Quella musica costa troppo

Quella musica costa troppo

In una lettera aperta alla FIMI, Aaron Brancotti prende di mira le ragioni con le quali l'industria della musica motiva il calo delle vendite di CD. Non si tratta di pirateria ma di prezzi e di princìpi
In una lettera aperta alla FIMI, Aaron Brancotti prende di mira le ragioni con le quali l'industria della musica motiva il calo delle vendite di CD. Non si tratta di pirateria ma di prezzi e di princìpi


Roma – All’Attenzione del dott. Enzo Mazza, Direttore Generale Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI)

Egregio Dott. Mazza,
in riferimento e seguito al mio articolo relativo all’eccessivo prezzo dei CD musicali mi pregio risponderLe indirettamente con una lettera aperta poiché, a giudicare dal notevole riscontro dei lettori, ritengo l’argomento di interesse generale. Desidero innanzitutto premettere una cosa: non è mia intenzione, né mai lo è stata, sedermi su una cattedra e insegnare a qualcuno come svolgere il proprio lavoro. Auspico quindi che, in questa occasione, Lei voglia leggere questa mia missiva come uno spunto utile per avere il polso di una situazione, a mio parere, solo parzialmente riflessa dall’analisi di DOXA. Non va quindi intesa come un attacco a Lei, a FIMI e alla DOXA stessa.

Orbene, essendo stato messo in CC da numerosi lettori che Vi hanno scritto, ho potuto constatare che Lei ha risposto personalmente a tutti (per quanto in mia conoscenza) in maniera identica. E ‘ ovvio e non mi aspettavo nulla di diverso. Non sarebbe certo stato pensabile che replicasse singolarmente ai numerosi messaggi a Lei pervenuti, se non altro per questione di tempo. Interpreterò quindi tale risposta, che peraltro ribadisce estesamente e puntualmente quanto da Lei esposto durante l’incontro stampa congiunto Creative Labs – DOXA – FIMI, come posizione ufficiale di FIMI rispetto alle mie esternazioni telematiche (anche se io l’ho ricevuta solo “di rimbalzo”) e mi riferirò ad essa durante questa lettera aperta.

Prima di tutto, non mi piace riportare testualmente una lettera privata, anche se “ufficiale”, ma il primo appunto che le muoverò deve necessariamente essere una citazione della Sua risposta:

Non è vero che nella ricerca presentata da Creative non è presente il discorso del costo del cd. Forse non è riportata sul sito dove lei ha letto l’articolo ma il 62% degli intervistati dice di scaricare musica da internet perchè è un modo poco costoso di avere della musica.

Questo è inesatto sotto vari punti di vista. Primo perché nei vari siti sui quali è presente il mio articolo (Dude, Punto Informatico, Zeus News) e sui quali comparirà anche questa lettera aperta, ciò che Lei ipotizza come “non riportato” è invece scritto ben chiaramente. Eseguo prontamente un Cut&Paste da www.dude.it:

In NESSUN MOMENTO e in NESSUN PUNTO (a parte indirettamente in una slide di Creative Labs, dove viene detto che il 62% di chi scarica da Napster lo fa perché è un “modo poco costoso per avere della musica”) viene citato il fatto, EVIDENTE per chi abbia un briciolo di buonsenso, che i CD COSTANO TROPPO!!!!!

Questo implica che Lei l’articolo in questione non lo ha letto, nonostante Le sia stato segnalato in almeno una mail (e comunque lo avrebbe trovato facilmente), o quantomeno non lo ha letto con la dovuta attenzione. A questo proposito le ricordo che Ignorare o Sottovalutare il Nemico è uno dei peggiori errori che si possano compiere secondo Miyamoto Musashi, autore del Libro dei Cinque Anelli e grande guerriero nel Giappone del XVI secolo.

Secondariamente, Lei in questo modo offende la mia intelligenza e quella dei miei lettori. Lei ritiene che le due affermazioni “il 62% di chi scarica da Napster lo fa perché è un modo poco costoso per avere della musica” e “I CD costano troppo” sono equivalenti? Se sì, perché DOXA ha scelto la prima e non la seconda?

La Sua risposta prosegue con una serie di dati che non posso discutere poiché riguardano evidentemente le “grandi” case discografiche che FIMI rappresenta. Dico “evidentemente” perché non coincidono con l’esperienza personale mia e di decine di amici musicisti e/o aspiranti tali. Aggiungo che l’età dei soggetti in questione varia dai 19 ai 40 e oltre, contemplando quindi almeno un ventennio, se non di più, di tentativi di entrare in qualche modo nel grande circo della musica. Molti presentano – ahiloro – anche esperienze che vanno ben al di là del complessino con gli amici: magari tournée di supporto a gruppi maggiori, contratti per suonare in locali o lunghi turni di sessione sottopagati in sala d’incisione.


