Contrappunti/ In altre parole siamo fregati

Contrappunti/ In altre parole siamo fregati

di Massimo Mantellini. Siamo davvero fregati. Se la metà dei navigatori della rete se ne sta su 4 siti web, se i miliardi producono solo portali a prova di scemo
di Massimo Mantellini. Siamo davvero fregati. Se la metà dei navigatori della rete se ne sta su 4 siti web, se i miliardi producono solo portali a prova di scemo


Roma – Ah, l’informazione in rete! Quella libera ed intelligente, quella aperta al confronto e conscia della propria forza, quella liberata dai lacci del controllo politico o distante dal respiro ansimante delle grandi aziende: possibile che non interessi a nessuno? Possibile che nessuno su Internet ne senta la mancanza?

Veniamo da cinque anni di speranze in tal senso andate lentamente ma inesorabilmente perdute : gli ultimi eventi, la chiusura nel mese scorso di Feed e Suck , il ridimensionamento di Salon e Plastic , significano forse che l’intelligenza in rete non paga? E nel nostro paese cosa accade? Quanti sono i siti web nei quali l’informazione o lo sguardo sulla cultura digitale o uno spaccato sul mondo dell’arte o un accenno a qualsiasi altro argomento per il quale valga la pena di leggere qualcosa in rete, esce dal minestrone mediatico dell’editoria dominante?

Secondo una recente ricerca di Media Metrix, il 50% del tempo speso in rete dai navigatori di Internet è stato impiegato dentro 4 grandi siti (Yahoo, AOL, Napster, Microsoft). Cosa dobbiamo pensare di questo dato? E soprattutto di che si tratta? Di una resa della intelligenza o della semplice conseguenza di una massificazione tanto più angosciante in quanto applicata ad un media che dovrebbe essere, per definizione, il più aperto e il più vario di tutti?

Dicono sia ormai finita l’epoca dei portali (e per fortuna!) ma qualcuno di voi ha mai messo il naso dentro le frontpage dei più frequentati siti web italiani? Quelli dove le news, l’oroscopo, il meteo e gli SMS e i calendari con le tette e le chat per cuccare e i manuali per copiare i compiti si mescolano in un unica gigantesca babele? Per quale tipo di navigatore sono state preparate quelle pagine? E chi sono i navigatori di questi siti miliardari? Chi sono? E cosa ci fanno proprio lì?

Non vorrei apparire snob ma se Feed chiude, se Suck chiude (anzi appende al suo sito web un biglietto con scritto “Siamo andati a pescare”) o se in pochissimi in Italia leggono Telema (salvata in extremis l’anno scorso, nonostante i suoi modestissimi riscontri di pubblico) qualche considerazione la si dovrà pur tentare. Magari ripensando al grandioso spreco di banda che ha intasato le dorsali della rete italiana ai tempi dello streaming online del Grande Fratello.

Se in USA l’illusione della grande informazione indipendente è nata ed è sopravvissuta un quinquennio per poi andare a schiantarsi nel tonfo del Nasdaq e nel calo dell’advertising online, in Italia possiamo ben dire che essa non sia mai stata nemmeno pensata. C’era (e c’è ancora) la bicicletta, ma nessuno che abbia davvero voglia di salirci e pedalare. Pedalare poi? E sarebbe a dire?

Eppure siamo anche noi passati attraverso l’entusiasmo delle homepage personali: migliaia di persone hanno sperimentato l’eccitazione di diventare finalmente editori di se stessi riempiendo il web delle proprie poesie, di impressioni, racconti, diari di viaggio o album fotografici familiari. O riunendo in un ring gli amanti della pelota basca o i collezionisti di conchiglie equatoriali (se esistono). E in moltissimi hanno fatto anche il passo successivo, proponendo online contributi più organizzati, e-zine ed altre opere editoriali nuove ed originali. Gente che ha raccontato il proprio sito ai motori di ricerca, che ne ha parlato sui newsgroup o nelle mailing list e che ha aggiunto un counter alle proprie pagine per accorgersi alla fine che gli unici hit raccolti erano i propri e quelli degli amici intimi.

E dopo le homepage è stato il turno dei weblog o delle community stile slashdot dove, tranne qualche minima eccezione, il comune denominatore è sempre e comunque quello del poco interesse generale e della poca interazione. Le nostre parole? I nostri pensieri condivisi con gli altri? Una goccia nel mare di Internet che nessuno berrà mai. Nemmeno per sbaglio.

Scott Rosenberg – una delle migliori menti della nuova cultura digitale – su Salon qualche giorno fa amaramente scriveva: “In altre parole siamo fregati” . E di chi è la colpa? Certamente almeno in parte di noi stessi, ma anche di un momento storico di Internet che – come Rosemberg scrive “è ancora troppo anarchica per essere completamente adatta, conveniente e pronta per l’esperienza-da-prima-serata; ma sta anche perdendo il fermento vitale della sua giovinezza stile sbocciare-di-mille-fiori per far posto alla grigia monotonia del controllo delle corporations.”

Siamo davvero fregati. Se la metà dei navigatori della rete se ne sta su 4 siti web, se i miliardi degli investimenti italiani (quelli rimasti dopo il raffreddamento degli entusiasmi new economy) producono solo portali a prova di scemo o business plan allucinanti (un’occhiata, please, al futuro di freedomland ) nessuno investirà più una lira in cultura e informazione in rete. Nessuno cercherà di volare alto, fuori dai trucchetti della informazione certificata e liberi dai tentativi di condizionamento del padrone della banda: quello che – per capirci – alla fine del mese paga il conto della connettività e necessita di buone ragioni per continuare a farlo.

Bernardo Parrella – che è uno di quelli che, invece, alla nuova informazione in rete ci ha sempre creduto – sulla sua rubrica su Apogeonline qualche settimana fa titolava : “Chiudono Feed e Suck: moribonda la cultura digitale?”.

Moribonda è un bel termine, specie se lo si paragona con “morta”. E’ dunque morta la cultura digitale?

In USA non so, Bernardo, qua da noi la sensazione è che forse non sia nemmeno mai nata. E davvero non so se sia peggio trovarsi a rimpiangere un sogno andato in mille pezzi o starsene a blaterare di quello che sarebbe potuto essere ed invece non è stato.

Massimo Mantellini

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Pubblicato il
2 lug 2001
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