SCO commenta le cause in corso

SCO commenta le cause in corso

Intervista a cura di A. Del Rosso - Il punto di vista del regional manager italiano di SCO Group sulle cause in corso relative a Linux
Intervista a cura di A. Del Rosso - Il punto di vista del regional manager italiano di SCO Group sulle cause in corso relative a Linux


Di seguito si riporta l’intervista fatta da Punto Informatico al country manager di SCO Italia, Orlando Zanni, in merito alle cause legali in corso contro IBM e Novell, al software open source e al mercato Linux.

Punto Informatico : Cos’è cambiato nella causa fra SCO e IBM con la recente entrata in gioco dei copyright ?
Orlando Zanni : Premetto che, per ovvi motivi di riservatezza, non posso entrare nel dettaglio delle cause in corso. La cosa significativa è che SCO ha portato nel processo un ulteriore elemento, molto importante, che è appunto quello della violazione dei copyright: questo si è accompagnato alla richiesta di un accresciuto ammontare dei danni.
Un chiarimento che mi sento di fare rispetto a molti commenti che ho letto e sentito è che è vero che SCO ha rinunciato ad uno dei primi quattro capi d’accusa, che è la violazione del segreto industriale, ma ne ha aggiunti diversi altri. Il numero di capi d’imputazione che SCO ha inserito nella causa è ora superiore rispetto all’inizio.

PI : L’esito della causa con IBM, secondo lei, è strettamente legato a quello del contenzioso con Novell ?
OZ : No, la causa con Novell è una causa separata sia nel merito che nei fatti e riguarda la pretesa di Novell sulla titolarità di alcuni diritti su UNIX. Non sta a me ipotizzare che vi siano collegamenti tra le azioni di Novell, che hanno portato SCO a intentare questa causa, e la precedente causa di SCO contro IBM. È chiaro che la reazione che SCO ha avuto nei confronti di Novell è, secondo il nostro punto di vista, l’unica possibile: l’intenzione di SCO è infatti quella di portare l’interlocutore a confrontare le proprie affermazioni in un luogo neutro e deputato a dirimere la questione relativa alla proprietà di UNIX, proprietà che, come noto, SCO ha acquistato da Novell: ci sono registrazioni di copyright, documenti e contratti che lo dimostrano chiaramente, oltre al fatto che SCO ha operato nel mercato dal 1995 posizionandosi pubblicamente come proprietario di UNIX in centinaia di manifestazioni rivolte sia la canale che agli utenti finali, di fronte a migliaia di clienti. Purtroppo di recente Novell ha scritto e dichiarato nel mercato cose molto diverse e che tendono a danneggiare la posizione di SCO, e questo ha costretto SCO a ricorrere al tribunale: dal nostro punto di vista questo è stato un atto necessario e dovuto per evitare che sul mercato si continuino a far circolare voci per noi del tutto infondate.

