Secondo quanto emerge dal 1° Rapporto Auditel-Censis, l’Italia di poeti e navigatori è oggi anzitutto un paese di pubblico televisivo diffuso, ma di penetrazione digitale a macchia di leopardo. E se c’è una fascia che sta dettando il ritmo al cambiamento, questa è quella dei giovanissimi, estremamente precoci ormai nell’abbracciare le nuove tecnologie. I numeri contano, perché fotografano il presente consentendoci di capire il futuro. Ad esempio nei giorni scorsi una semplice proiezione scaturita dal Festival della Statistica di Treviso ha ricordato come (se non cambiano le cose) i 60 milioni di italiani odierni si ridurranno a 16 milioni entro appena 100 anni: questione di non-proporzione tra natalità e mortalità, semplice calcolo prospettico. Numeri tanto abnormi devono costringere tutti a riflettere sulle politiche per il futuro, tanto in termini sociologici quanto in relazione alle evidenze che la società manifesta nel rapporto con l’innovazione digitale. Allo stesso modo, tuttavia, l’interpretazione che il report Auditel-Censis offre circa i numeri raccolti appare per molti versi opinabile, in qualche modo orientata a colpevolizzare l’avvento del digitale circa le difficoltà relazionali di cui soffrono le famiglie. O se non altro macchiata di un qualche malcelato pregiudizio in tal senso.
La ricerca è approfondita e interessante: 41 mila interviste casa per casa, finalizzate ad approfondire le abitudini delle famiglie e gli equilibri decisionali evidenziati.
Il 97% degli italiani ha almeno una tv
In breve i numeri principali raccolti da Auditel e Censis in questa ampia fotografia delle abitudini di vita e di consumo degli italiani:
- in Italia ci sono 43 milioni di televisori (il 97,1% delle famiglie ne possiede almeno uno); il 19,3% delle tv è oggi connessa per poter fruire di svariati servizi e contenuti online;
- i pc portatili sono 14 milioni (presenti presso il 48% delle famiglie), i tablet 7,4 milioni (26,4% delle famiglie), le postazioni desktop 5,6 milioni (22,1% delle famiglie);
- gli smartphone sono presenti nel 95% delle famiglie, mentre il telefono fisso ha visto la propria quota scendere al 60%;
- “Wireless e connessione mobile, in casa, al lavoro, negli esercizi e spazi pubblici, rendono il web imprescindibile nelle dotazioni individuali e nelle relazioni collettive“: secondo il rapporto, tuttavia, solo il 49,6% delle famiglie dispone di una connessione a banda larga con forte discriminante geografica e sociale che penalizza il sud e le famiglie di basso livello socio-economico.
Molto interessante è il dato relativo all’adozione della tecnologia da parte dei più giovani:
Nella fascia d’età 4-10 anni il 17,6% ha il cellulare, il 6,7% utilizza il pc fisso, il 24,2% il portatile, il 32,7% il tablet e il 49,2% è connesso al web. I nati dal 2000 in avanti sono il banco di prova tangibile degli effetti sociali, anche sulle relazioni familiari, dei nuovi strumenti tecnologici.
Famiglie fragili, smartphone colpevoli?
Il report porta avanti inoltre una lettura interpretativa che va al di là dei soli dati, identificando lo smartphone come nuovo possibile strumento “disgregativo” in quanto elemento in grado di catturare il tempo dedicato solitamente all’aggregazione parentale per trasformarlo in momenti di fruizione singolare, individuale e personalizzata:
Le famiglie italiane sono alle prese con la formidabile potenza erosiva delle fruizioni individualizzate degli smartphone, che azzerano di fatto i momenti di aggregazione collettiva. Una persona, uno smartphone è la metrica ormai imperante in tutte le tipologie familiari: una condizione di base, strutturale, che consente a ogni singolo membro di fruire in totale autonomia e piena comodità di contenuti modulati sui propri specifici interessi. Lo smartphone è utilizzato dalla quasi totalità dei membri delle famiglie, trasversalmente alla condizione socio-economica. Ma in solitudo, per se stessi e non in fruizione collettiva.
Sebbene tale lettura possa apparire di prima istanza una forzatura interpretativa che non fotografa l’intera complessità del fenomeno, è del tutto chiaro come tale spunto interpretativo colga una verità: il taglio personale e individualistico della fruizione di device e servizi non può che avere un impatto significativo sulle dinamiche della struttura molecolare che ha finora definito le nostre società. La crisi della famiglia e l’avvento del digitale: ognuno potrà gestire le etichette di causa ed effetto a piacimento, e con ogni probabilità l’una è concausa dell’altra all’interno di un calderone evolutivo ben più ampio e complesso. Il report sembra tuttavia accarezzare con un malcelato effetto-nostalgia un’epoca che non c’è più:
Nella maggior parte delle famiglie la tv aveva e ha ancora una fruizione prevalentemente collettiva: riunisce dinanzi a sé, in contiguità fisica, i membri delle coabitazioni, con un’alternanza di silenzi (per ascoltare) e scambi di opinione tale da poter tranquillamente affermare che il televisore crea i presupposti tecnici e di contenuto della relazionalità familiare.
