Bose, cuffie e app ascoltano gli utenti

Bose, cuffie e app ascoltano gli utenti

Un utente statunitense accusa l'azienda di intercettazione: i metadati relativi agli ascolti raccolti da Bose e analizzati da terzi possono contribuire alla profilazione degli individui? Bose respinge le accuse
Un utente statunitense accusa l'azienda di intercettazione: i metadati relativi agli ascolti raccolti da Bose e analizzati da terzi possono contribuire alla profilazione degli individui? Bose respinge le accuse

Gli ascolti personali costituiscono indizi riguardo alla personalità e all’orientamento di un individuo, oltre a rappresentare una possibile merce di scambio per indagare sugli interessi dei consumatori: per questo motivo questo genere di dati dovrebbe essere tutelato e trattato con il massimo rispetto, per questo motivo Bose è stata accusata da un cittadino statunitense, che ritiene che la propria intimità sia stata violata, insieme alle leggi che tutelano dalle frodi e dall’intercettazione.

Al centro della denuncia depositata da tale Kyle Zak c’è l’ applicazione Bose Connect , la cui installazione, facoltativa, consente agli utenti Android e iOS di gestire a mezzo mobile le impostazioni di una serie di cuffie e di controllare la riproduzione dei brani che vi fluiscono fino all’orecchio dell’utente. L’applicazione, si spiega nella denuncia, “è stata programmata per registrare continuamente i contenuti delle comunicazioni elettroniche che gli utenti inviano dai propri smartphone ai propri prodotti della linea Bose Wireless, inclusi i nomi dei brani musicali e delle tracce audio che selezionano per l’ascolto, insieme ai relativi artisti e alle relative informazioni sugli album, insieme ai numeri seriali dei prodotti”. I seriali sono abbinati ai dati di registrazione richiesti dall’utente, nomi anagrafici ed email, ed insieme permettono a Bose di “creare profili dettagliati dei propri utenti, delle loro cronologie degli ascolti e delle loro abitudini”.
Oltre a tracciare questo tipo di metadati , lamenta l’accusa, l’applicazione è stata sviluppata per inviarli a terze parti , nello specifico a Segment.io, azienda che si occupa di data mining, e quindi provvede ad analizzarli.

Pur trattandosi di metadati e non di contenuti, che potrebbero invece esporre registrazioni private, secondo l’accusa questi dati relativi ai brani ascoltati e ad eventuali registrazioni audio a tema “rivelano informazioni sensibili riguardo agli utenti, informazioni che suggeriscono il loro orientamento politico e religioso, i loro pensieri, sentimenti ed emozioni”. “Sapere quale musica, quali programmi radio, quali conferenze o podcast una persona sceglie di ascoltare basta a formulare delle inferenze e delle ipotesi accurate riguardo alla sua personalità e ai suoi comportamenti”: ciò che un individuo ascolta , argomenta dunque l’accusa, costituisce un dato strettamente personale .

Bose, sostiene l’accusa a dispetto di test effettuati da terzi , dell’ attuale contratto di licenza e delle policy dell’azienda , non si sarebbe mai premurata di ottenere un esplicito consenso alla raccolta, al trattamento e alla condivisione di queste informazioni, e per questo motivo di macchierebbe di gravi violazioni della privacy ai danni di tutti gli utenti dell’app.

Le accuse scagliate contro Bose comprendono quella di intercettazione di “comunicazioni elettroniche private”, nella cui definizione secondo la denuncia ricadrebbero anche i semplici metadati. L’azienda, senza aver ottenuto il consenso dell’utente e quindi in maniera truffaldina, avrebbe violato l’intimità degli utenti per trarre un profitto dal tracciamento dei dati , consegnati a terze parti per distillarne una fruttuosa analisi.

L’utente statunitense, insieme ai suoi avvocati, chiede che il procedimento assurga allo status di class action: oltre a tentare di convincere la giustizia ad imporre a Bose di interrompere la raccolta dei dati e di eliminare quelli accumulati fino ad ora, ambisce ad ottenere un risarcimento che potrebbe superare i 5 milioni di dollari.
Bose, da parte sua, riferisce di essere intenzionata a discutere di fronte alla giustizia le “accuse provocatorie e ingannevoli” che l’hanno colpita e assicura di “non intercettare alcuna comunicazione, di non vendere alcuna informazione e di non impiegare alcuna delle informazioni che raccoglie per identificare gli utenti sulla base dei loro nomi”.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
21 apr 2017
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