Apple/ Il Cubo di Jobs

Apple/ Il Cubo di Jobs

di D. Galimberti. PowerCube: evoluzione o rivoluzione? Successo o fallimento? Facciamocelo raccontare dal nostro inviato nel mondo Mac, che ha provato per noi la nuova creatura partorita dalla mente di Steve Jobs
di D. Galimberti. PowerCube: evoluzione o rivoluzione? Successo o fallimento? Facciamocelo raccontare dal nostro inviato nel mondo Mac, che ha provato per noi la nuova creatura partorita dalla mente di Steve Jobs


Un mese fa mi recavo ad acquistare un PowerCube, l’ultima creazione di Jobs, tanto amata quanto contestata (e vedremo poi il perché). La prima cosa che ho chiesto al (gentilissimo) commesso sono state informazioni riguardanti i problemi di cui tanto si vociferava in rete: la righe/crepe sul guscio esterno e il pulsante di accensione supersensibile che causa improvvisi e indesiderati spegimenti/accensioni del computer (per chi non lo sapesse il Cube ha il pulsante di accensione “a sfioramento”).

Quest’ultimo problema pare che non abbia afflitto nessuna macchina di quelle vendute nel negozio, quindi non mi preoccupo più di tanto; per quanto riguarda le righe/crepe, pare che tutte le macchine presenti in negozio mostrino gli stessi segni nelle medesime posizioni (mi viene quindi difficile pensare che si trattino di crepe).

Arrivo a destinazione con il mio nuovo PowerCube450 (il 500 è venduto solo on-line) e procedo all’installazione; la macchina è veramente piccola (le fotografie non rendono giustizia), l’attenzione ai particolari è maniacale e il design, inutile dirlo, è favoloso. Il lettore di CD/DVD è uno slot-in a caricamento verticale: chi non lo sa potrebbe non accorgersi della sua presenza. Al centro trova spazio l’ampia grata di ventilazione che permette al Cube di lavorare senza ventole in assoluto silenzio. Dietro la grata c’è il già citato pulsante di accensione a sfioramento, soluzione voluta da Apple per mantenere la linea “pulita” e senza sporgenze.

La prima operazione che faccio è girarlo “a testa in giù”, premere la maniglia e sfilarlo dal guscio per aggiungere altri 128 MB di RAM (normalissima RAM per PC) ai 64 un po’ esigui della configurazione base. Dopodiché collego tutti i cavi (visto che le uscite sono tutte sul fondo), rimetto il PowerCube “in piedi” e installo il sistema operativo (non prima di aver partizionato l’HD in quattro parti, come mio solito). Il tutto dura circa quindici minuti, dopo i quali sono quasi pronto per iniziare a lavorare: devo ancora trasferire i dati dal “vecchio” iMac e installare qualche applicazione.

Il trasferimento di dati (circa 1GB) avviene in una ventina di minuti grazie ad un cavo crossover; inutile dire che la configurazione della rete tra le due macchine è questione di pochi click. L’installazione delle applicazioni è ancora più rapida, e dopo solo un’ora (o poco più) dall’apertura della scatola sono operativo al 100%.


Prima di iniziare a lavorare mi metto a curiosare qua e là nel sistema, scoprendo un file audio che mi fa saggiare la bontà delle nuove casse Harman-Kardon. Scopro anche che il sistema operativo non è un MacOS 9 “puro” ma ha qualche pannello di controllo studiato ad hoc per il Cube (come per l’appunto il pannello di controllo del suono).

Cominciando a lavorare si apprezza da subito la nuova tastiera e il nuovo mouse. La tastiera è finalmente estesa (un gradito ritorno), sensibile al punto giusto, e comprende anche i comandi per la regolazione del volume e l’espulsione del CD/DVD. Unica pecca (almeno per chi è utente Mac da lunga data) è la disposizione dei tasti: la nuova tastiera non è più l’originale “tastiera italiana” ma è la classica tastiera per PC, ovvero una tastiera americana con l’aggiunta delle lettere accentate. Probabilmente una scelta del genere è stata presa per abbattere i costi di produzione e facilitare l’uso del Mac a chi proviene dal mondo PC. Per quanto mi riguarda preferivo di gran lunga la disposizione precedente anche se, usando da vari anni sia Mac che PC, non mi trovo particolarmente a disagio.

