Colpo gobbo del file sharing

Colpo gobbo del file sharing

Una clamorosa sentenza di appello assesta un duro colpo alle speranze delle major di mettere a tacere i sistemi di condivisione. Produrre e distribuire quei software non è illegale. Si consolida la difesa Betamax
Una clamorosa sentenza di appello assesta un duro colpo alle speranze delle major di mettere a tacere i sistemi di condivisione. Produrre e distribuire quei software non è illegale. Si consolida la difesa Betamax


New York (USA) – Festa grande per il mondo del file sharing : una corte d’appello americana ha confermato che chi produce e distribuisce software per la condivisione di file via internet non può essere ritenuto responsabile dell’uso che ne fanno gli utenti.

La sentenza della IX Corte federale d’Appello di Los Angeles ( qui in.pdf) accoglie la cosiddetta tesi Betamax sostenuta dagli avvocati di Grokster e Morpheus , i sistemi di sharing denunciati dalle major della musica e del cinema.

Quella strategia difensiva aveva consentito alle società che producono le piattaforme di condivisione di prevalere in primo grado in base alla considerazione che la responsabilità dell’uso illegale di un sistema può non essere di chi lo produce quanto di chi eventualmente lo utilizza a fini illeciti. Se nel 1984 questa tesi difese Sony, produttore di videoregistratori, oggi quella stessa tesi protegge chi realizza software di condivisione usati da molte decine di milioni di utenti internet in tutto il mondo.

I giudici d’appello, facendo diretto riferimento alla sentenza Betamax pronunciata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, hanno ricordato come Sony non sia stata considerata responsabile neppure essendo a conoscenza del fatto che molti propri utenti facessero un uso illegale dei propri prodotti. E questo perché il sistema Betamax offriva anche molteplici e sostanziali usi legali , proprio come accade oggi con i software di sharing. In questo quadro, peraltro, non viene considerato come rilevante il fatto che l’uso prevalente di questi programmi sia illegale.

A questo proposito la corte d’appello ha citato i casi di alcune band che hanno scelto il peer-to-peer come metodo di diffusione della propria musica, alternativo a quello offerto tradizionalmente dall’industria discografica. “E’ dimostrato – hanno scritto i giudici – che migliaia di gruppi musicali hanno autorizzato la libera distribuzione della propria musica via Internet . Oltre alla musica, il software è stato usato per condividere migliaia di opere letterarie attraverso il Progetto Gutenberg , oppure documentari storici rilasciati dall’ Archivio Prelinger . Dunque, dalle prove presentate, la corte di primo grado aveva concluso correttamente che il software è capace di sostanziali utilizzi non illegali e che, dunque, la dottrina Sony-Betamax va applicata”.

I giudici di appello hanno anche stabilito che da parte dei produttori di software di condivisione non c’è istigazione all’uso illegale dei programmi di sharing. E questo perché, vista la natura del peer-to-peer e dei software in questione, le società non possono impedire l’uso illecito , ossia lo scambio di file protetti da diritto d’autore.

Ma il tribunale d’appello ha anche respinto la tesi dell’industria secondo cui il peer-to-peer provoca gravi danni al settore sentenziando che, invece, sul lungo periodo l’innovazione tecnologica apporterà benefici a tutti, compresi i produttori di contenuti. I quali, hanno spiegato i giudici, non possono dettare all’industria della tecnologia come realizzare i propri prodotti .


“Viviamo – hanno scritto i giudici – in un ambiente tecnologico in velocissima evoluzione e i tribunali fanno fatica a giudicare il flusso dell’innovazione apportata da Internet. L’introduzione di nuove tecnologie è sempre distruttiva di vecchi mercati, e in particolare di quelli in cui i detentori di copyright vendono i propri prodotti attraverso sistemi ben consolidati di distribuzione. La storia ha insegnato che il tempo e gli operatori spesso portano in equilibrio i contrastanti interessi, sia che la nuova tecnologia sia un fotocopiatore, un registratore a nastro, un videoregistratore, un personal computer, una macchina per il karaoke o un player mp3”.

La sentenza d’appello pone un ostacolo di non poco conto nella crociata delle major contro il peer-to-peer. Sebbene rimanga evidentemente illegale la condivisione di file protetti da diritto d’autore, le società produttrici del software non potranno più essere chiamate in causa tanto facilmente. Questo significa che l’unico obiettivo perseguibile dall’industria rimangono i singoli utenti che, vuoi per il loro numero vuoi perché sono anche consumatori, difficilmente potranno essere denunciati uno ad uno. A questo punto le major probabilmente tenteranno la via del ricorso alla Corte Suprema , con tutti i rischi del caso perché, visto il richiamo diretto alla tesi Betamax varata a suo tempo dalla Corte stessa, i massimi giudici potrebbero rigettare l’istanza.

EFF , l’associazione che si batte per la libertà nella comunicazione elettronica, ha applaudito la sentenza evidenziandone i punti cardine e affermando che si tratta di un pronunciamento di “importanza incredibile per gli innovatori di ogni genere, inclusi gli sviluppatori peer-to-peer”.

Non è un caso che alla sentenza d’appello abbia applaudito subito Sharman Networks , la società che produce Kazaa . I suoi dirigenti parlano di “un risultato fantastico per la comunità del peer-to-peer. Questa sentenza rafforza altre decisioni di altri tribunali nel mondo, cioè che il P2P è legale”.

L’azienda ha anche rivolto un appello alle major chiedendo loro di “cessare le azioni giudiziarie e avviare collaborazioni con noi. Nuove leggi non sono una risposta, lo è invece la commercializzazione nel P2P”.

Il prossimo passo di Sharman sarà quello di chiedere ad un tribunale americano di dichiarare legale Kazaa .

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Pubblicato il
23 ago 2004
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