La realtà di questi grigi casi nazional-popolari è ben lontana dai pingui anticipi e royalties per Eletti che Lei descrive: un gruppo che firma con una casa discografica (a questo punto devo aggiungere “minore”), nel mondo che conosco io, è già fortunato se gli vengono ripagate in toto le spese di registrazione del disco, che comunque non devono superare un tetto massimo che si aggira intorno alla ventina di milioni, mentre se per ogni CD venduto all’artista arrivano in tasca 1000 Lire su 40.000 (il 2.5%) si brinda (birra in lattina come se piovesse).

Considerando che senza l’artista il CD (o il vinile, o il DVD, o la musicassetta…) non esisterebbe, questo è assurdo. Per quanto riguarda la ricerca di nuovi talenti (e Lei mi insegna puntualmente che le “majors” spendono sotto questa voce qualcosa come il 12% del loro fatturato, quindi miliardi e miliardi di lire), chiaramente non lo posso dimostrare ma ritengo che spesso i demo che noi musicanti spediamo in giro finiscano invece direttamente nel cestino. Quantomeno, questa è la impressione che le Case Discografiche procurano: ho personalmente inviato a mezzo mondo almeno 40 copie di un mio CD e ho ricevuto feedback in soli due casi: una gentile lettera (di carta e scritta a mano, non mi ricordavo più neanche come fossero fatte) del tipo “non ci interessa, grazie” di una casa discografica minore e una ottima recensione su Rockerilla. Da Sony, EMI e tutti gli altri neanche uno schifato borbottio. Eppure immagino che parte di quei miliardoni che Lei descrive vadano a pagare profumatamente degli scafati talent-scout che, come minimo, dovrebbero conoscere le buone maniere (un CD non è un volantino pubblicitario o uno spam via posta elettronica. In quel CD ci sono dentro la nostra carne, il nostro sangue e la nostra anima. Diteci che fa schifo, ma almeno diteci qualcosa, visto che a quanto pare siete pure pagati).

Vorrei ricordarLe che questa è perlopiù una anomalia tutta italiana. Nel mondo anglosassone la figura del produttore-talentscout va ben oltre il suo ruolo nazionale. Ascolta, valuta e, se il caso, rischia anche in proprio, sapendo che se ha buon fiuto ne ricaverà soldi e gloria. Non vorrei citare figure del passato come il Colonnello Parker o Brian Epstein (tanto per fare i nomi di due signori che si presero la briga di guidare dopo le primissime incisioni Elvis Presley e i Beatles), ma basterebbe che in Italia qualcuno, oltre all’etichetta della Caselli che non può certo dare retta a tutti, credesse maggiormente nelle proposte indipendenti.

Diciamocelo chiaramente: l’accesso alle case discografiche è regolato dalle leggi più antiche del mondo, quali conoscenze, favori, soldi e politica. Il mercato si crea e lo create voi. Altre aree hanno ben filosofeggiato e spiegato sulla tecnica del push-pull e sull’ingegneria della “creazione del bisogno”. La fruizione della musica come momento emozionale è un discorso che va bene sia per la cosiddetta “canzone impegnata” che per la più martellante dance. E ‘ quasi sempre un discorso precostituito il fatto di spingere o meno un genere, magari contrabbandando lo sforzo delle case discografiche come “offrire una opportunità alle esigenze del mercato dei giovani”. E così ci ricordiamo tutti il fenomeno Jovanotti che da rapper qualunquista è diventato un predicatore giovanilista.

Cavalcare l’onda e puntare sul sicuro non sono i must del pensiero discografico, ma sono quelli del broker azionario, che deve far rendere al massimo gli investimenti del cliente e limitare al minimo il rischio di perdite. Naturalmente, nessuno chiede alle case discografiche di diventare Imprese Senza Fini di Lucro ma, accidenti, metteteci un po ‘ più di coraggio. E, soprattutto, abbiate più rispetto per il vostro mercato, che è composto da acquirenti ma anche da musicisti, magari in erba, qualcuno anche bravo, ma che sicuramente non vuole portare via quote di mercato ad alcuno.


Riguardo alla tematica relativa all’aumento dei prezzi da parte dei dettaglianti, Lei parla di rincari che arrivano al 40%, ma questa accusa io l’ho sentita rigirare verso i grossisti proprio da amici che vendono (anzi, vendevano, hanno chiuso per fallimento) dischi. Insomma, anche su questo ultimo punto a me personalmente non è molto chiaro cosa succeda veramente.

Ora, sono stufo di sbraitare come un cane rabbioso e vorrei riportare questa mia lettera nella giusta ottica. Quello che Lei dovrebbe distillare da tutto questo mio scomposto vociare è semplicemente l’informazione che, per il pubblico, i CD costano troppo. Lei può giustamente citare l’IVA al 20%, anzi ne ha il dovere. Io mi unirò a Lei urlando forte VERGOGNA dentro al mio modem. Può indicare percentuali e marketing e strategie fin che vuole, ma ciò non toglie che, per il pubblico, i CD costino troppo. L’ho forse già detto? I CD costano troppo! Repetita Juvant…

Un CD deve costare come due birre e un panino e non come cinque, sei, sette birre o tre o quattro panini. Questo è quello che io personalmente “sento” che sia giusto pagare – e sono sicuro che molti saranno d’accordo con me. Anche la benzina costa troppo, certo. E Lei cita lo stadio (ma io ieri sono andato a vedere una bellissima partita di football americano al Vigorelli di Milano e ho speso solo 10.000 lire) e il telefono. Vero. Ma quelle non sono Sue competenze professionali; il prezzo dei CD sì, invece. E, contrariamente a quanto Lei asserisce, c’è anche chi stampa biglietti falsi e clona i cellulari – certo, sono meno di quanti duplichino i CD, ma solo per una questione tecnologica: per clonare un cellulare ci vogliono conoscenze di elettronica e informatica e vari strumenti esoterici, mentre per farsi la benzina in casa non tutti hanno lo spazio per installare una torre di raffinazione da trenta metri in salotto.