PI : Il giudice ha di recente chiesto ad entrambe le parti di mostrare maggiori informazioni sul caso e, in particolare, ha obbligato SCO a mostrare tutto il codice di Linux su cui rivendica i copyright.
OZ : Sottolineo ancora la premessa iniziale, e cioè che non posso commentare nel merito la causa in corso. Noto tuttavia come alcuni fan di Linux, e anche molti media, tendano a considerare ogni passo di questo processo come una vittoria od una sconfitta, trasformando il processo in una telenovela. In realtà quello che sta accadendo, all’interno di questa causa, è del tutto naturale. Mi spiego: quando il processo è stato istruito, lo scorso anno, è stata fissata una data del dibattimento finale, che è il marzo del 2005 (data che SCO ha recentemente chiesto di posticipare al settembre dello stesso anno, NdR). Da qui a quella data le parti s’incontrano e si confrontano in aula come accade in qualsiasi altro contenzioso legale. Quindi il processo, per quanto riguarda la posizione di SCO, sta procedendo in maniera normale, con le sue tradizionali dinamiche. Il fatto che il giudice periodicamente emetta delle ordinanze in cui dice alle controparti cosa devono fare, fa parte della normalità. È chiaro che esponenti di spicco e non di spicco del mondo open source possono poi interpretare i documenti processuali secondo il loro ? opinabile – punto di vista, dandogli la valenza che ritengono opportuna: del resto sono liberi di farlo visto che, al contrario dei dirigenti di SCO e IBM, non devono rispettare vincoli di riservatezza; è anche sorprendente il livello di organizzazione e di risorse che sono messe in gioco nel divulgare queste ?sentenze? parallele. Al di là di questo, comunque, tengo a sottolineare come SCO, contrariamente a quanto si legge in giro, ha fornito al giudice tutto ciò che le è stato richiesto, e così sarà anche questa volta. SCO sta facendo del proprio meglio per portare alla corte tutti gli elementi a prova delle proprie accuse, in una vertenza che è oggettivamente complicata dal punto di vista tecnico, sia per dimensione che per competenze. Anche questo dovrebbe fare riflettere tutti coloro che semplicisticamente sostengono che ?basta che SCO dica quale codice è protetto e verrà sostituito in pochi giorni?.

PI : Può commentare le due recenti cause intentate da SCO contro i primi utenti commerciali di Linux?
OZ : È importante sottolineare come queste due cause arrivano alla fine di un percorso in cui SCO ha contattato un ampio numero di aziende informandole ed intavolando con esse delle negoziazioni. Queste cause, tuttavia, rendono esplicita una cosa che SCO va dicendo da tempo, ma che molti, purtroppo, hanno ignorato: è un dato di fatto che esistono delle gravi violazioni, e che tali violazioni si estendono, come conseguenza diretta, anche all’utente finale.

Le due cause sono molto diverse fra loro. La prima, quella con AutoZone, è incentrata sui copyright, e quindi è una violazione che interessa tutti coloro che utilizzano il codice di Linux. La seconda causa, con DaimlerChrysler, è invece fondata su questioni di natura puramente contrattuale: in questo caso, infatti, SCO ritiene che la controparte abbia violato alcuni punti del contratto di licenza di UNIX. In sostanza, mentre AutoZone non è al momento attuale una licenziataria di UNIX, DaimlerChrysler è ancora vincolata dalle clausole che regolamentano il contratto di licenza con SCO e che stabiliscono in modo chiaro le restrizioni sull’utilizzo della tecnologia di UNIX da parte del cliente.
La causa intentata ad AutoZone è in sé stessa banale, basata, come si è detto, sulla violazione di copyright: in pratica questa società è accusata di stare impropriamente utilizzando del codice proprietario senza licenza.

PI : DaimlerChrysler possiede un contratto di licenza simile a quello di IBM?
OZ : I dettagli contrattuali non li conosco, ma credo che, seppure non identici, i due contratti siano indubbiamente della stessa natura, ovvero regolamentino la disponibilità e l?utilizzo del codice UNIX, anche se con scopi commerciali differenti.


PI : Perchè esistono due cause con motivazioni differenti?
OZ : Perchè il codice di UNIX è protetto con due meccanismi: il primo è quello dei copyright, che tutelano la ?forma? o ?l?espressione? di una invenzione, il secondo è quello dei contratti. I contratti che regolamentano l?uso ed il sublicensing di UNIX contengono elementi di protezione analoghi a quelli che concettualmente governano le regole dei brevetti. Ovvero tutelano anche i metodi e concetti, non solo l?espressione formale. E tutto ciò ha un inevitabile senso industriale: chi licenzia una tecnologia per un proprio uso commerciale, non deve trovare il modo di eludere i suoi doveri nei confronti del detentore dei diritti originali, mascherando la suddetta tecnologia e commercializzandola come qualcosa di nuovo. Facciamo l?analogia con il common rail per i motori diesel: se voglio utilizzare il sistema di alimentazione common rail nelle mie auto mi accordo con il detentore dei diritti, altrimenti mi invento un sistema che sia ?strutturalmente? diverso, quale ad esempio il pompa-iniettore. Sono invece perseguibile se prendo un sistema common rail, cambio la forma dei tubi e tento di venderlo come cosa nuova e diversa. Fuori dall?analogia, chiunque è in grado di riconoscere che Linux è un sistema ?strutturalmente? UNIX. Dopodichè, come detto, la violazione di copyright arriva anche all?utilizzatore.

