In poche ore la notizia dell’annullamento del provvedimento con il quale nell’agosto scorso la Procura della Repubblica di Bergamo aveva “vietato l’approdo” sulla baia dei pirati (thepiratebay.org) si è diffusa in Rete dando vita a reazioni entusiastiche di intensità pari a quelle di sdegno e delusione che avevano salutato la notizia del sequestro.
Non si conoscono ancora le motivazioni sulla base delle quali i Giudici del Tribunale di Bergamo sono pervenuti alla decisione di questa mattina ed è, naturalmente possibile che tali motivazioni concernino la procedura piuttosto che il merito della questione.
L’occasione, tuttavia, mi sembra opportuna per svolgere qualche considerazione su quanto sta accadendo sul terreno dell’ enforcement dei diritti di proprietà intellettuale.
C’è, infatti, una sottile linea rossa che unisce il caso Thepiratebay, la vicenda Peppermint , la questione legata al venir meno dell’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE della quale ci si è occupati nei giorni scorsi su queste pagine e la soluzione francese Olivennes – Sarkozy per la lotta alla pirateria audiovisiva on-line .
Il denominatore comune è, in tutti questi casi, rappresentato da un eccesso di privatizzazione dell’ enforcement dei diritti di proprietà intellettuale.
Nel caso thepiratebay – ancorché gli esatti termini della vicenda non siano stati ancora accertati giudizialmente – è, ormai, pacifico che nel corso dell’esecuzione del sequestro sia stato ordinato – magari semplicemente per errore – agli Internet Service Provider italiani di reindirizzare il traffico degli utenti diretti alla baia dei pirati verso un’altra baia battente bandiera delle major.
Al riguardo mi sembra ci sia poco da aggiungere a quanto spiegato in termini assai chiari da Matteo G. Flora in questo video .
Nella vicenda Peppermint, egualmente, l’etichetta discografica tedesca aveva ben pensato di affidare l’attività investigativa propedeutica alla richiesta risarcitoria poi rivolta a migliaia di utenti di mezz’europa ad una società investigativa privata svizzera, la Logistep AG salvo poi, ricorrere, all’Autorità giudiziaria per ottenere il “ricongiungimento” degli IP tracciati con i nominativi dei presunti pirati.
In Francia Sarkozy ed Oliviennes si propongono di assicurare adeguata tutela ai titolari dei diritti di proprietà intellettuale imponendo agli Internet Service Provider – dei soggetti di diritto privato – di risolvere ex lege i contratti di connessione ad Internet di quegli utenti che – senza neppure bisogno di un processo dinanzi ad un’Autorità giurisdizionale – venissero colti con le mani nel barattolo della marmellata oops…con il mouse su un link che consenta il download di materiale protetto.
Nel più recente affaire del contrassegno SIAE, la società italiana di intermediazione dei diritti d’autore, difende, in proprio – e contro il volere e gli interessi delle stesse etichette discografiche – una norma, pressoché unica in Europa, per effetto della quale, di fatto, è essa stessa a valutare preliminarmente la legittimità o illegittimità dell’utilizzo di una determinata opera dell’ingegno, pretendendo poi – ancora oggi – di rilasciare il contrassegno quasi si trattasse di un “visto si stampi”.
Non è una mia conclusione ma il contenuto letterale dei commenti che la Commissione Europea ha trasmesso al Governo Italiano in relazione alla nuova proposta di regolamento relativo alle modalità di apposizione del contrassegno che il nostro Paese si è visto costretto a notificare a Bruxelles a seguito della Sentenza Schubert che ha accertato l’illegittimità della previgente normativa in materia.
Si tratta di vicende assai diverse ma accomunate da un preoccupante comun denominatore: un’evidente privatizzazione della giustizia che, inesorabilmente, produce – almeno a livello di rischio – forme di grave violazione di diritti di rango pari-oridinato rispetto a quelli di proprietà intellettuale: la privacy degli utenti nel caso PirateBay e Peppermint, la libertà di manifestazione del pensiero nella sua più moderna accezione di accesso alla Rete nel caso della nuova disciplina francese sull’ enforcement dei diritti d’autore e la libertà d’impresa nel caso del contrassegno SIAE.
La questione non concerne, ovviamente, la commistione di interessi pubblici e privati sul tema della proprietà intellettuale; tale commistione è naturale e discende dalla natura stessa dei diritti d’autore.
Il problema che sta emergendo con forza è, invece, un altro e concerne, piuttosto, la crescente privatizzazione dell’ enforcement dei diritti di proprietà intellettuale nella fase investigativa, in quella dell’accertamento della violazione nonché in quella dell’eventuale irrogazione della sanzione.
Negli ultimi mesi, sotto tale profilo, stiamo assistendo ad un processo di privatizzazione di attività che dovrebbero essere appannaggio esclusivo dell’autorità giudiziaria che non ha eguali in nessun altro settore dell’Ordinamento.
In caso di furto di beni materiali il proprietario della cosa rubata non può farsi le indagini da solo o prestare strumenti di indagine alla polizia giudiziaria, nella circolazione dei beni materiali non c’è nessuna autorità – e tantomeno un’autorità non giurisdizionale ed espressione di interessi di parte – che “certifica” mediante l’apposizione di un’etichetta la liceità della provenienza del bene e, infine, in nessun caso di reato commesso con il mezzo della stampa si ordina allo stampatore di risolvere ex lege i contratti con l’editore precludendo, così, a quest’ultimo di arrivare con i suoi prodotti nelle edicole.
Si tratta di un’anomalia grave le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Sarebbe, tuttavia, troppo facile imputare le responsabilità esclusive di questo processo di privatizzazione-degenerazione della giustizia all’industria discografica, alla SIAE o alle lobby che, in Francia, hanno dettato la loro legge all’Esecutivo.
La questione è, infatti, più complessa: i portatori di diritti ed interessi sul mercato della proprietà intellettuale stanno riempiendo vuoti normativi relativi alla disciplina della circolazione dei contenuti digitali creati dalla pressoché totale assenza di una seria politica legislativa dell’innovazione e saturando spazi nell’attività di enforcement dei diritti di proprietà intellettuale che dovrebbero risultare già coperti dalle competenti Autorità cui andrebbero messi a disposizione mezzi e risorse proprie anziché costringerle ad elemosinare esperti, strumenti informatici e server da questo o quel soggetto privato.
La lezione che da vicende come quella di The Piratebay – ma anche dalle altre sopra ricordate – credo vada tratta è che ferma restando la possibilità dei titolari dei diritti di agire sul piano civilistico per il risarcimento dei danni eventualmente sofferti, l’accertamento degli illeciti di carattere pubblicistico deve rimanere appannaggio esclusivo delle forze di polizia e dell’Autorità giudiziaria.
Guido Scorza
Il blog di G.S.