Videogames, materia da Università

Videogames, materia da Università

A. Massucci. Lo pensa un docente di Irvine, in California, che si sta facendo in quattro per far passare un corso di dieci esame sull'arte dei videogames. Ma si scontra con la comunità accademica tradizionalista
A. Massucci. Lo pensa un docente di Irvine, in California, che si sta facendo in quattro per far passare un corso di dieci esame sull'arte dei videogames. Ma si scontra con la comunità accademica tradizionalista


Web – “I videogiochi e il giocare con questi games sono stati largamente ignorati dalla comunità accademica. Un approccio più completo e informato alla produzione artistica e tecnica, alla diffusione e al consumo dei giochi e dell’attività ludica deve essere intrapreso se intendiamo migliorare le istituzioni culturali che formano le nostre identità individuali e collettive, nonché realizzare nuovi processi di comunicazione e creatività”.

Questo “statement” è una proposta per un nuovo corso universitario scritta da Robert Nideffer, un docente di materie artistiche dell’Università di Irvine, in California. E non è una proposta provocatoria, Nideffer è convinto che le università stiano colpevolmente evitando di occuparsi di un aspetto che non è solo fondamento di un’industria in crescita esponenziale ma anche “luogo” di interazione sociale, formazione, sviluppo. La sua tesi è chiara: il gioco è da sempre al centro degli studi pedagocici, ma il videogaming deve uscire da questo “recinto”, perché è compreso di e “in” arte e industria.

La facoltà di Nideffer per due anni consecutivi ha bocciato questa proposta, ritenendo di non potersi occupare di videogaming sul piano accademico. Ma il fronte del “no” sta cedendo e il professore californiano si dice convinto che sui 12 membri votanti del Consiglio accademico potrebbe nei prossimi giorni ottenere la maggioranza.

La resistenza è forte. In una lettera pubblicata sui media, ma che era pensata per essere “personale”, il Decano della scuola di scienze sociali dell’Università di Nideffer, William Schonfeld, ha scritto: “Un programma di studio accademico che ponga ufficialmente al centro lo studio dei games corre il forte rischio di attrarre studenti sulla base di interessi banali. Non credo che dovremmo dare questo tipo di messaggio se vogliamo essere una università di ricerca al massimo livello”.

Nonostante “le barricate” che il mondo accademico può sollevare contro la proposta Nideffer, il professore sta guadagnando nuovi consensi tra i suoi colleghi. Nell’Università ormai si parla della cosa come della possibilità di studiare a fondo la “culura popolare” a cui ora il videogaming viene associato. E Nideffer potrebbe davvero vincere la battaglia, visto che ha previsto che il corso di studi in videogiochi deve prevedere almeno dieci rigorosi e difficili esami.

Che la proposta passi, tra qualche giorno o l’anno prossimo, è scontato. Non solo, passerà ad Irvine e via via nelle altre università, legate a doppio filo, negli States, ai finanziamenti dei privati. Privati che producono videogames, videogames che sono i protagonisti di quattro cd-Rom in vendita su cinque. Vincerà il vecchio accademico che non può vedere di buon occhio i figli della Playstation o un giovane, dinamico docente capace di attrarre gli interessi di una colossale industria?

Alberigo Massucci

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Pubblicato il
20 gen 2001
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