Quello che queste due cause portano allo scoperto, e su cui bisognerebbe focalizzare l’attenzione, è proprio la necessità, nel mercato, di rispettare certi paletti, certe regole. Ad esempio, forse pochi sanno che lo Stato Italiano nel 1997 ha approvato una legge che regolamenta la fornitura di materiali informatici alla pubblica amministrazione (DPCM 452). Fra le altre cose, questa legge prevede che qualsiasi fornitura di prodotti informatici vincoli il fornitore a garantire in toto il cliente, ossia la pubblica amministrazione, contro qualsiasi tipologia di violazione della proprietà intellettuale. Questo significa che gli enti pubblici possono rivalersi sul fornitore, e chiedergli i danni, nell’eventualità debbano sostenere costi legali relativi alla violazione di copyright e brevetti.La cosa strana è che oggi chi fornisce soluzioni basate su Linux alla pubblica amministrazione non sembra tenere conto di questa normativa, normativa che si applica al fornitore di qualsiasi livello, anche al singolo VAR.

Questa legge viene tra l?altro citata in premessa ad una recentissima direttiva emanata dal ministro dell’innovazione e delle tecnologie Luigi Stanca il 19/12/2003 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 7/2/2004. Questa direttiva dà indicazioni su quelli che sono i criteri tecnici per la scelta delle forniture alle pubbliche amministrazioni, prendendo espressamente in considerazione anche il software open source. La direttiva descrive, fra le altre cose, i criteri tecnici di comparazione che la pubblica amministrazione deve adottare nella scelta delle soluzioni informatiche. Vorrei citare a tal proposito il punto “c” della sezione ?4. Criteri tecnici di comparazione?: ?Soluzioni informatiche che, con il preventivo assenso del C.N.I.P.A. ed in assenza di specifiche ragioni contrarie, garantiscano la disponibilità del codice sorgente per ispezione e tracciabilità da parte delle pubbliche amministrazioni, ferma la non modificabilità del codice, fatti salvi i diritti di proprietà intellettuale del fornitore e fermo l´obbligo dell´amministrazione di garantire segretezza o riservatezza?. Questa direttiva percepisce dunque il software aperto come una cosa positiva, ma si rende anche conto di come sia importante garantire la pubblica amministrazione nei confronti di tutti i problemi che potrebbero nascere a fronte di modifiche incontrollate del codice piuttosto che di problemi di proprietà intellettuale. La trovo una posizione equlibrata ed inevitabile, anche se non mi è chiaro come oggi si possa ottemperare alle condizioni imposte dalla legge DPCM 452 fornendo Linux, che nessun fornitore garantisce pienamente per esplicita e pubblica ammissione dal punto di vista della legalità del codice contenuto.

Se un’azienda privata si trova in una situazione di infringement perchè ha fatto delle scelte, è stata informata, ed ha deciso di scegliere una propria strada: nel caso di danni paga di tasca propria danneggiando al massimo gli azionisti. Una pubblica amministrazione può correre un rischio di questo tipo? Io credo proprio di no visto che la pubblica amministrazione utilizza soldi di tutti i cittadini e deve quindi garantire questi e, in primo luogo sé stessa, di essere nella legalità. Ecco perché facciamo un parallelo forte tra le necessità di tutela della pubblica amministrazione, che si autotutela addirittura promulgando (giustamente) una legge che scarica la responsabilità sul fornitore e indica dei paletti importanti nell’adozione di certe tecnologie, e fra la necessità di far emergere a livello di mercato privato quelle che sono le tutele che le aziende devono esse stesse darsi nei confronti delle proprie forniture.

