Chi difende le libertà digitali?

Chi difende le libertà digitali?

Dal Trusted Computing alla data retention europea, dalla legge Urbani alle esigenze delle nuove corporation: a cosa sta andando incontro la rete? Cosa si aspetta il cittadino digitale? PI ne parla con Marco Calamari
Dal Trusted Computing alla data retention europea, dalla legge Urbani alle esigenze delle nuove corporation: a cosa sta andando incontro la rete? Cosa si aspetta il cittadino digitale? PI ne parla con Marco Calamari


Roma – Le norme in tutto il globo vanno cambiando e la rete è terreno di scontro tra corporation di mezzo mondo. In mezzo, spesso, ci finiscono i diritti dei cittadini del nuovo mondo digitale, talvolta poco consapevoli di cosa sta accadendo, altre volte vittime di manovre poco trasparenti o di legislatori poco attenti alla realtà dell’oggi tecnologico. Punto Informatico ne ha parlato con uno dei suoi editorialisti, noto monomaniaco che lavora e si diverte con l’informatica da cinque lustri e promotore di numerose iniziative, dal Progetto Winston Smith alle Privacy Box, Marco Calamari .

Punto Informatico: In uno dei tuoi ultimi editoriali su Punto Informatico lanci un allarme molto preciso: sulla barricata della difesa tecnologica dalla volgarità e grettezza del mercato e delle esigenze industriali il numero di persone negli anni non ha fatto che ridursi. Pensi ci sia ancora bisogno di una “barricata” di questo tipo?
Marco Calamari: Faccio una premessa, perché spesso questa argomentazione è stata fraintesa. Non sostengo che il mercato e le industrie siano volgari, malevole od incarnazioni del demonio. Più semplicemente, dopo una trentina di anni passati a lavorare per grandi organizzazioni, private ma anche pubbliche, so per esperienza diretta che mercato ed industrie funzionano in questo modo.
Il termine “funzionano” è usato propriamente; prescinde da qualsiasi valutazione morale, filosofica o politica. Nessuno si sognerebbe di dire che la legge di gravitazione universale è volgare, perchè la maggioranza concorda che è un fatto assoluto che permea la realtà. Anche se non rappresento certo la maggioranza, come persona sostengo che i meccanismi naturali ed impersonali delle grandi aziende, specie se multinazionali, sono questi. Nessun sottointeso, nessuna valutazione morale, niente di più.

E per venire alla domanda, sì, ce ne è bisogno.
Forse descriverla come “barricata” è pittoresco ma improprio; potremmo dire che c’è bisogno di un gruppo, anche piccolo come numero, di “tecnologi” ma che oramai è indispensabile che esso sia affiancato da una numero molto, molto più grande di persone che, pur senza conoscere od apprezzare le sottigliezze tecnologiche, conosca i guai a cui tutti stiamo andando incontro e si comporti come quando le costruiscono un inceneritore sotto casa o gli appioppano i bond argentini, facendosi sentire nelle sedi opportune. Sedi che sono sempre quelle.

PI: Un tempo, quando la rete era frequentata solo da qualche migliaio di utenti, la si viveva come un ambito tecnologico non solo di grandi promesse ma anche di libertà pressoché assoluta. La freschezza e il luminoso stupore di quegli anni ha lasciato il posto a dinamiche del tutto nuove causate dall’aumento esponenziale degli utenti e, con questo, dall’interesse sempre maggiore di corporation e persino di multinazionali nate su e grazie alla rete. E’ questo che molti paladini delle libertà digitali fanno fatica a digerire? E’ qui che si cela un possibile scollamento tra un certo mondo hacker, abituato a costruire e condividere la propria tecnologia, e il mondo reale, se così si può dire, della rete attuale, che sfrutta tecnologie intrecciate a doppio filo con il mercato e il profitto?
MC: Questa descrizione è quasi poetica, ma nella sostanza la condivido pienamente. Il mondo che si raduna, o viene radunato, sotto l’etichetta “hacker” tende naturalmente a comportarsi come una comunità separata; in Italia questo è particolarmente vero per la politicizzazione del mondo hacker, cosa che non è avvenuta, per esempio, in Germania.
Negli anni ’80 e ’90 questo era comprensibile e direi “naturale” ma oggi la Rete, che tutti utilizzano, smanettoni e casalinghe, ci ha forzatamente uniti. Oggi fare comunità a sé è semplicemente suicida, visto che la Rete non è più governata da smanettoni e scienziati, ma, che ci piaccia o no, da politici ed industriali.