La funzione aggregativa, infatti, è stata negli anni soprattutto merito del divano (inteso come postazione centralizzata di fruizione), non della tv a tubo catodico in sé. Nell’epoca delle case con molteplici televisori, pensare alla tv come elemento aggregativo non risponde infatti più a realtà: spesso sono più di uno i televisori in casa, varie le stanze attrezzate per la visione e centinaia le reti che offrono disparati contenuti per fruizioni atomizzate (lo testimonia lo stesso report Auditel-Censis: “nelle coppie con figli ha un apparecchio televisivo il 32,1%, due apparecchi televisivi il 40,7% e almeno tre il 25,9%“). La famiglia raccolta sul divano a guardare Rai Uno è una fotografia dai colori sbiaditi, dai contorni consunti e buona soltanto per un ricordo sull’album di famiglia. E richiamarla alla memoria per dimostrare che si stava meglio quando si stava peggio è qualcosa di poco utile all’analisi.
La tv è stata (anni ’70-’80) un forte elemento di esperienza condivisa, così come lo sono state le prime radio portatili (ma poi è arrivato il Walkman), così come lo sono stati i primi PC (ma poi ognuno ha iniziato ad avere il proprio) e gli esempi potrebbero continuare: il contesto era radicalmente differente e leggere il presente con i paradigmi del passato è un errore che porta a conclusioni pericolosamente errate. Qualche dubbio sul taglio interpretativo offerto dal report Auditel-Censis è dunque lecito, soprattutto quando tra le righe trapela una sorta di disfida tra le due dimensioni:
Le tirate di qualche anno fa contro la tv accusata di distruggere la relazionalità rivelano, perciò, una volta di più, tutta la loro vuotezza retorico-moralistica.
La tv non ha distrutto la relazionalità, infatti, ma ha contribuito a cambiarla. Così come hanno contribuito a cambiarla i nuovi dispositivi elettronici personali e l’estrema frammentazione dei canali su cui scorrono i flussi dell’informazione e dell’intrattenimento. E le accuse ai genitori che lasciano troppe ore i figli di fronte ad un cellulare sono le medesime che pochi decenni or sono erano rivolte ai genitori che lasciavano troppe ore i figli davanti alla tv. Il problema vero è l’essere genitori e l’essere figli, ognuno con il proprio bagaglio culturale, e per tutti nel contesto che si sta vivendo. Ogni analisi tranchant che accusa in senso deterministico una tecnologia per i radicali mutamenti sociali in corso, spesso ignora come la tecnologia stessa sia il prodotto di quella stessa società. La vuotezza retorico-moralistica di un tempo sembra quindi essersi dilungata fino ad oggi, cambiando semplicemente l’oggetto delle proprie attenzioni: il vecchio teme il nuovo accusandolo di sostituire le certezze del passato. Appunto:
Se la televisione aggregava e aggrega le famiglie intorno alla fruizione dei suoi programmi, tanto da aver generato una ritualità inscritta nella memoria collettiva, e così facendo promuoveva e promuove convivialità relazionale, lo smartphone trasformando le persone in fruitori solitari di contenuti piccona la base materiale della relazionalità familiare quotidiana.
Questa l’ulteriore analisi dei dati di Giuseppe De Rita, Presidente del Censis:
La famiglia, collante della società, ha cambiato pelle con l’evoluzione sociale: siamo passati dalla famiglia Spa, che combinava redditi e patrimoni, alla famiglia di cura garante di welfare informale e reddito per i componenti non autosufficienti e i figli precari, fino all’attuale rischio di una famiglia disintermediata, alle prese con le sfide che minacciano la relazionalità interna. Il consumo individuale legato agli smartphone connessi al web fa saltare quella quotidiana ritualità conviviale costruita intorno alla visione dei programmi televisivi. Il Rapporto Auditel-Censis ha messo sotto i nostri occhi la portata della sfida, visto anche l’intenso e precoce utilizzo dei device digitali da parte di adolescenti e bambini.
Parole in questo caso generalmente ben pesate: il digitale è una sfida e le famiglie spesso si dimostrano poco attrezzate a coglierla. Il pericolo della sovraesposizione dei minori al luccicare degli smartphone è un pericolo ulteriore, e in questo caso sono gli adulti a dimostrarsi poco attrezzati a gestire questo delicato passaggio. La “quotidiana ritualità conviviale costruita intorno alla visione dei programmi televisivi” è invece qualcosa che semplicemente non esiste più, ma non era certo questo il perno che ha retto la forza della famiglia italiana, anzi. Meglio non attribuire meriti e colpe, insomma, e limitarsi a fotografare la famiglia ed il suo modo di specchiarsi nel digitale, il suo modo di mettersi alla prova di fronte alla frammentazione del tempo, il suo modo di cogliere sfide oggi sempre più complesse in termini economici, lavorativi e organizzativi.
Non se ne faccia quindi in quest’ottica una sfida tra online e tv, perché questa sfida è in realtà combattuta su altri tavoli e per altre motivazioni: la sfida quotidiana per la sopravvivenza della molecola famigliare è qualcosa di ben antecedente al Web, è qualcosa che va solo in parallelo al mondo della tv e che solo in parte può essere legata al rapporto con la tecnologia in uso nelle case. I tempi cambiano, le famiglie cambiano, le tecnologie cambiano e le persone hanno il loro da fare per salvare quantomeno principi, speranze e prospettive.