Un?altro elemento che vorrei sottolineare è la scarsa rilevanza che hanno gli investimenti in innovazione ed in tecnologia nella PA locale. Nellla realtà frammentata italiana gli enti pubblici hanno budget molto ristretti, l’informatizzazione in un comune è in fondo all?elenco delle voci di spesa, quindi sposterei il problema sulla necessità di maggiori investimenti in tecnologia piuttosto che sull’utilizzo di codici più o meno manipolabili ed apparentemente gratuiti che fanno solo precipitare un budget IT già negletto nel sottoscala delle soluzioni arraffazzonate alla meglio. Del resto più che di codice modificato gli enti pubblici hanno bisogno di codice standard, replicabile, anche perché andare a rimettere le mani in un codice modificato da altri, e anni prima, diventa poi difficile, se non impossibile. Tutte le industrie vanno nella direzione di componenti standard interoperabili fra di loro. Nessuno va nella direzione di componenti semilavorati e ogni volta rimodellati per fare sempre le stesse cose. Dal punto di vista industriale è una follia, e dal punto di vista dell’utilizzatore torna ad essere un codice nei fatti proprietario, anche se apparentemente libero e accessibile. Oltre a questo, c’è poi da dire che le competenze e le risorse per la gestione di un codice modificato non sono alla portata di un comune, che solitamente utilizza dei collaboratori esterni. Questo è stato ad esempio recepito da HP che ha varato un, fra virgolette, indennizzo per Linux (fra vigolette perché non lo ritengo pienamente tale) che prevede l’obbligo, per il cliente, di non modificare il codice.

Torno alle cause SCO. Il problema non è denunciare tutto il mondo o solo qualche azienda. Se il mercato venisse aiutato a capire che c’è un problema, e si mettesse attorno ad un tavolo per discuterlo, il problema sarebbe già per metà risolto. Quello che mi stupisce è che siano invece così pochi i tentativi di alzare il livello della discussione: in genere, se si dà un’occhiata in giro, ci si accorge come sulla questione in molti si esprimano in modo simile alle tifoserie di calcio, a veri e propri hooligan dell’open source. Si utilizzano toni e prese di posizione che, se possono già essere poco gradevoli in una discussione politica, figuriamoci nel mondo degli affari. Spesso ci si dimentica che il problema verte su questioni legate ai copyright e regolamentate da quelle stesse leggi che tutelano i deboli contro i più forti. Se si riuscisse ad epurare questo dibattito dalle posizioni ?idelogiche?, termine qui utilizzato in senso molto riduttivo, credo che sarebbe un bene per tutti. Soprattutto per i clienti. Non credo ci sia nessuno che pensa di non poter vivere se non vince questa causa. Il mercato ha soltanto bisogno di chiarezza, di capire cosa succede, e avrebbe bisogno di dibattiti un po’ più sereni.


PI : Le azioni legali di SCO potrebbero espandersi anche in Italia?
OZ : Non la considererei una cosa asupicabile né probabile. Però non è da escludere a priori. Voglio sottolineare che l’obiettivo di SCO non è far proliferare le cause. Le cause contro gli utenti finali rendono esplicito il fatto che c’è un problema, e va risolto. Molti credono che il problema sia solo tra noi e IBM, ma non è così. Il contenzioso si estende a tutti coloro che utilizzano il nostro codice proprietario per fini commerciali senza una regolare licenza. Questo non lo dice SCO, lo dice la legge, le regole del gioco.

