Internet, Bocca e rotte da scoprire

Internet, Bocca e rotte da scoprire

di Manrico Corazzi. Sulla Tecnologia, pessimismo e scetticismo: una posizione comune a molti esponenti del mondo della cultura che trovano l'ovvia opposizione dei tecnocrati e dei profeti multimediali. Con due pillole di Carlà
di Manrico Corazzi. Sulla Tecnologia, pessimismo e scetticismo: una posizione comune a molti esponenti del mondo della cultura che trovano l'ovvia opposizione dei tecnocrati e dei profeti multimediali. Con due pillole di Carlà


Roma – New Economy, Old Story
Il giornalismo tradizionale non ama la Rete. Forse perché non la conosce. Forse perché è più tempestiva e libera nel fornire informazioni. Sta di fatto che dopo i primi goffi tentativi di circoscriverla in definizioni sono cominciati i consueti anacronistici attacchi contro il nuovo mezzo di comunicazione esente da confini, ribelle ai monopoli, alle leggi-bavaglio, ai copyright.

Pandemonium
Giorgio Bocca non dovrebbe avere bisogno di presentazioni, ma è doveroso ricordare alcuni dati essenziali.
Nasce a Cuneo nel 1920. Combattente della Resistenza, dopo la guerra intraprende la carriera di giornalista per varie testate storiche del nostro paese, fino a contribuire alla fondazione del quotidiano Repubblica nel 1975. Collabora attualmente con l’Espresso.
Ha pubblicato diversi libri per le edizioni Garzanti, Laterza, Rizzoli e Mondadori; citandone alcuni in ordine cronologico: Storia dell’Italia Partigiana(1966-1995), Storia d’Italia nella Guerra Fascista(1969-1996), Palmiro Togliatti(1973), La Repubblica di Mussolini(1977), Il terrorismo italiano(1978), Noi terroristi(vedete, lo ammette!-NdA), Il provinciale(1991), L’Inferno(1992), Metropolis(1993), Il sottosopra(1994), Il viaggiatore spaesato (1996), Italiani, strana gente(1997), Voglio scendere!(1998), Il secolo sbagliato(1999); alla fine di questo mese ne uscirà uno nuovo, edito da Mondadori, dal titolo Pandemonio: il miraggio della new economy.

Già dagli eloquenti titoli traspare un crescente pessimismo (e anche fastidio) dell’autore nei confronti della nostra storia recente e della modernità in tutte le sue manifestazioni. Questa posizione è comune a un numero non trascurabile di esponenti del mondo della cultura che trovano l’ovvia opposizione dei tecnocrati e dei profeti multimediali. Un dibattito incessante in cui è importante che i partecipanti cerchino l’equilibrio. Nel seguito cercherò di gettare luce su alcuni punti del delicato contendere partendo proprio dalle osservazioni di Giorgio Bocca.

Prendiamo, ad esempio, “Il Sottosopra”. Lo scrittore, ora residente a Milano, racconta alla figlia l’Italia vista attraverso i suoi occhi. A parte il fatto che la maggior parte dei padri quando vuole comunicare qualcosa ai figli non si fa pubblicare da Mondadori, il quadro che l’ex partigiano tratteggia è desolante. Si confessa avvezzo al tavolo dei potenti (De Benedetti, Passera, Berlusconi, Orlando…) ma è sottilmente disgustato dal loro rampantismo (e dalla cucina scadente).
Dileggia e rimprovera il “collega” Umberto Eco per l’intellettualismo e la vergogna di essere italiano (e qui potremmo anche essere d’accordo), per aver utilizzato il computer per scrivere libri e collaborato alla realizzazione di opere multimediali.
Ma scrivere libri “cut & paste” è sempre stato possibile; ora è divenuto solo più semplice. E se un’enciclopedia cartacea rimane (anche secondo me) la scelta migliore, un filmato, un suono, le ricostruzioni al computer (pensate ai dinosauri…) e soprattutto gli aggiornamenti da Internet espandono molto le potenzialità di approfondimento.