Già che ci siamo: vede, dott. Mazza, il fenomeno della pirateria musicale può a mio parere essere combattuto efficacemente solo in un modo: rendendo non invitante l’atto stesso di duplicare illegalmente il prodotto (per inciso, questo è un altro punto di forza dell’Open Source – qui parlo di software, ma anche di copyright).

Lo sa perché sono così sicuro? Perché nel mondo dei gruppetti “dilettanti” i CD autoprodotti vengono venduti a 20-25.000 lire, con un certo ritorno economico, e le assicuro che le uniche copie “illegali” sono quelle di chi non riesce a trovare gli originali perché sono finiti (le tirature sono sempre molto limitate, 1000-2000 copie) o di chi aspetta che finalmente il gruppo suoni in zona per comprare l’agognato CD originale dal mitico banchetto sotto il palco. In questo mondo che descrivo copiare illegalmente un CD che costa 20.000 lire è una azione da pezzente e ci si vergogna a farlo.

Lei mi risponderà, ancora una volta, che queste realtà hanno costi produttivi non paragonabili a quelli dei Grandi Artisti e quindi è possibile vendere a prezzi sostanzialmente minori.

Però si suona e si vende comunque, nonostante il marketing primitivo e le strutture e la promozione inesistenti, mentre la pirateria è pressoché sconosciuta. Da questo fenomeno possiamo quindi dedurre qualcosa di vagamente scientifico.


Isaac Asimov spiega i comportamenti a volte strambi dei suoi Robot con un discorso di “potenziali”: ecco, qui siamo in una situazione simile. Da una parte c’è nella natura umana un innato rispetto per il Lavoro Altrui, per l’Arte, c’è il “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. Dall’altra, in questo caso, c’è il prezzo degli originali, la facilità di copia offerta dalla tecnologia (e come dimenticare che molte multinazionali oltre che Case Discografiche sono anche produttrici di masterizzatori e duplicatori di CD Audio? C’è una certa schizofrenia in questo comportamento, non trova?) e anche una sorta di “istinto di conservazione etico-morale”.

Su questo immaginario grafico c’è un punto di equilibrio che, per quanto riguarda il prezzo, è più probabilmente vicino alle 20-25.000 Lire di cui parlo che alle 38-40.000 Lire attuali. Questo a prescindere da quanto uno guadagni: conosco più di una persona che potrebbe ben permettersi di comprare valanghe di CD (ed infatti costoro posseggono centinaia di dischi, acquistati prevalentemente prima del 1998) ma che non compra più nulla o quasi “per una questione di principio”. Ovvero, il prezzo attuale dei CD viene da molti interpretato come una autentica presa per i fondelli.

Non solo: ho amici che di dischi (di vinile) fanno collezione. Bene, sono disposti a spendere per un oggetto feticcio anche 2/300.000 Lire, se reputano che ne valga la pena. Hanno qualche migliaio di dischi, ma pochissimi CD (che si rifiutano di acquistare con la stessa frequenza del vinile): fessi maniaci o altro? Quello del prezzo è quindi un problema che affronterei con un po ‘ più di informazione e cautela, sempre per il rispetto di chi la lira la caccia anche per pagare il Suo stipendio.

Dott. Mazza, Le assicuro che non ci guadagno nulla a raccontarLe queste cose. E ‘ uno sporco lavoro, ma se non lo fa la DOXA lo farò io. Altro che CD che saltano e si sporcano.

La ringrazio per essere arrivato alla fine di questa lunga lettera. Ora credo e spero che il mio punto di vista, condiviso da così tante persone, a proposito del prezzo “troppo alto” dei CD musicali assomigli più a un discorso organico che a una troppo facile e perfin banale critica a 360 gradi rivolta all’ “establishment” discografico. Sono altresì felice di esser riuscito a esporLe anche il mio personalissimo punto di vista sulla pirateria e su come combatterla. So benissimo che Lei non ha la bacchetta magica; neanche io, in questo mondo (giù nel ciberspazio si, ma questa è un’altra storia). Però ragionare senza trincerarsi dietro un muro di numeri e percentuali, senza dare per scontato che non può essere altrimenti, è un passo nella giusta direzione. Il Nuovo Mondo lo stiamo costruendo noi, proprio in questi anni, con le nostre teste e le nostre mani.

In fede,

Aaron Brancotti

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Pubblicato il 1 giu 2001
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