Spheres, il drone orbo che osserva e impara

Spheres, il drone orbo che osserva e impara

Sulla Stazione Spaziale Internazionale vengono sperimentati nuovi paradigmi volti a rendere il comportamento automatico dei droni più affidabile nelle future missioni
Sulla Stazione Spaziale Internazionale vengono sperimentati nuovi paradigmi volti a rendere il comportamento automatico dei droni più affidabile nelle future missioni

Nel modulo giapponese Kibo della ISS è stato compiuto un importante esperimento dall’astronauta Kimiya Yui volto a rendere il comportamento dei droni più affidabile nel caso in cui debbano operare in completa autonomia durante le missioni spaziali.

Nell’esperimento è stato utilizzato uno Spheres. Gli Spheres sono piccoli satelliti a forma di ottacaidecaedro , ovvero di poligono con 18 facce, concepiti per sperimentazioni all’interno della stazione orbitale e in grado di muoversi in microgravità sfruttando getti di anidride carbonica; sono inoltre dotati di due telecamere che consentono la visione binoculare.


L’astronauta ha fatto muovere lo Spheres nel modulo con entrambi i sensori video attivi. Attraverso l’uso di metodologie self-supervised learning l’esperienza accumulata è stata adoperata poi per consentire allo Spheres di imparare ad effettuare efficacemente azioni simili adoperando però un solo sensore: “È veramente eccitante vedere un drone che si muove nello spazio mentre impara a farlo per la prima volta sfruttando i più avanzati paradigmi dell’intelligenza artificiale” ha affermato Dario Izzo coordinatore dell’Advanced Concepts Team all’ESA.


Perché tutto questo? Immaginate di camminare in una stanza che non conoscete. Vi muovete fra i mobili senza problemi ma quando entrate in una seconda stanza della stessa casa, egualmente ignota per voi, qualcosa vi finisce in un occhio. Nonostante ciò riuscite a spostarvi ancora senza sbattere più contro nulla.
Questo “bizzarro racconto” non è poi così bislacco: gli esseri umani hanno un bagaglio di esperienze sufficiente a valutare le distanze anche in caso di visione monoculare. Siamo infatti in grado di stabilire quanto siamo lontani da un’auto o dal divano anche con una benda su un occhio, perché conosciamo le caratteristiche degli oggetti in questione. Non è però così per un automa.

“È matematicamente impossibile dedurre la distanza di un oggetto da una singola immagine se l’oggetto non è mai stato incontrato prima”, spiega Guido De Croon della Delft University of Technology. Insegnare a una macchina dotata di telecamere come muoversi in un ambiente dopo aver spento uno dei due sensori video con cui normalmente opera è una sfida con ricadute importanti sull’affidabilità generale degli automi.

Esperimenti sul movimento autonomo sono già in corso sulla Terra , ma l’esperimento di Kimiya Yui conferma che la partita si giocherà anche fuori dalla nostra atmosfera, perché nel futuro dell’esplorazione spaziale molto dovrà essere svolto dai droni. C’è infatti una certa diffidenza nel lasciarli operare in completa autonomia: eventuali errori risulterebbero disastrosi, vanificando costose missioni spaziali . È quindi necessario trovare un modo per educarli a prendere decisioni operative affidabili.

effepì

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Pubblicato il
30 set 2016
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