Bocca non risparmia il suo sarcasmo neppure a Moccagatta (numero due di Olivetti all’epoca):
– Dunque, tu sei sul prato della tua casa di montagna a La Salle, prendi Echos, ci scrivi sopra con la matita elettronica quello che vuoi far sapere al tuo direttore e lui se lo vede stampato dal fax o sul computer.
– Senti, e se io sto sul mio prato sopra La Salle proprio per non parlare con il direttore? (Bocca condivide quindi il DiCapriopensiero sui prati e sui palmari…).
– No, dai non scherzare, è tutto il lavoro che viene facilitato. Lui per esempio ti dice: Giorgio, io questo lo cambierei…
– No, Vittorio, non ci siamo proprio, lui se quel periodo non gli piace lo ha già tagliato.
(Scalfari condivide quindi il DelRossopensiero sugli articoli dei suoi collaboratori…:)

E questo rigetto della tecnologia da parte dello storico si perpetua, nonostante l’osservazione del giudice Caselli che evidenzia una maggiore difficoltà da parte della mafia a inserirsi nelle procedure burocratiche da quando l’informatica le ha rese più snelle. Qui ci sarebbe da precisare che l’informatica da sé non è sufficiente a velocizzare le pratiche, ci vuole la competenza degli operatori, e che comunque la malavita si sta riorganizzando per esplorare anche questo terreno.

Un rigetto comunque venato di schizofrenie e di ammissioni di inadeguatezza: in un articolo su Teléma Bocca stesso ammette che il PC è perfetto per chi come lui non ha facilità nell’uso della macchina da scrivere, perché consente numerose correzioni, anche se invidia il tecnico che ha un miglior collegamento tra le mani e il cervello. Altrove parlerà di “fatica” nell’apprendere i meccanismi di certi strumenti. (continua)


In altre occasioni il giornalista si scaglia contro la new economy e la globalizzazione. Esempi chiari sono un suo articolo comparso sull’Espresso e l’intervista rilasciata a Happy Web per il lancio del suo nuovo libro. In quello scambio di battute con Claudio Sabelli Fioretti, il veterano del giornalismo si lancia in affermazioni interessanti ma spesso discutibili.

Subito manifesta la sua convinzione che la connettività non sia indispensabile per il lavoro; altrove aveva già bollato tutta la comunicazione umana come una eco di oziose banalità.

Una nota di verità in fondo c’è: ammettendo la necessità di ciascuno di avere un telefono cellulare per segnalare i casi di emergenza ed essere sempre reperibili, pochissimi hanno l’effettiva esigenza di accedere a Internet tramite WAP, e spesso un abuso di questi mezzi ci costringe a prendere parte a scenette ridicole. Ma questo fenomeno, come altri che vedremo nel seguito, si è già verificato per altre icone della società del consumo; nell’arco della sua vita sicuramente Bocca ha avuto modo di assistere a notevoli evoluzioni nel costume, nell’economia e nella tecnologia, quindi non dovrebbe essere strano per lui vedere le novità che prendono piede lentamente prima fra le persone che ne hanno un reale bisogno, poi tra quelli per cui il lusso è alla portata del budget, poi via via per tutti gli altri.
Queste innovazioni stanno realmente cambiando il nostro modo di lavorare, permettendo a gruppi eterogenei di persone di collaborare a un progetto senza spese aggiuntive per gli spostamenti e gli affitti.

Cum Grano Salis

Attenzione, però, ci sono dei pericoli: il sociologo Domenico De Masi ha condotto uno studio che evidenzia chiaramente come il rapporto tra ore di lavoro e tempo libero sarebbe dovuto diminuire (d’obbligo il condizionale) sempre di più col trascorrere degli anni anche grazie all’aumento di produttività garantito dalla tecnologia.
Cioè: originariamente per produrre una ricchezza X occorreva un tempo T; visto che per produrre X ora occorre T/2, dovrebbe rimanere T/2 tempo libero. Invece la triste tendenza è di lavorare T per produrre 2X. Forse sin qui non ci sarebbe niente di male, anche se il mondo di una donna e di un uomo non dovrebbero mai essere confinati dalle pareti del posto di lavoro. Putroppo però spesso si lavora 2T per arrivare a produrre fino a 4X, si lavora di notte e nei weekend. Alienante.

