Internet e il mercato: una storia già sentita?

Internet e il mercato: una storia già sentita?

di Alessandro Venturi. L'informazione in Rete non è un servizio pubblico, bensì un prodotto il cui valore è determinato da una logica prettamente pubblicitaria. Quando la schiavitù dell'auditel diventa sistema in Internet
di Alessandro Venturi. L'informazione in Rete non è un servizio pubblico, bensì un prodotto il cui valore è determinato da una logica prettamente pubblicitaria. Quando la schiavitù dell'auditel diventa sistema in Internet


Web – Dal Salone dei Congressi dello SMAU si levò un grido: “Il sesto potere è il mercato!”. Questa sentenza autoassolutoria, pronunciata da Fausto Gimondi (direttore generale di Virgilio), è stata l’apice della conferenza conclusiva del Salone delle Macchine per l’Automazione d’Ufficio. Sotto accusa infatti era Internet, destinato secondo i critici ad affiancare, se non sostituire, televisione e stampa come centro di potere nella società contemporanea.

Semplice il concetto espresso da Gimondi, condiviso dai maggiori esponenti della new economy presenti in sala o meno: la grande novità portata dalla Rete è la creazione di un sistema di comunicazione in cui l’informazione fornita agli utenti è esattamente quella che da questi viene richiesta, né più né meno. Starebbe per finire, dunque, l’era del controllo delle fonti, della distorsione delle notizie, delle pressioni politiche, del plagio, della censura. In base alle statistiche del traffico nel proprio sito web, l’editore è in grado di conoscere in tempo pressoché reale gusti, preferenze e orientamenti dell’audience. Con un sistema puramente democratico, l’informazione gradita dalla maggioranza vince.

L’interattività, il continuo feedback fra chi scrive e chi legge, consente di plasmare i contenuti sulla figura dell’utente medio. Chi fra gli editori vecchi e nuovi non è grado di farlo, chi non ha l’elasticità necessaria essendo abituato alle vecchie logiche, è destinato ad uscire di scena. Diverranno in breve obsolete le prime pagine decise a tavolino, le riunioni redazionali per stabilire cosa vada divulgato e cosa no, finirà lo spazio garantito ai potenti e negato ai deboli. Il potere è nelle mani degli utenti della rete, che con i loro clic decretano la vera gerarchia d’importanza delle notizie, dei commenti, degli approfondimenti, dei servizi tematici, delle inchieste.

Ma allora perché, a sentire i massimi protagonisti della rete.it, il Sesto potere è il mercato, e non gli utenti? Ovvio: perché i portali e tutti i principali soggetti che gestiscono l’informazione in Rete sono delle imprese, e la comunicazione è il loro core-business. L’informazione in Rete non è un servizio pubblico, bensì un prodotto il cui valore è determinato da una logica prettamente pubblicitaria. La principale fonte di sostentamento dei portali è costituita dalla vendita di spazi pubblicitari, in modo particolare banner. Dunque il loro obiettivo principale non è fornire informazione di pubblica utilità, non è offrire un’informazione completa ed equilibrata, non è fare una panoramica corretta su ciò che accade nel “mondo reale”. O meglio, lo sarebbe se ciò fosse quanto il mercato domanda.

Ma la domanda di mercato, è emerso al convegno SMAU, si orienta in modo ben diverso. Per fare un esempio, le “page views” totalizzate dalle pagine dei portali dedicati ai divi della televisione ammontano a cifre che ridicolizzano il traffico generato da notizie e commenti sulle importanti decisioni di politica nazionale e internazionale. Simile il confronto fra le “boy band” e il conflitto israeliano-palestinese. I portali dunque adeguano la loro offerta a una domanda di questo tipo, per aumentare il traffico sulle loro pagine e, con questo, gli introiti pubblicitari che da esso dipendono. Tale meccanismo ricorda qualcosa di molto “old economy”: la dipendenza delle televisioni dai dati auditel. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, per l’ennesima volta. C’era chi si illudeva che la smodata libertà di scelta offerta da Internet avrebbe finalmente affrancato le persone dal loro ruolo di audience, costrette a scegliere fra la padella di Domenica in e la brace di Buona domenica, fra Carramba e Paperissima, fra Vespa e Fede. Da uno zapping rinchiuso in una decina di canali a una scelta fra infinite proposte diverse, alternative, innovative. Ma la schiavitù dell’auditel diventa sistema in Internet. In Rete cade l’alibi della scarsa qualità dell’offerta, perché l’offerta è, per la prima volta nella storia dei media, direttamente determinata dalla domanda.

Il merito delle nuove tecnologie, in ultima analisi, sembra quello di chiarire un grosso equivoco del nostro tempo: che se le persone si interessano di cose futili (ma molto divertenti) anziché di cose importanti (ma molto serie) la colpa sia da attribuire ai media che imbottiscono di cretinate la popolazione, la quale altrimenti discetterebbe di questioni di estrema importanza anziché delle vicende dei mediocri partecipanti al Grande fratello. La realtà è ben diversa, come del resto testimonia la scarsa tiratura dei quotidiani o la modesta audience dei telegiornali. Se nel mondo reale musei e biblioteche sono deserti e i centri commerciali sono pieni, non si vede perché la Rete non dovrebbe trasformarsi in un gigantesco supermercato. Ha ragione Fausto Gimondi, direttore generale di Virgilio: il Sesto potere, come il Quinto e il Quarto, è il mercato. Qualcuno aveva qualche dubbio in proposito ?

Alessandro Venturi

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il 18 nov 2000
Link copiato negli appunti