Speciale/ SCO e IBM alla prova dei fatti

Speciale/ SCO e IBM alla prova dei fatti

SCO ha un mese e mezzo di tempo per mostrare tutto il codice richiestole dal tribunale, e in particolare quello di Linux su cui reclama diritti. Nel frattempo l'azienda deve fronteggiare critiche, querele e... scherzi del destino
SCO ha un mese e mezzo di tempo per mostrare tutto il codice richiestole dal tribunale, e in particolare quello di Linux su cui reclama diritti. Nel frattempo l'azienda deve fronteggiare critiche, querele e... scherzi del destino


Salt Lake City (USA) – Nel tentativo di superare la posizione di stallo in cui si trova attualmente la causa in corso fra SCO Group e IBM , che ormai da mesi si è arenata nella fase di acquisizione degli atti e del materiale probatorio, la corte distrettuale dello Utah ha ordinato ad entrambe le parti di esibire tutte le informazioni necessarie a fare chiarezza sulla questione dibattuta, incluse tutte le linee di codice che, secondo SCO, IBM avrebbe copiato all’interno del kernel di Linux.

Il giudice Judge Brooke Wells ha dato a SCO 45 giorni di tempo per mostrare “nello specifico tutte le linee di codice” che asserisce siano state copiate in Linux dai sistemi operativi UNIX di IBM, AIX e Dynix. La società capitanata da Darl McBride deve altresì identificare e fornire “in modo dettagliato “tutte le linee di codice di Linux su cui reclama dei diritti” e “fornire e identificare in modo dettagliato le linee di codice che SCO ha distribuito a terze parti”, possibilmente fornendo anche date e informazioni sulle circostanze in cui il codice è stato rilasciato. Per finire, SCO dovrà anche indicare quali porzioni del codice di Linux provengano da contributi pubblici di IBM.

Big Blue ha invece 45 giorni di tempo per presentare 232 file relativi ad AIX e Dinyx, equivalenti a circa 100 milioni di linee di codice, e identificare tutte le porzioni di codice con cui ha contribuito, in modo privato, allo sviluppo di Linux. La corte ha spiegato che questo codice verrà in seguito consegnato a SCO, la quale dovrà indicare se vi sono porzioni che possono andare a sostegno della sua tesi accusatoria e, eventualmente, indicare a quali altri file desidera avere accesso e le ragioni di queste richieste.

Big Blue dovrà altresì fornire “documenti e altro materiale creato da e in possesso degli impiegati che sono stati e sono tuttora coinvolti nel progetto Linux” e “documenti e altri materiali provenienti dai propri dirigenti, inclusi Sam Palmisano e Irving Wladawsky-Berger, attinenti alla “ambiziosa strategia su Linux” del colosso di Armonk.

È questa la seconda volta che il giudice Wells intima a SCO di rivelare le sue prove: lo scorso dicembre il magistrato, con un’ingiunzione simile a quella attuale, aveva dato a SCO 30 giorni di tempo per mostrare alla corte e a IBM il codice di Linux incriminato. Un obbligo a cui, secondo il giudice e la querelata, SCO avrebbe però adempiuto solo in parte. Quest’ultima si è giustificata sostenendo che per mostrare tutte le linee di codice che violano i propri copyright, deve prima avere accesso al codice sorgente di AIX e Dinyx, due prodotti da cui, secondo SCO, Big Blue avrebbe attinto buona parte del codice e delle tecnologie riversate in Linux. SCO afferma che questi due prodotti contengono tecnologie derivate dal proprio UNIX – e come tali considerate di sua proprietà – ma di cui solo IBM dispone del codice. L’azienda di Lindon ha più volte ribadito che senza l’accesso a tale codice non può identificare con esattezza tutte le linee di codice che sono state copiate in Linux, ma può solo limitarsi a indicare quali tecnologie sono state travasate in Linux dai software di IBM basati su UNIX.

Con quest’ultima ordinanza il giudice Wells ha però respinto la richiesta di SCO, ovvero quella che fosse IBM a mostrare per prima l’intero codice di AIX e Dinyx, spingendo invece i due contendenti a lavorare in tandem per soddisfare, in modo simultaneo, le reciproche richieste.

La questione dei “lavori derivati” da UNIX è complessa e interessa in modo diretto anche la causa che SCO sta portando avanti contro Novell . Ecco perché.


SCO afferma che la licenza originale di UNIX System V, redatta a suo tempo dalla vecchia proprietaria di UNIX, AT&T , prevede che tutti i software che si basano sul codice – anche se profondamente modificato – di UNIX, vadano considerati prodotti derivati e, come tali, ancora soggetti alla licenza originale. Di recente Novell ha però messo in dubbio questa asserzione mostrando il vecchio numero di una newsletter distribuita da AT&T ai propri licenziatari, risalente al 1985, in cui il colosso annunciava una modifica al proprio contratto di licenza con cui rinunciava ad ogni diritto sulle versioni derivate di UNIX System V. SCO afferma tuttavia che una newsletter non può avere valore legale e che, nel contratto di licenza in suo possesso “ereditato” da AT&T, non vi è nessun emendamento di tal genere.

Al pari di quella sui copyright , la questione dei derivati di UNIX ha un’importanza cruciale per il processo in corso contro IBM: se Novell riuscisse infatti a dimostrare che SCO non può rivendicare la proprietà dei prodotti e delle tecnologie derivate da UNIX, quest’ultima dovrebbe rinunciare alla sua maggiore arma contro Big Blue e, di conseguenza, contro gli utenti di Linux. Non va infatti dimenticato che, secondo SCO, la stragrande maggioranza del codice e delle tecnologie che sarebbero state riversate nel kernel di Linux apparterrebbero a sistemi operativi derivati da UNIX, quali, per l’appunto, AIX e Dinyx.