La scomodità e a volte anche l’assurdità di usare il mezzo informatico per compiere operazioni che tradizionalmente richiedono pochi minuti e una passeggiata fino al fruttivendolo sotto casa sono dovute alla situazione contingente: finché non ci saranno le strutture di supporto e tutti si saranno adeguati, sarà perfettamente inutile possedere un conto bancario on-line perché al primo che vi stacchi un assegno dovrete comunque mettervi in coda allo sportello.
Non dimentichiamo poi che diminuire la necessità di spostamenti significa ridurre l’inquinamento e combattere la crisi energetica. Se sapremo strutturare le nostre città e i servizi intelligentemente, e se i meno fortunati potranno contare su aiuti finanziari adeguati, l’evoluzione non potrà essere che un bene per le categorie che non possono contare sui propri mezzi.

Nel seguito dell’intervista Bocca appunta la sua attenzione su due effetti collaterali di Internet che ritiene assolutamente deleteri.
Prima di tutto la considera una minaccia per la lingua italiana per l’introduzione di nuovi termini tecnici in Inglese, quasi un sistema per creare una nuova casta sacerdotale custode dei segreti che “intimidiscono i poveretti”.
Se è per questo, la lingua italiana è in pericolo perché ormai nessuno la insegna correttamente nelle scuole, poi perché viene continuamente storpiata in televisione: avete sentito qualcuno che utilizzi correttamente i congiuntivi, di recente? E, mi duole evidenziarlo, spesso gli autori di certi strafalcioni sono proprio i giornalisti. Quelli iscritti all’ordine, per intenderci. Un’altra casta sacerdotale.
Inoltre il gergo tecnico ha sempre sofferto di inquinamento, e i primi a importare le espressioni più eleganti dall’estero sono stati gli intellettuali. Persino parlando di calcio non si può evitare di attingere al vocabolario anglosassone. Se pensiamo che nelle partiture musicali l’italiano continua a essere utilizzato per le indicazioni di ritmo e di dinamica, l’indignazione forse dovrebbe smorzarsi.

Secondo motivo di odio è rappresentato dalla convinzione che alcuni utenti (definiti nell’intervista “gente umile”) considerino il mezzo di comunicazione in sé più di un semplice veicolo, elevandolo a rango di “portatore di conoscenza”. La mia “umile” opinione è che un’informazione debba essere sempre considerata in relazione all’attendibilità della fonte, e che il mezzo sia intrinsecamente oggetto di arte, ma che non abbia valenza comunicativa alcuna.
Vale a dire che un libro scritto male può avere grandi contenuti morali, filosofici o scientifici, e un libro stupendo può non avere alcun messaggio da offrire e mantenere tuttavia una dignità artistica.
Questa mia considerazione, che verrebbe sicuramente bollata dagli intellettuali come un rigurgito di estetismo “a là Wilde”, mette tuttavia al riparo dal pericolo di caricare Internet, i cellulari, la letteratura, il giornalismo, la pittura, la musica, la danza e ogni altra forma di espressione umana di un significato ulteriore a quello più evidente. Ringo Starr, ex Beatle, sosteneva che le interpretazioni che la stampa e la critica davano delle loro canzoni erano spesso per lui incomprensibili.

Il dato statistico per cui molti diano più importanza al cellulare che alla conversazione in sé, tutto sommato è un problema che si ripresenta ogni qual volta un nuovo linguaggio diventa di pubblico dominio: fateci caso, da quando l’analfabetismo è (quasi) sparito tutti si sentono giornalisti e scrittori e sprecano fiumi di inchiostro (o di byte, nel caso dell’autore di questo articolo).
Da sempre gli analfabeti hanno sostenuto che in fondo si può sopravvivere anche senza saper leggere e scrivere. Oggi l’analfabetismo informatico e linguistico generano nelle loro vittime la medesima ragionevolissima convinzione: non so usare il PC, Internet e il palmare, non parlo Inglese ma sopravvivo – ergo: tutto quanto citato è inutile se non deleterio.