PI : Se avesse avuto il potere di decidere, si sarebbe gettato in quest’avventura giudiziaria o avrebbe continuato a vendere SCO UNIX?
OZ : È una bella domanda, e la ringrazio di avermela fatta, ma le preciso subito che io ed i miei colleghi, nel frattempo, continuiamo a vendere SCO UNIX e gli altri prodotti SCO. SCO Italia, e i miei colleghi nel resto del mondo, vendiamo prima di tutto prodotti. Credo che molte persone del mondo open source abbiano ripetuto talmente tanto che SCO è un’azienda fuori dal mercato che molti hanno ormai finito col crederci.

PI : Proprio recentemente Linus Torvalds ha affermato che la strategia di SCO è quella di celare il fatto di non avere un business.
OZ : Premesso che è una strategia piuttosto comune quella di screditare l’interlocutore in modo tale che tutto ciò che dice appaia agli utenti come privo di credito, mi spiace per Linus Torvalds, ma evidentemente o non si è ben informato o gli fa comodo dire così. La realtà dei fatti è che SCO, nonostante i vari cambi di nome, è da 25 anni sul mercato (li festeggeremo nell’agosto di quest’anno). E sono stati fatti lavorando con i clienti. Molti esponenti del mondo open source probabilmente non immaginano quanti clienti abbiamo, continuiamo ad avere ed acquisiamo. Ad esempio. di recente, come SCO Italia abbiamo installato una soluzione clusterizzata ad alta affidabilità in un grande aeroporto italiano, che è diventato nostro cliente, battendo sia soluzioni RISC UNIX che Microsoft.

PI : Può darci dei numeri sulle vendite di SCO Italia?
OZ : Se prendo per esempio i report dell?ultima settimana disponibile, la week 10, dice che abbiamo venduto 57 licenze, e questo solo ai piccoli rivenditori. Ogni trimestre abbiamo circa 200-220 rivenditori che fanno ordini presso i nostri distributori. A questo che chiamiamo ?runrate? si aggiungono le vendite sui progetti ed i servizi: ad esempio, la recente installazione presso Telecom Italia fatta da un system integrator, per oltre 300 licenze. Mi risulta difficile dire quante licenze vendiamo in un anno, anche perché io guardo più i fatturati: sulla base dei numeri che le ho appena dato, possiamo stimare tra 5000 e 6000 licenze.

PI : I conti di SCO Worldwide non sembrano andare benissimo però.
OZ : Immagino lei si riferisca ai risultati fiscali del quarto trimestre fiscale, dove abbiamo dovuto registrare delle perdite. Qui bisogna però tener conto che c’erano anche le spese legali, che sono costi straordinari. Le operation sono però a posto, anche se soffriamo della congiuntura economica negativa, ed anche della pressione sui prezzi. Consideriamo poi che i precedenti tre trimestri erano positivi, questo anche grazie ai ricavi di SCO Source che si vanno ad aggiungere a quelli del core business legato a UNIX. Qui vorrei precisare che i guadagni provenienti da SCO Source non vanno considerati come qualcosa di estraneo dal core business di SCO: si tratta infatti il licensing della sua proprietà intellettuale. Chiunque vende software, sia Oracle, Microsoft o chi per loro, non fa altro che vendere la sua proprietà intellettuale. A volte per gli utenti, specie per chi frequenta in modo esclusivo il mondo open source, riesce difficile comprendere che il costo di un prodotto software non è dato dal media in sé ma dalla licenza: quando un cliente acquista un prodotto, in realtà acquista il diritto d’uso della proprietà intellettuale relativa a quel prodotto.

PI : Anche qui in Italia si possono acquistare le licenze di SCO per Linux?
OZ : Sì, è stato annunciato il lancio europeo proprio di recente. Noi stiamo preparando gli aspetti contrattuali e presto saremo pronti a proporre queste licenze a tutte le aziende interessate. Abbiamo già avuto diverse richieste, sia da utenti finali che da operatori di canale.

