Contrappunti/ Larga banda all'italiana

Contrappunti/ Larga banda all'italiana

di Massimo Mantellini. La task force ministeriale bacchetta tutti, dalle telecom agli operatori, ai fornitori di contenuti. Ma chi terrà conto delle bacchettate? Un saggio di rara competenza interministeriale che impatto può avere?
di Massimo Mantellini. La task force ministeriale bacchetta tutti, dalle telecom agli operatori, ai fornitori di contenuti. Ma chi terrà conto delle bacchettate? Un saggio di rara competenza interministeriale che impatto può avere?


Roma – Io non so sinceramente cosa pensare del rapporto appena pubblicato dalla Task Force sulla larga banda voluto dal Ministro Stanca. Si tratta di un documento pregevole, forse l’analisi più lucida che un governo nazionale abbia prodotto nell’ultimo decennio in materia di nuove tecnologie, e – contemporaneamente – di un piccolo saggio moraleggiante senza eccessive ricadute concrete.

Gli esperti convocati dal Ministro Stanca allo scopo di capire lo stato dell’arte della larga banda in Italia hanno fatto – perfino velocemente – un ottimo lavoro di analisi, circostanziando nelle 83 pagine del rapporto, gran parte dei problemi più importanti da affrontare se si vuole “davvero” migliorare l’accesso alla rete Internet in Italia. Riassumo quelli che a me paiono centrali:

La larga banda è una priorità

Si tratta in realtà di una constatazione banale, sulla quale tutti sembrano oggi d’accordo. Se si vuole pensare seriamente ad uno sviluppo economico e sociale del paese è necessario investire affinché le imprese, le amministrazioni pubbliche e i cittadini possano essere adeguatamente collegati, prima di tutto su rete fissa. Questa riconquistata sanità mentale, dopo che per qualche anno abbiamo sentito Ministri e amministratori delegati di telecom varie vaneggiare su improbabili telefonini che avrebbero annullato lo storico gap italiano nell’accesso a Internet rispetto agli altri paesi, non può che farci piacere. Nel rapporto della task force è scritto così a chiare lettere: “..il mobile di terza generazione (UMTS) potrà avere uno sviluppo sostenibile solo se combinato alla crescita della larga banda “wired”.

Ma se davvero si comprende che l’accesso è una priorità per il paese e se si ha il coraggio di dare una occhiata al desolante panorama attuale della larga banda italiana ne deve conseguire (come scrive il rapporto e come andiamo ormai ripetendo da anni) che “Senza un ruolo di indirizzo, coordinamento e stimolo degli investimenti e della domanda, i tentativi di lasciare completamente alle dinamiche di mercato lo sviluppo dei sistemi di comunicazione, non hanno portato risultati soddisfacenti.” (pg 11).

Ecco, i membri della commissione interministeriale con queste poche frasi si sono già abbondantemente guadagnati (per quanto può valere) la mia stima; e comunque tutta la prima parte del rapporto è piena di considerazioni ed esplicazioni puntuali e condivisibili, a partire dalla definizione stessa di “larga banda” nella quale si fa esplicito riferimento non tanto alle sue caratteristiche tecniche quanto al concetto di interattività come chiave di comprensione del nuovo media.
Per continuare con una visione dei problemi dell’accesso alla tecnologia molto orientata (finalmente) nei confronti dell’utente consumer, ecco a pagina 14 citate fra gli esempi di possibili utilizzi del broadband anche le reti peer to peer, definite correttamente “comunità di utilizzatori che scambiano vicendevolmente informazioni e servizi in modo paritetico” . Un definizione quasi incredibile in un documento ministeriale se si considera il processo di demonizzazione in atto nei confronti del P2P e dei software di file sharing.

Sottolineo questi passi perché trovo che siano un esempio di corretto approccio alle problematiche dell’accesso a Internet dove viene per la prima volta dopo troppo tempo restituita agli utenti, ma prima ancora ai cittadini, la centralità che compete loro non solo nell’utilizzo delle tecnologie, ma anche nella scelta su quali siano da incentivare e quali no.

