro comportamento nei confronti degli utenti. Il risultato, abbastanza prevedibilmente, non è affatto positivo.

RDR ha preso in considerazione dei grandi aziende presenti su Internet e dei provider per l’accesso alla Rete telematica mondiale, scegliendo il campione in base al numero di utenti serviti, alla dimensione globale del business aziendale a altri parametri qualificanti. A colossi del calibro di Microsoft, Google, Yahoo, Facebook, Vodafone, AT&T, Etisalat, Axiata e Orange è stato quindi chiesto di illustrare le pratiche seguite per la difesa della privacy degli utenti, il modo e il tempo in cui vengono raccolti e conservati i loro dati, la pubblicazione (prima di tutto agli utenti interessati) delle richieste di accesso da parte di governi e aziende esterne, la tutela della libertà di espressione , l’ impegno al rispetto dei diritti umani.

Internet

I risultati dell’analisi di RDR non sono piacevoli da guardare, e non risparmiano nessuno: Google è l’azienda che si piazza meglio con un punteggio di 65 su 100, mentre solo cinque delle organizzazioni coinvolte superano il 50 per cento e quasi la metà ottiene meno di 25 punti.

TLC

L’analisi di RDR dimostra come non ci sia alcun vincitore , nella difesa della privacy e dei diritti digitali degli utenti di rete, anche se a parziale scusante delle aziende viene citato l’obbligo di rispettare regolamentazioni e leggi locali che entrano in conflitto con la trasparenza il diritto alla privacy di cui sopra.

Le poche, buone notizie che emergono dall’indice di RDR riguardano la presenza quantomeno di una qualche politica di gestione dei dati in tutte le aziende coinvolte, l’affermazione della trasparenza come “standard” di mercato e l’impegno di sette su dieci soggetti a migliorare la situazione. La speranza, dice RDR, è che l’indice serva come base di partenza per una discussione proficua per le aziende ma soprattutto per gli utenti e i loro diritti online.

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Pubblicato il
4 nov 2015
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