Le cause che SCO ha intentato mercoledì contro AutoZone e DaimlerChrysler, di cui è possibile consultare i testi delle denunce sul sito groklaw.net rispettivamente qui e qui , hanno suscitato vive reazioni fra la comunità open source e fra diversi esponenti dell’industria.

Secondo il papà del Pinguino, Linus Torvalds, quello di SCO sarebbe un mero tentativo di “distrarre la gente dal vero problema”, ossia che “SCO non ha un business”. Eric Raymond, il ben noto guru dell’open source e autore del libro-manifesto “The Cathedral and the Bazaar”, ha invece persino proposto, come concreta forma di sostegno ad AutoZone, di comprare tutti qualcosa da uno dei suoi negozi di accessori per auto.

Ieri Raymond ha anche pubblicato un comunicato interno di SCO che afferma di aver ottenuto da un dipendente dell’azienda rimasto, per ovvie ragioni, anonimo. La nota svelerebbe come SCO, per lanciare guerra a Linux, abbia ricevuto delle somme di denaro da Microsoft. Raymond aveva già lanciato simili sospetti all’epoca dell’investimento, in SCO, della società di capital venture BayStar.

Stuart Cohen, CEO dell’Open Source Development Labs ( OSDL ), ritiene che le cause intentate da SCO non avranno nessun effetto sulla crescita di Linux ma che, al contrario, potrebbero rendere la comunità open source ancora più forte e unita.

Il CEO di Samsung, Don MacAskill, ha affermato di non essere affatto preoccupato dalle azioni legali di SCO e di continuare il suo impegno nell’appoggiare lo sviluppo e la crescita di Linux.

In generale gli analisti sembrano concordi sul fatto che, anche dopo queste due prime cause legali ad utenti commerciali di Linux, la stragrande maggioranza delle aziende sembra intenzionata a stare alla finestra e osservare lo svolgersi degli eventi.


Per ironia della sorte, il noto osservatorio del Web Netcraft ha rivelato che il sito del tribunale distrettuale del Nevada, dove SCO ha presentato la propria causa contro AutoZone, gira su Linux : sempre su Linux sarebbe basato anche il sistema utilizzato dal tribunale per la gestione delle cause e l’archiviazione automatizzata degli atti. Paradossalmente, per presentare la propria causa, SCO avrebbe dunque utilizzato un sistema basato su codice che ritiene in violazione dei suoi copyright.

“SCO non ha fatto sapere – ha scritto ironico Netcraft – se i suoi avvocati hanno spedito al tribunale una lettera di diffida prima di depositare i propri atti, o se ha in programma di aprire una causa contro lo stesso tribunale”.

Negli scorsi giorni SCO ha dovuto incassare una severa critica anche da una delle associazioni di utenti di computer più importanti d’America, USENIX , dichiaratasi in totale disaccordo con la lettera che lo scorso gennaio il CEO di SCO ha inviato al Congresso americano: in tale lettera McBride accusava Linux e l’open source di costituire un pericolo per l’economia e la sicurezza nazionali.

Il presidente di USENIX, Marshall Kirk McKusick, ha accusato SCO di “ipocrisia” affermando che “anche gli sviluppatori di SCO utilizzano strumenti open source”, aggiungendo poi che “il miglior modo di creare un programma per computer è quello di condividerne il codice piuttosto che tenerlo segreto o pretendere parecchi soldi per permetterne l’accesso”.

Di recente il giornale australiano The Age ha invece riportato che una piccola azienda locale che opera nell’open source, CyberKnights , ha presentato una denuncia ufficiale contro la divisione australiana e neozelandese di SCO con l’accusa di voler tentare di danneggiare il mercato Linux attraverso azioni sleali e ingannevoli. McBride ha però affermato di non essere a conoscenza di tale denuncia.

I guai per SCO sembrano provenire, e non è la prima volta , anche dalla Germania. Secondo quanto annunciato in questo comunicato dalla società tedesca Uninvention , quest’ultima ha raggiunto con SCO Group GmbH un accordo extragiudiziale che impedisce alla società americana, almeno per quel che riguarda la Germania, di rivendicare diritti sul codice di Linux e di perseguire gli utenti del Pinguino. La traduzione in inglese dei punti chiave dell’accordo è stata pubblicata qui da groklaw.net.

Dopo aver rivelato il nome di EV1Servers.Net, ieri SCO ha svelato i nomi di altre tre aziende americane che hanno acquistato le licenza d’uso di Linux: il gigante del software Computer Associates , il fornitore di gas metano Questar e l’azienda manifatturiera Leggett & Platt . Fra i tre, il cliente più importante è senza dubbio CA, soprattutto considerando l’influenza che questo colosso può avere sul mercato del software. A destare stupore, fra i membri della comunità open source, è che CA è anche uno dei membri fondatori dell’OSDL e fra i maggiori sviluppatori di soluzioni software per il sistema operativo open source.

“Mi chiedo cosa abbiano in mente”, ha affermato Bruce Perens, uno dei fondatori della Open Source Initiative ( OSI ), riferendosi alla mossa di CA. “Hanno lanciato davvero uno strano messaggio: mi piacerebbe avere al più presto da loro una spiegazione”.

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Pubblicato il 5 mar 2004
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