Giuda.com/ Net-Addiction e nevrosi da webcam

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Dal sito della satira l'analisi della cosiddetta dipendenza da internet: Siamo malati e non lo sappiamo?
Dal sito della satira l'analisi della cosiddetta dipendenza da internet: Siamo malati e non lo sappiamo?


Web – C’è una nevrosi di cui si fa un gran parlare, ma sottovoce. Quasi a dire: “Che non si sappia in giro ma siamo tutti a rischio”, come fosse un morbo epidemico, ma non lo è affatto. Ugualmente potrebbe capitare che, toccati da un nume clandestino, l’Internet addiction ci venga a prendere e non ci lasci per un po’. Un ipotetico osservatore esterno al più ci guarderà perplesso o terrorizzato mentre di fronte al solito schermo del solito computer ozieremo incantati da una sindrome demenziale acuta che ci fa aprire la stessa email otto volte di seguito per constatare otto volte che quelle parole I-love-you non sono un virus ma una normalissima dichiarazione d’amore. A dire il vero fa paura più il nome (orrendo pure all’orecchio più ammaestrato) della malattia stessa, ammesso che di malattia poi si tratti: l’Internet addiction.

Ma vediamo nel dettaglio i primi sintomi e le forme più comuni seguendo un paradigma abbastanza classico per le patologie.

Primo sintomo inequivocabile di Internet dipendenza: da qualche mese il soggetto sotto osservazione si fa chiamare Tommaso benché si chiami Giovanni. Tommaso come il Santo, perché su Internet tutti hanno il diritto di fregarsi con le proprie mani e di farsi “semidei” con un nome, per essere qualche centimetro al di sopra di quel mezz’uomo in cui la sorte li ha confinati. Tommaso o Lara Croft come l’unica eroina più lenta della moviola di Pistocchi. Dopo un po’ il malato pretenderà di essere Tommaso anche tra gli amici d’infanzia. Se lo chiameranno Giovanni sulle prime non si volterà neppure, dopo qualche tempo non ricorderà la vera identità e cercherà di capire chi sia quella creatura di nome Giovanni che tutti invocano in sua presenza. Nel frattempo perderà i suoi amici d’infanzia e non se ne accorgerà.

Chat addiction: Il paziente è paralizzato davanti al monitor da mane a sera con le dita che vanno da sole ma non è Glenn Gould nelle variazioni Goldberg. Clicca come un ossesso su “aggiorna” perché la sua diletta si chiama Beatrice ottobit e lo pianta in asso senza degnarlo di una capriola e neppure di un tivvibbì tenuto insieme con lo stucco, sul feudo della sua webchat in un harem di “pronteatutto” umorose dall’alba al tramonto. Tutte per lui solo per lui. Chiama la metà dei suoi compagni virtuali con nomi del tutto originali ed impensabili per una fantasia ordinaria, fratellino, sorellina, cuginetto e cuginetta, al limite amore. Ogni tre parole una è amore ed una virtuale, l’altra un articolo determinativo o a scelta un “emoticon”.

Cybersex addiction: importante è la preparazione. Il paziente trasforma la sua stanza in un bunker, si guarda circospetto. Sono solo lui e la sua paranoia. Accende in un nanosecondo tre sigarette, il computer e la webcam ed intona: “Hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo”, quella di Napster. Napster, quelli che hanno inventato la musica. Poi chissà perché (e per chi) si spoglia immantinente manco avesse Cicciolina alle calcagna e con la grazia di un ippopotamo ma dalla cintola in giù, non c’è tempo per i preliminari e non fosse mai incappasse in un raffreddore. Girano troppi virus.

Muds addiction: il paziente tutte le notti, alle ventitre dell’orologio atomico di Berlino, si trasforma in Frodo Baggins del Signore degli Anelli e si gingilla con l’anello del potere (in realtà è l’anello di fidanzamento ma non ricorda l’ultimo appuntamento ed il nome della sposa o della rosa, stat rosa pristina nomine e pristina ancora stat un bidone). Ed ogni notte ripete il rito della zuffa con Saruman. Pure i lividi non cambiano mai, li ha disegnati con illustrator e li medica con photoshop. Poi salva il risultato e lo spedisce via icq alla cyberfidanzata che sovrascrive lo stesso file da tre mesi, byte più byte meno. Tenerezze e feticismo in formato zip.

Information overload addiction: il paziente non compra più un giornale dal tardo settecento. Non parla, non mangia, non dorme e non va in bagno. Sono rimasti solo lui, Remo Williams e Topolino. Un tipo un po’ attempato, Mr. Google, gli ha confidato in via riservata che ci sono miliardi di pagine Web ed infiniti portali di là da quelle. Ed eccolo impalato che legge per mesi la stessa notizia, ogni giorno ad un indirizzo nuovo: cambia di una parola e due virgole e così nel tempo di qualche eone si tramuta in una verità sensazionale che per nulla si sarebbe potuta perdere. Identica a quella di partenza. Virtuosismi di un’iterazione.

Varietà di patologie sottotipiche con manifestazioni di rilevanza critica:

Porno addiction: il paziente è caparbio fino al punto di interrogare Altavista in ordine alfabetico per trovare l’indirizzo privatissimo del proiettore olografico di Angelina Jolie per puntarselo dritto nell’iride.

Overclock addiction: su internet serve la potenza, quindi il paziente svaligia negozi e librerie specializzate e biblioteche medievali, compra a tappeto tutti i libri di alchimia e termodinamica manco fosse uno stregone con la passione per Maxell. Le ventole non gli bastano mai, quindi collega un condizionatore Plug and Play all’USB. Dopo il processore overclokka pure la moto, lo stereo, la lavatrice, i pattini ed il canarino e sincronizza tutto agli 8800 Mhz (giusto il minimo). Poi, risoluto, cerca di trasformare il computer in una centrale nucleare.
Ma Lara Croft continua ad avanzare più lenta di un mulo.

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Pubblicato il 23 lug 2001
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