Degno di nota anche il nuovo mouse; si tratta infatti di un mouse ottico: preciso, sensibile, senza problemi di sporcizia (visto che non ha la pallina) e senza bisogno di mouse-pad. Altra variazione rispetto alla versione precedente è la forma: non più un mouse piccolo e tondo (tanto criticato proprio per le ridotte dimensioni), ma un mouse di forma “normale” allungato quanto basta e con un ottimo design.
Ultima innovazione che lo rende diverso da qualsiasi altro mouse in commercio è la posizione del pulsante: questo si trova praticamente “sotto la pelle” del mouse e si preme schiacciando il mouse dove si vuole, come se fosse un pedale (è possibile impostare tre diversi livelli di sensibilità). Volendo l’unica pecca è che si tratta ancora di un mouse ad un solo tasto, situazione alla quale gli utenti Mac sono comunque abituati.

Tornando al Cubo vero e proprio, le prestazioni del G4 si fanno sentire: nonostante alcuni limiti imposti dall’ingegnerizzazione estrema delle forme, la macchina risponde prontamente a tutte le operazioni, e lavorare con iMovie2 (fornito con la macchina) è un vero spasso.


A bene guardare nel cubo si trovano però anche particolari non molto gradevoli… Il cubo è bello e piccolo, ma proprio le dimensioni ridotte della macchina hanno obbligato ad adottare la soluzione dell’alimentatore esterno, anch’esso curato nel design ma decisamente ingombrante…

Fortunatamente la lughezza dei cavi in dotazione permette di posizionarlo tranquillamente sul pavimento evitando di occupare sulla scrivania lo spazio lasciato libero dalle ridotte dimensioni del computer. Il perché delle dimensioni notevoli dell’alimentatore è presto detto: il PowerCube ha (proprio come i nuovi G4) due uscite video: una normale S-VGA e il nuovo connettore ADC. Questo particolare connettore permette di trasportare in un unico cavo il segnale video, il segnale USB (i monitor Apple hanno tutti delle porte USB aggiuntive) e l’alimentazione. Un bel risparmio in termini di cavi, sacrificando però un po’ di compatibilità… non tanto per il computer in sé stesso (che, come abbiamo detto, ha anche un’uscita standard VGA), quanto per i nuovi monitor, che, adattatori a parte, possono essere utilizzati solo con le nuove macchine Apple.

Bisogna inoltre considerare il fatto che il Cube ha due porte USB, le quali, se non sono integrate dalle USB dei monitor Apple, sono entrambe occupate: una dalla tastiera e l’altra dalle casse. Rimane una porta libera sulla tastiera, ma non tutte le periferiche (per questioni di alimentazione) vi si possono collegare. Un masterizzatore USB, ad esempio, deve infatti essere collegato direttamente al computer, e le stesse casse fornite da Apple non funzionano se collegate alla tastiera.

L’unica soluzione (se non si utilizza un monitor Apple) è quella di dotarsi di un hub-USB, ma a questo punto se fate i conti di tutti i cavi che avrete sulla scrivania vi accorgerete che buona parte dello spazio risparmiato dalle dimensioni contenute del Cube è svanito…


In definitiva il Cube è una macchina potente, bella e piacevole da utilizzare; come mai allora non ha venduto quanto ci si aspettava? Probabilmente perché, design a parte, si tratta di una macchina di difficile collocazione sul mercato: compatto e inespandibile come un iMac, ma potente e costoso come un G4. Inadeguato al professionista che vuole l’espandibilità e le prestazioni di un G4 multiprocessore, ma troppo caro per l’utente comune che “si accontenta” dell’iMac.

Si tratta di una macchina indirizzata solo all’utente esperto, quello che comprerebbe un G4 base ma è disposto a sborsare qualche lira in più per avere un oggetto esteticamente importante. Forse un Cube più economico, basato magari su di una CPU G3, avrebbe avuto più successo in quanto si sarebbe identificato come una sorta di “iMac avanzato” piuttosto che un “G4 ridotto”.

Non a caso Apple in questo periodo sta proponendo uno sconto di ben 300 dollari a chi acquista un Cube con un qualunque monitor Apple, e le vendite risalgono (così come il titolo in borsa) mentre noi cominciamo già a fantasticare sulle novità che verranno introdotte sul prossimo portatile. Ma questa è un’altra storia.

Domenico Galimberti

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Pubblicato il 5 nov 2000
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