No ai fondi pubblici per i siti web

No ai fondi pubblici per i siti web

di Paolo De Andreis - Qualcuno ritiene che finanziamenti pubblici per siti di rilevanza culturale siano dovuti. Ma non fa i conti con il pubblico, che quei contenuti dovrebbe consultare. In sua assenza nessuna spesa è giustificata
di Paolo De Andreis - Qualcuno ritiene che finanziamenti pubblici per siti di rilevanza culturale siano dovuti. Ma non fa i conti con il pubblico, che quei contenuti dovrebbe consultare. In sua assenza nessuna spesa è giustificata


Roma – Come non essere d’accordo con chi, in un marasma di contenuti internet casuali e banalizzanti, intende sostenere coloro che invece puntano sulla qualità, sulla cultura con la C maiuscola? Non è facile, perché l’aspirazione a spazi web all’altezza delle più elevate aspettative è in sé motore di una degna battaglia di civiltà.

Eppure la sottoscrizione online proposta in questi giorni dal sito CosediLegge per ottenere finanziamenti pubblici per siti di “rilevante interesse culturale” non è condivisibile e, anzi, è persino pericolosa per i contribuenti.

L’idea è tanto semplice da sembrare ovvia: l’Europa sostiene e spinge l’istruzione e la cultura europee affinché queste raggiungano tutti a qualsiasi età, in un contesto “formativo” continuo e progressivo. In questo quadro internet gioca dunque un ruolo determinante, perché consente la disseminazione e l’aggiornamento dei materiali e dei riferimenti culturali come mai nessun medium prima. Da qui la richiesta di fondi per siti o progetti di siti che una commissione riterrà meritevoli di essere finanziati.

Quel che si vuole ottenere è che un sito ad accesso gratuito e privo di pubblicità possa vivere per quello che fa. Il concetto è bello, nell’accezione più ampia del termine, ma si scontra inesorabilmente con un dato di realtà che già in altri settori della contribuzione pubblica si è scelto di ignorare: l’effettiva fruizione di quanto prodotto da parte del pubblico e, nello specifico, dei contribuenti che pagano tutto questo.

Può sembrare cosa di poco conto, eppure esiste una crescente dicotomia tra il soggetto al quale vengono erogati fondi pubblici e la capacità dello stesso di comunicare i propri contenuti. Un baratro tra ciò che si è e il senso della propria esistenza che in Italia, per esempio, tocca vette importanti proprio nel mondo dell’informazione e della comunicazione, dove fondi pubblici arrivano a pioggia su “fogli”, o in questo caso “siti”, che non hanno la forza di stare sul mercato. E questo non per mancanza di modelli di business in grado di reggere ma, molto più semplicemente, per la decisiva assenza di un pubblico capace di giustificarne l’esistenza.

I finanziamenti che vengono ora richiesti sulla scorta di questo stantio modello andrebbero a creare, come già accade per l’informazione cartacea (e online dopo la legge sull’editoria), una serie di istituzioni culturali elettroniche capaci di vivere e succhiare denari pubblici senza doversi preoccupare dell’efficacia della propria azione.

In tutto questo appare quantomeno infelice se non discriminatorio limitare i fondi pubblici, come viene proposto, ai soli maggiorenni sotto i 35 anni, nonché escludere dai finanziamenti persino gli enti pubblici.

Ben vengano, e come non apprezzarle?, quelle iniziative tese alla conservazione dei beni culturali, alla preservazione della memoria degli atti e delle arti, alla realizzazione di archivi, anche online, di opere e contenuti che tutta l’umanità dovrebbe conoscere.
Iniziative di questo genere sono già in corso, ad opera di grandi istituzioni culturali e anche di piccole iniziative personali. Siamo sicuri che servano soldi pubblici per sostenere la loro presenza online? Lì fuori e qui su internet c’è un esercito che lavora per la propria passione e un pugno di operatori che invece lavora per il proprio mercato. E questo non è un disvalore. Trasportare invece sulla rete obsolete dinamiche di foraggiamento pubblico è una vanità di cui i contribuenti italiani ed europei non hanno certo bisogno.

Paolo De Andreis

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Pubblicato il
10 dic 2002
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