Roma – I molestatori telefonici, abituati ad importunare altre persone con inquietanti telefonate, sono avvisati: lo squillo selvaggio può essere multato e portare ad un risarcimento di danni morali. Lo ha stabilito la Cassazione.
La Suprema Corte ha confermato una condanna inflitta a Caterina O., una 48enne dipendente dell’assessorato alla Pubblica Istruzione della Regione Calabria, che per un mese ha tempestato di telefonate – anche senza dire una parola – la signora Rosa C.
Dissapori sul lavoro? Mancata precedenza al banco del salumiere? Non sono note le fondamenta su cui poggia il presumibilmente pessimo rapporto tra le due donne, ma la Cassazione ha stabilito la correttezza della condanna, consistente in 12 mila euro a titolo di risarcimento danni morali, più 2.550 euro di multa: “il mancato accertamento della causale – si legge nella motivazione della sentenza – verosimilmente nota alle protagoniste dei fatti, non incide sull’obiettività e sull’imputabilità soggettiva delle condotte, di per sé sufficienti a fondare la pronuncia di condanna”.
Caterina O. era già stata condannata, ma ha presentato ricorso lamentando l’assenza di causale per la commissione dei reati contestati, la sommarietà delle indagini e l’eccessività del risarcimento richiesto. Ricorso respinto dalla Cassazione, che riguardo al risarcimento danni ha precisato che la somma “appare congruamente quantificata e giustificata in relazione alla lunga protrazione delle condotte lesive e alla rilevanza ed intensità del pregiudizio che notoriamente le molestie insistentemente realizzate con il mezzo del telefono recano al bene giuridico della tranquillità individuale”.
La donna condannata aveva alternato alle telefonate anche autentiche operazioni di inseguimento stradale ai danni del suo “bersaglio”, fattore che ha aggravato la sua posizione. La sentenza 21273 della Prima sezione penale ha stabilito così che le molestie derivanti dalle “numerose telefonate concentrate in un solo mese” sono state correttamente sanzionate.
D.B.