Mezzo secolo. Tanto è passato dalla prima proiezione nostrana di 2001: Odissea nello Spazio, da far risalire al 12 dicembre 1968. Ma cosa sono cinquant’anni per un racconto che estende il proprio arco narrativo dall’alba del genere umano alla sua prossima ipotetica evoluzione? Da qualcuno ritenuto il capolavoro assoluto di Stanley Kubrick e il capostipite per un intero filone cinematografico, da altri una pellicola schiacciata dal peso della sua stessa ambizione, celebriamo oggi l’anniversario del debutto in Italia (oltreoceano è avvenuto qualche mese prima) dell’avventura del dottor Floyd e del comandante Bowman, capace di trascendere il concetto stesso di spazio e di tempo.
2001: Odissea nello Spazio
Siamo piuttosto certi con questo articolo di non inciampare in alcun rischio spoiler, anche se il lettore non ha mai visto il film, mancanza alla quale consigliamo ad ogni modo di porre rimedio al più presto. Dopotutto, da sempre si dibatte su quale sia il reale significato del messaggio nascostro tra i fotogrammi della pellicola e lo stesso regista non si è mai pronunciato in modo esplicito in merito, lasciando al pubblico elaborare la propria personale chiave di lettura. Come in tutte le più grandi storie, poco conta come va a finire, l’importante è il viaggio. E quello di 2001 è indiscutibilmente unico, epico.
L’odissea spaziale di Kubrick, così come il romanzo omonimo da cui prende vita firmato da Arthur C. Clarke (le due opere nacquero e debuttarono in contemporanea), affonda le radici nel passato più remoto, tesse la propria tela passando dai giorni nostri e getta uno sguardo a ciò che verrà, a ciò che diventeremo. Il filo conduttore, nemmeno troppo celato, è costituito dalla sete di conoscenza, dalla spinta verso l’ignoto da sempre insita nell’animo umano, fin dalla notte dei tempi.
Un monolito nero dalla natura non meglio precisata fa la sua comparsa e tutto cambia. Scandisce il salto da un blocco all’altro. Incarna l’occasione della scoperta, si fa emblema del progresso, del raggiungimento di uno stato superiore. È innovazione, evoluzione.
HAL 9000 e l’intelligenza artificiale
Il tema dell’intelligenza artificiale e dei rischi connessi a un suo impiego che sfugge alla volontà dell’essere umano è di importanza centrale nel film. Tutto ruota attorno alle dinamiche che regolano il rapporto tra le due componenti: una organica, solo apparentemente in posizione di controllo, ma estremamente fallibile e vulnerabile, l’altra che acquisendo consapevolezza e una coscienza propria finisce col ribellarsi al suo stesso creatore, mettendone a repentaglio certezze e incolumità.
Un argomento oggi al centro di discussioni e dibattiti che coinvolgono la comunità scientifica e non solo, alla luce di capacità sempre più evolute di software e algoritmi in grado di emulare o quantomeno imitare il nostro processo cognitivo. HAL 9000, il computer di bordo progettato per “riprodurre e imitare le capacità del cervello umano” (citiamo alcuni passaggi della pellicola), è dotato di “genuina emotività” e di “reazioni emotive”, ma arriva ad assumere comportamenti che vanno oltre quelli programmati e previsti, costituendo una minaccia per i membri della missione anziché un loro alleato.
So che ho preso delle decisioni discutibili ultimamente.
Bowman e i suoi compagni di viaggio si trovano così, loro malgrado, protagonisti di uno scontro intellettuale e fisico che vede da una parte l’uomo, dall’altra la macchina. Ed è un confronto impari, viziato da un’evoluzione non prevista dell’IA, che andando oltre la mera esecuzione di un codice delegato alle operazioni di bordo arriva a emulare sensazioni ed emozioni umane.
Ho paura, David.
HAL non è più macchina, il suo cervello non è più elettronico come quello del fratello gemello lasciato sulla Terra. Nel suo viaggio l’intelligenza artificiale cambia, soggetta a evoluzione (o involuzione), proprio come accade all’uomo. Inciampa in un errore, forse volontario, forse no. E prima di spegnersi tradisce un’emozione con il suo tono calmo e pacato.
