Vuole la leggenda che di padri la Internet italiana ne abbia avuti addirittura tre: in barba alla definizione di famiglia tradizionale, furono Stefano Trumpy, all’epoca direttore del CNUCE, Luciano Lenzini che si occupava dell’infrastruttura informatica e il sistemista Antonio Blasco Bonito a mettere in piedi il primo collegamento italiano con la Rete che oggi conosciamo tutti. Una Rete che all’epoca non aveva nulla o quasi di quello che usiamo oggi: niente Web, niente Facebook, niente social network e sicuramente niente foto e video . I tre personaggi della nostra storia furono in grado di vedere oltre le limitazioni dell’epoca, e il 30 aprile del 1986 schiacciarono il pulsante che diede inizio a tutto.
All’epoca Internet non era molto di più di quanto era stata Arpanet, ovvero la rete militare messa in piedi dagli USA in previsione di eventuali necessità belliche : ci sarebbero voluti altri anni per vedere comparire i primi browser che oggi ci consentono di fruire di una mole quasi infinita di contenuti a cui oggi siamo abituati, ma già all’epoca era facile intuire le potenzialità in termini di scambio di informazioni a livello planetario. Era l’epoca di Cernobyl e del disastro nucleare che si verificò in quella centrale ucraina: nessuno si accorse probabilmente che in quegli stessi giorni venivano gettate le basi di un cambiamento radicale della società che ancora oggi non ha finito di svelare appieno i suoi effetti.
In Italia i primi provider commerciali sarebbero arrivati solo anni dopo, attorno al 1990: alcuni nomi sono famosi tra chi è nato prima di quell’anno, e vanno da Agorà a Mc-Link, da Galactica a I-Net (il primo provider dedicato all’utenza business). Fiorivano le BBS, ovvero bacheche elettroniche dove scambiarsi messaggi, informazioni e file: si sarebbe dovuto attendere il 1991 per l’invenzione del World Wide Web da parte di Sir Tim Berners Lee nei laboratori del CERN, e in quegli stessi anni si andava anche creando l’infrastruttura di base della Internet europea con le prime dorsali che toccavano i paesi più importanti del Vecchio Continente. La velocità delle connessioni viaggiava nel migliore dei casi sui 56kbit, ma era più comune trovare nelle case modem 14.400 o 28.800: per scaricare una singola immagine ci potevano volere minuti, figuarsi una canzone o un’intero filmato. Punto Informatico nasceva nel 1996, 10 anni dopo : quest’anno la nostra testata compie 20 anni, e ha potuto seguire l’evoluzione (o l’involuzione) dello scenario digitale del Belpaese da un punto di vista privilegiato.
Per celebrare questa ricorrenza, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha indetto un vero e proprio Italian Internet Day per domani 30 aprile, ma le prime manifestazioni di celebrazione in Italia si sono già svolte oggi: convegni nelle scuole, nelle sedi istituzionali e persino nella sede del CNR a Pisa dove di fatto la Internet italiana ha fatto udire i suoi primi vagiti. Renzi non è andato alla manifestazione in Toscana per altri impegni sopraggiunti in corso d’opera, ma la risonanza e l’importanza di questo ritrovo è stata tale che persino alcuni contestatori si sono dati appuntamento a Pisa e si sono verificati alcuni scontri tra di loro e le forze dell’ordine. Internet è oggi un simbolo potente, tanto da diventare il crocevia di proteste e sfoggio istituzionale dell’operato del Governo per favorire lo sviluppo dell’intero Paese.
#InternetDay #Pisa , corteo anti #Renzi aalla rotatoria del Cnr pic.twitter.com/tOe235F5bs
– PisaToday (@PisaToday) 29 aprile 2016
Il quadro italiano, pur con tutte le buone intenzioni messe in campo dagli ultimi Governi, non è tra i più incoraggianti: l’Italia viaggia costantemente in ritardo per quanto attiene la velocità della sua banda larga (siamo al 49simo posto a livello globale), la diffusione di Internet tra i cittadini, e la modernizzazione della sua burocrazia (si salva forse solo la rete accademica GARR ). Sono stati fatti passi in avanti significativi, e il piano di Renzi per la copertura in fibra dell’Italia potrebbe garantire sviluppi importanti: ma non si può dimenticare che in questi anni lo Stato è stato anche in grado di produrre situazioni paradossali come la nascita e la promozione di strumenti unici al mondo come la PEC , o di produrre autentici disastri e buchi finanziari con progetti come Italia.it . Mentre all’estero si pensa all’apertura di interi conti bancari senza la necessità di andare fisicamente nella filiale dell’istituto di credito, da noi anche l’idea di un semplice pagamento elettronico solleva interrogativi e interrogazioni sulla sicurezza e la privacy di questi strumenti.
Torniamo alla leggenda : il primo respiro della Internet tricolore viene attribuito a un “ping” spedito da Antonio Blasco Bonito ai server all’epoca ospitati in Pennsylvania. C’era solo Bonito nella sala server del CNUCE a Pisa, e aveva appena finito di configurare un enorme router spedito in Italia direttamente dal ministero della Difesa USA: il segnale partito dal capoluogo toscano percorse la strada che lo separava dalle antenne piazzate nella piana del Fucino in Abbruzzo, sparato verso lo spazio e raccolto da un satellite, rispedito giù fino negli USA e poi ricominciò il viaggio di ritorno . Il ghiaccio era rotto, niente avrebbe più fermato la crescita di Internet.
All’epoca l’Italia era una capofila: prima di noi, solo i britannici, i tedeschi e i norvegesi avevano avuto accesso ad Arpanet, soprattutto perché i tre paesi avevano interessi militari nel farlo. Ci vollero sei anni di preparazione, oltre 100 di milioni di lire e un accordo tra tutti i soggetti coinvolti nel progetto (oltre al CNUCE c’erano Sip, oggi TIM, Italcable e Telespazio) per realizzare quel singolo collegamento . Oggi in Italia esiste ancora il problema del digital-divide, sebbene lo stesso premier Matteo Renzi ieri abbia ribadito la premessa di 30 mega per tutti entro il 2020. Vedremo se questo patto non scritto sarà rispettato, e se per allora l’Italia saprà davvero liberarsi di pesanti fardelli come la carta, il denaro contante e un’economia ancora troppo legata al mondo materiale e poco lungimirante nello sfruttare il promettente universo dell’immateriale.
Luca Annunziata