Non si sottolinea mai abbastanza l’importanza che la scienza può avere per le persone disagiate. L’autore di “Noi italiani siamo razzisti?” non prevede di aver bisogno di assistenza nella sua quarta età. Si chiude nella roccaforte “delle persone anziane che non si arrendono”, e apprendiamo con una certa apprensione che, schierati al suo fianco, si trovano Scalfari (che però grazie a Kataweb suppongo che abbia arrotondato discretamente le sue entrate), Feltri (che è comunque contro tutti per principio), Beniamino Placido, Giuliano Gramigna e Massimo Fini (che è al di sopra di ogni sospetto: è da sempre stato un antitecnocrate). Possiamo fare a meno di loro? O non sarebbe meglio che ci illuminassero della loro esperienza senza presunzione, che di solita irrita l’ascoltatore giovane al punto da costringerlo a ignorare anche i buoni consigli? (continua)


Punta di diamante del discorso di Bocca è l’attacco alla new economy, che egli ritiene incapace di eliminare le sacche di povertà e rovesciare il vecchio capitalismo e che, anzi, sembra proprio l’ultima trovata delle cariatidi dell’economia per accumulare denaro in fretta.
Non mi sono sentito in grado di rispondere personalmente su argomenti così lontani dal mio ambito tecnico, e quindi ho chiesto il conforto dell’autorevole opinione di Francesco Carlà.

Da Simulmondo a FinanzaWorld
Francesco Carlà insegna Sistemi e tecnologie della comunicazione all’Università La Sapienza di Roma.
Giornalista tecnologico dal 1980 (si occupava di videogame su Microcomputer) e fondatore della software house Simulmondo, segue la Finanza Internet e i Tech e Net stocks dal 1995.
Dal 1999 è editore di Finanza World , la newsletter per investire in Internet.
In risposta all’ articolo di Bocca citato prima, egli pronostica (in maniera invero un po ‘ azzardata) la fine del capitalismo:

“E anzi sempre di più i capitalisti puri spariranno, nessuno vorrà più i loro soldi. Perché non servono. Internet gli toglie il potere di ricatto che ha fatto grandi tanti finanzieri in gessato dei suoi anni dorati. Non li rimpiangeremo. Ma come faccio a spiegarglielo? Le hanno presentato Internet come la nuova versione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Non sarà la liberazione interattiva delle masse, però aiuta i ciechi a vedere e i sordi a sentire. Beh, quasi tutti i sordi. A parte quelli che non vogliono sentire.” (testo completo) .
Le schermaglie tra i rappresentanti dei due schieramenti sono proseguite, ma ho premesso che non sono interessato alla cronaca di un incontro di fioretto (o di sciabola).

Durante un (purtroppo) breve scambio di battute Francesco mi ha confermato una mia impressione: stanno minimizzando il fenomeno della new economy in cui sono forze dinamiche e innovative a muovere i capitali. Ma sicuramente le voci di una morte della new economy sono grandemente esagerate. La constatazione merita un approfondimento che non mancheremo di fare.

A un certo punto dell’intervista citata Bocca, grazie alla sua considerevole esperienza di comunicatore, pone il discorso nei classici termini dialettici: la strada porta verso il futuro, ma il bivio è tra il paradiso e l’inferno e una non meglio precisata propaganda vuole farci credere che sia tutto oro quello che luccica, lasciandoci ignari dei veri rischi. Troppo drastico, a mio avviso.

Per chi ha assistito alla nascita della Grande Rete è ben chiaro cosa sia Internet: un groviglio di cavi in rame o fibra ottica collegati a scatole di acciaio, silicio, plastica e vetro. Nello stesso senso in cui un libro è un impasto di cellulosa trafilato coperto di macchie di inchiostro. Le potenzialità comunicative di quella spaghettata di cavi sono enormi.

D’altro canto grandi poteri comportano grandi responsabilità. E chi fa uso di strumenti tanto sofisticati e potenti compie azioni giuste, sbagliate, utili o inutili in proporzione. Il discorso è del tutto generale e vale per i ricercatori universitari, per i criminali, per i giornalisti seri, per i pornografi.