Telecom e gli altri

Di rimando, chi non ci fa una gran figura, nel rapporto della task force sulla larga banda, sono gli operatori telefonici, in particolare Telecom Italia, accusata senza troppi giri di parole di pratiche anticoncorrenziali e di scarsa trasparenza contabile (pg.54). Con essa anche gli altri operatori, i cosiddetti OLO, che nelle parole della commissione vengono descritti come soggetti incerti, in attesa e senza grandi intenzioni di rischiare in proprio. Perfino i fornitori di contenuti ricevono qualche energica bacchettata sulle mani quando vengono descritti così:

“L’atteggiamento di attesa degli operatori in merito alla realizzazione di contenuti per la larga banda, si manifesta oggi soprattutto nell’industria dei contenuti e servizi consumer, dove all’incertezza sull’esistenza di modelli di business sostenibili, si affianca il timore che la larga banda possa compromettere in maniera significativa una parte importante del business attuale”.

Come se tutto questo non fosse ancora sufficiente, ecco che la commissione si schiera per una separazione netta dei business legati alla gestione della rete e delle infrastrutture di accesso da quella dei servizi. Anche questa – a ben vedere – è una posizione del tutto antitetica rispetto ai recenti e infausti precedenti dell’assegnazione delle licenze UMTS dove, agli operatori telefonici assegnatari, è stata concessa la contemporanea gestione della rete e dei contenuti.

Gli urli della task force

Lo confesso, è a questo punto che sono iniziate a sorgere le prime perplessità. Chi ascolterà le grida di allarme della task force della larga banda? Che valore avranno le raccomandazioni degli esperti in questione che sembrano non voler risparmiare critiche a nessuno? Il ministro Stanca e il ministro Gasparri ne terranno conto e in quale misura?

Piano piano la commissione sembra così trasformarsi ai miei occhi in un angelo sterminatore, abilissimo a individuare le storture, i ritardi, le responsabilità di ogni singolo soggetto in gioco e altrettanto lucido e sbrigativo nell’ emettere sentenze, che pur anche noi sentiamo in gran parte di condividere. Ma poi, che ne sarà di questi giudizi taglienti? E che senso ha affermare genericamente che “E’ necessario che la normativa in materia di tutela della proprietà intellettuale modifichi in maniera tale da favorire tale evoluzione, tutelando nello stesso tempo, sia gli interessi dei fornitori di contenuti, sia quelli degli utilizzatori” (pg.45)?

Sapranno bene gli esperti della larga banda che in materia di copyright ai tempi di Internet si sta tentando da anni in sedi sovranazionali di fare qualche passettino in una qualsiasi direzione senza che si sia ottenuto per ora il benchè minimo risultato. Oppure perchè abbandonarsi a facili affermazioni di principio come quelle sul digital divide, descritto nel rapporto non come fenomeno essenzialmente sociale (come sarebbe opportuno) ma in termini più meramente classificatori e statistici come piace invece tanto agli americani? (pg 40).

Leggiamo il rapporto degli esperti del Ministro Stanca per quello che è: un ottimo lavoro di analisi e di indirizzo, specie nella parte che riguarda le proposte concrete al governo per aiutare lo sviluppo del broadband in Italia. Un esempio di competenza che a livello ministeriale in materia di nuove tecnologie fino ad oggi ha avuto pochissimi eguali e tuttavia viziato da una specie di sindrome del battitore libero: quella lieve ipertrofia dell’ego che consente, in particolari occasioni, di non preoccuparsi troppo, a causa della propria posizione di outsider, delle conseguenze concrete che spesso le parole tendono ad avere.

Liberi i Ministri dell’Innovazione e delle Comunicazioni di seguire solo in parte le indicazioni della task force, la quale pubblica a costo zero, tra le altre cose, la banale affermazione che le linee CDN in Italia costano troppo e sono ancora monopolio assoluto di Telecom Italia.
Non è una grande scoperta nè per noi nè – immaginiamo – per l’Authority delle Comunicazioni, competente a risolvere questo problema, sul quale invece continua a tergiversare da anni. Basteranno le ingiunzioni perentorie di una commissione interministeriale per fare cambiare le cose? Abbiamo qualche dubbio.

Massimo Mantellini

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Pubblicato il
18 feb 2002
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