PI: Si parla di difesa… di software e di tecnologie, ad esempio, che tutelino la riservatezza delle comunicazioni, come Tor, come i remailer anonimi, Freenet e via dicendo. Ma perché un utente italiano che giunge oggi in rete dovrebbe porsi il problema di assicurarsi la riservatezza delle comunicazioni? Quali strumenti ha per comprendere cosa ci si sta giocando in questi anni?
MC: Per ora vocine flebili come la nostra o quella di no1984.org , e l’uso della propria testa.

PI: Negli anni Punto Informatico ha dato conto, giorno per giorno, dello svilupparsi degli interessi industriali attorno alle tecnologie e della crescente pressione normativa sulla Rete e il suo utilizzo. Dove stiamo andando? Quale rete ci aspetta domani?
MC: Ci aspetta la stessa situazione che c’è negli altri media, come radio, televisione, telefonia. Un albero di Natale apparentemente pieno di cose luccicanti, ma che in realtà è governato con regole ferree e non immediatamente percepibili, e che non lascia spazio agli individui ma solo ai consumatori.

PI: Uno dei grandi problemi della rivoluzione digitale, fin qui irrisolti, è la scarsa conoscenza del mezzo, della sua socialità come della sua tecnologia, da parte della classe politica. Una sostanziale ignoranza che ha prodotto mostri normativi in Italia e altrove. Cosa si può fare per cambiare le cose?
MC: Siccome questa è un’intervista a Punto Informatico, uno dei pochi o forse il solo posto dove certi argomenti sono stati affrontati con lo spazio che la loro importanza merita, rispondo con la versione breve; possiamo solo esercitare pressioni su coloro a cui deleghiamo il potere, sia politico che economico. In sintesi “Se fai così non compro”, “Se non fai così non ti voto”.

PI: La diffusione dell’accesso alla rete è una grande conquista democratica, soprattutto avvicina i popoli e consente di far circolare informazione in modo nuovo, spesso slegata dagli interessi che dominano i media tradizionali. Non basta questo a garantirci un futuro migliore?
MC: Assolutamente no, e la storia ce lo dimostra. E’ bastata la Rivoluzione Industriale a far scomparire la povertà?

PI: A maggio a Firenze si terrà e-privacy 2006 , un incontro di cui sei il motore ormai da diversi anni. I temi guida di questa edizione vanno dal Trusted Computing alla Data Retention e comprendono le tecnologie ed i software per salvaguardare la privacy delle comunicazioni in ogni sua forma. Vi aspettate un’ampia partecipazione? Qual è l’attenzione oggi su queste problematiche?
MC: Molto più alta che in passato, spero anche per merito di tutti quelli che si sono dati da fare perché lo fosse, ma incredibilmente troppo bassa per gli sviluppi, come il TC e le intercettazioni telematiche, che ci sono stati in questi ultimi due anni.
Un problema che si sta manifestando è che la conoscenza e la discussione di queste problematiche ora viaggia solo in Rete e poco sulla stampa e gli altri media; questo, se da una parte è un fatto positivo perchè comunque aumenta il numero di persone che sentono parlare questi problemi, dall’altra ne provoca spesso la banalizzazione, la semplificazione, la distorsione, fino ad ostacolare la comprensione della realtà.

PI: E come agire su questa.. semplificazione?
MC: Eventi come e-privacy o lo stesso Big Brother Award , che sono fortemente specializzati, restano irrinunciabili per impedire che l’amplificazione della Rete distorca o cancelli i reali messaggi.
Questo è un trend che abbiamo avuto modo di percepire anche durante l’organizzazione di e-privacy, dal 2002 ad oggi. Il livello qualitativo dell’evento è cresciuto ogni oltre nostra più rosea aspettativa, ma a questo non ha corrisposto un’analoga crescita di partecipazione di persone e di copertura da parte dei media, che sono rimaste costanti, se non addirittura in leggero calo.
Questo avviene mentre molte delle persone che ci hanno lavorato hanno avuto modo di farsi conoscere ed apprezzare in sede internazionale, seppure solo nei ristretti circoli di coloro che si occupano di queste problematiche.
Manca ancora un coinvolgimento maggiore dei media e delle istituzioni; siamo stati bravi tecnologi ed abbiamo costruito moltissimo in termini di risorse in Rete per la privacy, mentre non siamo riusciti a costruire consenso e sopratutto coinvolgere le istituzioni quanto avremmo dovuto. Speriamo quest’anno di far meglio.

PI: Quale può essere un termometro della situazione?
MC: Un segnale positivo sarà vedere molte persone ad e-privacy – prenotatevi scrivendo a convegno-e-privacy@firenze.linux.it – e ricevere, visto che le cose nel campo della privacy vanno peggio dell’anno scorso, un sacco di nomination per il Big Brothers Awards 2006 . Per queste ultime dovrebbe esserci solo l’imbarazzo della scelta.

a cura di Paolo De Andreis

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Pubblicato il
13 apr 2006
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