La mia mente se ne va, lo sento.
Anche il nome, HAL, è sembrato a molti troppo simile a IBM (nell’alfabeto le lettere vengono immediatamente prima) per trattarsi di una coincidenza. Tuttavia, gli autori della pellicola e del romanzo hanno sempre smentito l’ipotesi associando l’acronimo al termine “Heuristic Algorithmic”.
Samsung, Apple e il tablet
Per capire quanto l’immaginario di Kubrick e Clarke fosse in grado di predire ciò che sarebbe stato, è sufficiente citare che la pellicola è stata chiamata in causa solo pochi anni fa da Samsung nella lunga e complessa battaglia legale che ha visto il gruppo sudcoreano fronteggiare Apple nelle aule di tribunale per la paternità di brevetti legati ad alcuni prodotti in commercio. Per Samsung, la mela morsicata non ha inventato i tablet con iPad, in quanto il primo esemplare comparirebbe proprio in una sequenza di 2001 (fotogramma di seguito), usato da Bowman a bordo della Discovery One per guardare il notiziario The World Tonight trasmesso dalla BBC.
Altre tecnologie che oggigiorno fanno parte della nostra quotidianità e anticipate dal film sono la videochiamata e il sistema di autenticazione vocale utilizzati dal dottor Floyd mentre si reca in missione sulla base lunare Clavius.
Le influenze
L’uscita nelle sale di 2001: Odissea nello Spazio divise in un primo momento il pubblico e la critica. I riconoscimenti arrivarono più avanti, grazie anche alle opere di artisti che hanno fatto riferimento diretto alla pellicola, soprattutto nel mondo della musica e in particolare nel filone rock. La più celebre è forse il brano “Space Oddity” (1969) di David Bowie, composto proprio con l’intenzione di sintetizzare in pochi minuti quella sensazione di isolamento e alienazione che pervade gran parte del film. Il Major Tom del Duca Bianco, che si perde nello spazio profondo guardando tutti noi da lontano col suo animo abbandonato alla pace cosmica, è parente stretto del vicecomandante Poole che soccombe ad HAL nello svolgimento della propria missione.
Ci sono poi i Pink Floyd, le mai confermate trattative non andate in porto per collaborare con Kubrick alla realizzazione della colonna sonora e la suite “Echoes” (1971) che sembra sottolineare in modo suggestivo il climax nelle ultime sequenze del film. Senza dimenticare gli Who di Pete Townshend, che dopo aver visto sfumare la possibilità di far parte della soundtrack mettono sulla copertina dell’album “Who’s Next” (1971) proprio un monolito, trattandolo in modo tutt’altro che rispettoso.
La decisione finale di Kubrick fu quella di scegliere ogni brano che accompagna le immagini dall’archivio della musica classica. Tra questi anche le composizioni di Johann e Richard Strauss, ormai entrate nell’immaginario collettivo come perfetto complemento sonoro alla componente visiva.
Venendo a tempi più recenti, film come “Interstellar”, “Gravity” e “Moon” (quest’ultimo diretto da Duncan Jones, figlio di Bowie), includono più di un rimando e un omaggio a 2001.
Oltre l’infinito
A cinquant’anni dalla sua uscita, l’Odissea nello Spazio kubrickiana è tornata in sala nei mesi scorsi e una versione rimastarizzata per l’occasione è stata scelta come primo contenuto da trasmettere in Giappone sui televisori 8K. Ancora, Warner Bros. ha appena spedito sugli scaffali dei negozi una nuova edizione domestica in 4K.
Oggi possiamo guardare all’opera come a un capolavoro della fantascienza, anche se la sua natura intima, introspettiva ed enigmatica rende quantomento riduttiva ogni etichetta e fuori luogo ogni tentativo di incasellamento in una categoria preconfezionata. Il suo viaggio, iniziato mezzo secolo fa qualche mese prima dell’allunaggio di Armstrong, passando dall’epoca odierna che vede il genere umano prendere in seria considerazione l’ipotesi di colonizzare Marte, è destinato a proseguire verso Giove e oltre l’infinito.