PI : In Germania SCO sembra aver rinunciato ad accampare diritti sul codice di Linux. Per quale ragione?
OZ : In questo paese SCO ha preferito definire un accordo ? che, fra parentesi, avrebbe dovuto essere riservato ? con il solo fine di non impegnarsi in cause legali non necessarie. È evidente che con quello che è accaduto, e le conseguenze di questo annuncio, non è escluso che si torni sui nostri passi.

PI : È possibile che la dirigenza tedesca di SCO, magari poco entusiasta delle direttive provenienti dal quartier generale americano, abbia voluto scegliere una strada differente?
OZ : Mi sento di escluderlo, nel senso che le decisioni del tipo di quella che è stata presa in Germania non spettano al country manager ma ai legali di SCO. Il modo di procedere viene definito da SCO Worldwide. Al di là di questo, vorrei dire in tutta sincerità che, in Germania come in Italia, non c’è da parte nostra una particolare aggressività nei confronti delle aziende che usano Linux, né il desiderio di fare causa a qualcuno. Il mio business è quello di vendere prodotti, ed è con questi soldi che paghiamo stipendi e tasse. Sul problema Linux, noi cerchiamo di dialogare il più possibile con i nostri clienti, e questo nel modo più pacato possibile. Gli incontri che abbiamo fatto fino ad oggi sono sempre stati molto aperti e sereni, questo perché nel mondo degli affari difficilmente le questioni si pongono in termini di polemica ideologica o tecnica. Posso assicurarle che, come SCO Italia, non abbiamo minacciato nessun cliente: questi hanno piena liberà di scelta sulla strada da intraprendere. Ovviamente ognuno si prende le proprie responsabilità e i propri rischi.

PI : Di recente è stata pubblicata una e-mail che, secondo alcune interpretazioni, suggerisce l’ appoggio finanziario di Microsoft alla battaglia legale di SCO. Voci di questo tipo erano già circolate anche lo scorso anno.
OZ : La posizione ufficiale di SCO è già stata espressa, e cioè che l’e-mail in questione rappresenta la posizione di una persona che era marginalmente coinvolta in altri affari. SCO ha dei rapporti di business e contrattuali con Microsoft, sono stati annunciati pubblicamente, ma nulla più. Tutto il resto sono solo illazioni.

PI : Nell’ipotesi che SCO vinca la causa contro IBM, come cambierà, secondo lei, il mercato di Linux?
OZ : In una tale ipotesi è chiaro che sarà evidente la necessità di fare delle azioni successive, nel senso che non è ipotizzabile commercializzare un prodotto che viola copyright e diritti contrattuali. Secondo me si dovrà necessariamente trovare un altro punto di equilibrio che, come avrebbe forse dovuto essere fin dall’inizio, possa far convivere il modello di sviluppo open source con il software proprietario e un?industria del software che ad oggi ha portato nell?IT innovazione, concorrenza, soluzioni migliori e più economiche. La posizione della mia azienda è che la licenza GPL non permetta questa convivenza: le aziende che la utilizzano sono interessate a vendere hardware e servizi, e non il software pacchettizzato. Se la battaglia legale volgerà a nostro favore, dimostreremo che la GPL non è più forte del copyright, né lo elimina, e che quindi bisognerà trovare una soluzione.
Chi ha memoria storica ricorderà che lo stesso tema si pose alla nascita dell?industria del software, verso la fine anni 80, quando il software non era protetto, e tale volevano che rimanesse i (pochi) grandi fornitori di hardware di allora. Vinse invece la nascente industria del software e la protezione ha permesso la nascita e la crescita di aziende che hanno definitivamente svincolato lo sviluppo del software dalla fornitura dell?hardware. Credo che oggi come allora questo sia il vero nodo del problema.

Intervista a cura di Alessandro Del Rosso
con la collaborazione di Marina Colotto

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Pubblicato il
15 apr 2004
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