Quando lo spammer denuncia l'antispam

Quando lo spammer denuncia l'antispam

di A. Massucci. Si ripete un ritornello già sentito, nel quale chi si oppone alle pratiche spammatorie finisce sotto il maglio di una impresa capace di una forte e costosa iniziativa legale. Necessario l'intervento della comunità internet
di A. Massucci. Si ripete un ritornello già sentito, nel quale chi si oppone alle pratiche spammatorie finisce sotto il maglio di una impresa capace di una forte e costosa iniziativa legale. Necessario l'intervento della comunità internet


Roma – Il caso che oppone in Australia la T3 Direct a Joseph McNicol è emblematico dei difficili tempi della rete, nei quali chi si batte per una internet più libera e meno oppressa dallo spam viene sempre più spesso preso di mira da quelle imprese che ha accusato di attività spammatorie. Il tutto è naturalmente aggravato dal ricorso di queste aziende ad avvocati di grido capaci di intimidire il privato che si trova in difficoltà anche soltanto per sostenere i costi di una difesa legale all’altezza.

La sostanza della faccenda, qui il sito di riferimento , è che la T3 Direct, la cui fama è tale che viene definita da alcuni esperti come “spamhaus”, ha chiesto circa 45mila euro di danni a McNicol, accusato di aver provocato l’inserimento di T3 Direct nella black list antispam gestita dal celeberrimo Spews.org .

Quei 45mila sembrano tanti ma T3 ha dettagliato il conto della spesa nella propria denuncia. 8mila sarebbero da imputarsi a danni dovuti al rimpiazzo dei numeri IP bloccati nella lista nera, altri 3mila per l’intervento dei tecnici per la creazione di un nuovo sistema email, 3mila per l’acquisto di un nuovo server e i rimanenti per i mancati guadagni dei 20 giorni in cui l’azienda ha atteso che la propria connettività fosse riattivata.

Come andrà a finire? L’esito, per fortuna, questa volta non sembra scontato.

Attorno a McNicol si sta infatti radunando una imponente comunità di utenti e alcune associazioni che sostengono le operazioni antispam. A queste si aggiungono le dichiarazioni di alcuni provider che hanno già affermato pubblicamente sulla stampa di aver in passato avuto numerosi problemi con la posta inviata da T3 Direct.

Grazie a questa mobilitazione è già nato il “Save Joey McNicol Legal Defence Fund”, un fondo che punta ad accumulare poco meno di 100mila euro nel giro di una settimana per consentire una difesa di valore e fermare l’aggressione giudiziaria degli spammer.

Solo un team legale esperto, infatti, viene visto in condizione di reagire a tono alla denuncia di T3 Direct. Ed è forse solo “l’abbraccio” della comunità internet che può salvare i “piccoli” come McNicol che su internet hanno il coraggio di denunciare le attività più sporche commesse dai “grandi” a spese di tutti.

Alberigo Massucci

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Pubblicato il
4 giu 2002
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