L'Arabia blocca i siti gay

L'Arabia blocca i siti gay

Sfruttando i controlli di Stato la polizia del più importante produttore di petrolio torna ad impedire l'accesso a siti ritenuti evidentemente inadatti ad essere fruiti dalla popolazione saudita
Sfruttando i controlli di Stato la polizia del più importante produttore di petrolio torna ad impedire l'accesso a siti ritenuti evidentemente inadatti ad essere fruiti dalla popolazione saudita


Riad (Arabia Saudita) – La lunga storia della censura di Internet nel paese che domina la penisola arabica, l’Arabia Saudita, nelle scorse ore ha trovato un nuovo momento topico: la polizia ha infatti deciso di bloccare numerosi siti dedicati al mondo omosessuale.

La mossa è stata confermata dai gestori di alcuni siti alle agenzie internazionali e non è strano che arrivi da lì l’annuncio in quanto gli stessi siti (si parla di alcune decine di questi spazi web) in passato sono già stati colpiti dalla censura saudita che, qualche mese fa, aveva provveduto a inibirne l’accesso. La vaghezza dell’informazione è dovuta alla difficoltà di stabilire con esattezza il numero e la tipologia di siti inibiti.

La possibilità per il Governo di Riad di procedere a questo genere di censure è garantito dal fatto che i pochi provider del paese sono tutti legati a doppio filo al Governo, non solo sul piano amministrativo e regolamentare ma anche sul piano tecnico. I server di Stato, infatti, consentono di aprire e chiudere il rubinetto del traffico internet saudita, sul modello di quanto avviene in gran parte della Cina.

Le autorità, che lo scorso giugno avevano già bloccato quei siti, anche in questa occasione non hanno fornito una motivazione ufficiale. Il fatto che siano tornate sulla decisione che avevano preso mesi fa, quella di consentirne nuovamente l’accesso, colpisce gli addetti ai lavori per i problemi di immagine che questo potrebbe comportare.

In realtà la censura saudita è di lunga data e vari episodi lo testimoniano, come il blocco di 200mila siti internet nel 2001 o l’oscuramento di 2mila siti l’anno successivo. Azioni di censura perlopiù giustificate dalle esigenze di “moralità del paese”.

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Pubblicato il
23 mar 2004
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