Facebook: no all'uso di dati con finalità di sorveglianza

Facebook: no all'uso di dati con finalità di sorveglianza

Lo scorso anno agenti di polizia avevano usato servizi di monitoraggio e ascolto dei social network per anticipare le mosse di alcuni manifestanti. Oggi Facebook blocca le intrusioni rinforzando il divieto
Lo scorso anno agenti di polizia avevano usato servizi di monitoraggio e ascolto dei social network per anticipare le mosse di alcuni manifestanti. Oggi Facebook blocca le intrusioni rinforzando il divieto

Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i casi (presunti e verificati) di controllo informatico di utenti con finalità di sorveglianza . Uno dei più criticati, risalente ad ottobre dello scorso anno, vedeva la polizia del Nord Carolina tracciare i movimenti di alcuni partecipanti a manifestazioni di protesta contro presunte discriminazioni razziali. In tale occasione numerosi organismi extra governativi, tra cui Center for Media Justice, l’ONG Color of Change e in particolare ACLU (raccolti in una coalizione ) si erano appellati a Twitter e Facebook confidando in un loro intervento volto a sospendere tali forme di monitoraggio degli utenti da parte delle forze dell’ordine.

In tale occasione Facebook e Twitter avevano risposto tagliando gli accessi al servizio attraverso il quale i dati erano intermediati, ovvero Geofeedia : una piattaforma di analisi dati basati sulla geolocalizzazione.

sorveglianza

Oggi viene compiuto un ulteriore passo avanti, non solo vietando l’ascolto di dati ospitati sui social network Facebook e Instagram con finalità di sorveglianza , ma anche vietando in maniera esplicita agli sviluppatori l’utilizzo dei dati ottenuti attraverso strumenti usati per sorveglianza. L’annuncio è stato pubblicato sulla pagina Facebook U.S. Public Policy.

Rob Sherman responsabile per la privacy di Facebook ha dichiarato: “la nostra missione è rendere la nostra policy esplicita. Nel corso degli ultimi mesi abbiamo intrapreso azioni contro gli sviluppatori che hanno creato e commercializzato strumenti pensati per la sorveglianza, in violazione delle nostre politiche esistenti; vogliamo essere sicuri che tutti capiscano la policy e come rispettarla”.

La decisione è stata applaudita da Malkia Cyril, Executive Director e fondatrice del Center for Media Justice : “applaudiamo a questo primo passo compiuto da Facebook e incoraggiamo tutte le aziende tecnologiche di mettersi dalla parte di chi supporta i diritti umani e la dignità”. “Quando le aziende tecnologiche permettono che le loro piattaforme e dispositivi siano utilizzati per condurre sorveglianza di massa di attivisti e altre comunità specifiche, provoca dissenso democratico e fa prosperare l’autoritarismo. È chiaro che c’è molto lavoro da fare per proteggere la comunità di colore dallo spionaggio sui social network, la censura e le molestie”.

Color of Change , per voce del Campaign Director Brandi Collins si unisce all’appello chiedendo a tutte le aziende di limitare la sorveglianza invasiva attraverso i social media su persone nere appartenenti a comunità con bassi redditi.

Ancora più forte l’appello di Nicole Ozer, Technology & Civil Liberties Director di ACLU California : “ora più che mai ci aspettiamo che le aziende chiudano qualsiasi porta alla sorveglianza e si facciano garanti affinché nessuno utilizzi le piattaforme per mirare a persone nere e attivisti”.

A questo punto anche Twitter potrebbe approntare aggiornamenti alla sua policy intensificando il divieto. La piattaforma di microblogging lo scorso anno aveva risposto in maniera decisa agli appelli delle varie associazioni e ONG tagliando gli accessi dei servizi di monitoraggio Snaptrends e Media Sonar . Eppure a poco potrebbero valere le dichiarazioni, le assunzioni di responsabilità e gli aggiornamenti delle policy quando di mezzo c’è la politica. I governi (e quindi le forze dell’ordine) all’occorrenza possiedono già il grimaldello per scardinare la serratura dei profili social . La provocatoria ipotesi del Dipartimento della Sicurezza degli Stati Uniti di costringere i viaggiatori sospetti a condividere la loro password è solo l’ennesimo esempio di ingerenza nella privacy della persona. E se questa misura probabilmente non sarà approvata, gli ascolti illeciti degli utenti condotti dalla NSA e da Facebook stessa sembrano invece dati di fatto.

Mirko Zago

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Pubblicato il
14 mar 2017
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