Mi perdonerete la crudezza: il rapimento di un bambino si può organizzare anche tramite il telefono analogico, la rete e i cellulari GSM o UMTS non sono indispensabili; e la pedofilia non è una piaga nata con il web. Ma una persona anziana o una giovane in difficoltà possono trarsi d’impaccio più agevolmente grazie a un telefonino.

Il problema non è la legge della jungla del web, dove nuovi fenomeni criminali e selvagge e spregiudicate alleanze economiche attecchiscono vigorosi; il nodo centrale rimane sempre che, data la natura umana, il prodotto tra ordine e caos è costante. C’era un pensatore fascista che sosteneva che lì dove arretra anche solo di un passo la libertà aumenta di cento volte l’ordine delle cose. Immagino che non fosse certo questo il punto dove voleva arrivare il signor Bocca azzardando una regolamentazione della rete.

Il suo timore, evidente da certe affermazioni, è che Internet rimpiazzi i rapporti umani come, secondo lui, ha già fatto con i libri e i giornali. La mia esperienza personale è che gli appassionati di informatica siano lettori avidi ed eclettici, e che grazie all’e-commerce molte case editrici anche piccole possano permettersi di rimettere in gioco il loro lavoro (penso alla mia esperienza con le Edizioni Thyrus che cercano di preservare la cultura sacra, storica e paesaggistica dell’Umbria). E recenti studi dimostrano che non è vero che i geek vivano tappati in casa.

Il fatto che Bocca candidamente affermi di non servirsi del web non fa che confermare il mio sospetto che le sue opinioni si siano formate tramite le considerazioni di altri, dei suoi colleghi giornalisti che tradiscono una spiccata ignoranza delle questioni tecniche e che sottovalutano la reale portata di un fenomeno che sfugge alla loro comprensione per via delle innumerevoli sfumature di bene, male, utile, inutile, criminoso e nobile che imprescindibilmente lo segnano e lo costituiscono.

Signor Bocca, mi rivolgo a lei come potrei rivolgermi a mio nonno, suo coetaneo; egli mi ha confidato che, in guerra, per comunicare utilizzavano il telegrafo da campo e le bandiere rosse e bianche, e che ha chiamato per la prima volta tramite un telefono pubblico nel ’45; solo da trent’anni lo ha in casa. Era diffidente verso il cellulare, ma ha saputo adeguarsi quando si è reso conto che per lui poteva essere un aiuto nella malattia.

La mia generazione ha assistito agli sviluppi di questa tecnologia seguendola dal suo embrione con naturalezza ed è in grado di muoversi nelle intricate autostrade dell’informazione con disinvoltura, giudicando autonomamente quale direzione prendere e quale evitare.

Immagino che lei conosca la procedura con cui si torchia l’uva; se non fosse così può sempre chiedere a suo genero o a sua figlia (ammesso che lo facciano ancora manualmente). Dapprima il torchio viene riempito di uva macinata; dopo una prima spremitura viene aggiunta altra uva nello spazio che si è venuto a formare. Gli scarti si buttano e il mosto che fluisce tra le doghe viene raccolto e conservato per la fermentazione.

Internet è un po ‘ così: si accumula, poi si fa spazio e si aumenta la banda; le informazioni imprecise o superficiali vengono abbandonate, ma alla fine le opere migliori rimangono, crescono e si affinano. Interrompo sul nascere la tirata autocelebrativa, Punto Informatico non ne ha bisogno. Però la invito a non temere Internet: gli unici dèmoni che la popolano sono i processi che smistano la posta e gestiscono gli accessi ai server.

Lo so, lei crede che il nostro sia “Il secolo sbagliato”, ma come anche lei nota (per esperienza personale) chi giudica i gruppi rivoluzionari dall’esterno senza averne fatto parte vede solo il male e ascolta esclusivamente la cattiva propaganda.

<a href="mailto:corazzi@deandreis.it" Manrico Corazzi

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Pubblicato il
14 ott 2000
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