Londra – Ironia della sorte o semplice degenerazione della società della videosorveglianza? Il Regno Unito, da tempo luogo prediletto per le sperimentazioni del controllo ubiquo ed ossessivo dei cittadini, è per certo la zona del pianeta caratterizzata dalla più imponente diffusione di telecamere a circuito chiuso (CCTV) attive 24 ore al giorno. Cam ligie alla sorveglianza persino nei dintorni di quella che fu la casa di George Orwell , autore di 1984 e della visione distopica con al centro il Grande Fratello e la dittatura dell’ Ingsoc nello stato di Oceania.
Il palazzo a quattro piani in cui Orwell abitò fino alla morte nel 1950 è situata ad un angolo di Canonbury Square nell’Islington, a nord di Londra. Tutt’intorno alla palazzina, numero civico 27B , è un proliferare di CCTV occhiute e sempre attente a scrutare tutto e tutti, 32 telecamere nello spazio di 180 metri dall’abitazione .
I giardini pieni di alberi che si offrivano alla vista dello scrittore vengono costantemente monitorati da due telecamere piazzate sui semafori. Le finestre sul retro sono sorvegliate da altre due cam, in prossimità di un centro di conferenze in Canonbury Place. Non sfugge all’occhio vigile del controllo illimitato nemmeno il pub preferito di Orwell , il Compton Arms , nel cui vicolo una cam di una concessionaria di automobili finisce per registrare non solo il proprio spazio ma anche chiunque entri ed esca dal locale.
Le restanti 28 CCTV sono piazzate nel circondario, assieme a centinaia di altre piccole telecamere private controllate da remoto messe a salvaguardia di abitazioni, uffici, negozi ed attività di vario genere. Ed è proprio la salvaguardia la motivazione principale con cui alcuni dei coautori del sistema di iper-controllo giustificano il proliferare delle CCTV : Minesh Amin, proprietario di una drogheria monitorata da 3 telecamere, sostiene che queste “servono per la nostra sicurezza e salvaguardia. Senza di esse, le persone potrebbero rubare dal negozio. Sebbene questa sia una zona tranquilla, ci sono sempre persone poco raccomandabili che provocano guai rubando”.
Gli fa eco Malik Zafar, gestore di una lavanderia a secco “proprietario” anche di due CCTV di controllo: “Io ho bisogno di sapere chi è che sta entrando nel mio negozio” sostiene Zafar, che ha speso ben 400 sterline per installare il sistema.
Ma le buone ragioni della sicurezza potrebbero aver fatto andare il meccanismo fuori controllo: lo denuncia un rapporto della Royal Academy of Engineering , notando come l’attuale incredibile quantità di cam installate in tutto il paese – una ogni 14 persone e il 20% di quelle presenti in tutto il mondo – piuttosto che fungere da baluardo protettivo potrebbe rappresentare il vero rischio per la vita dei cittadini .
Un numero tanto vasto di punti di osservazione e il conseguente archivio di dati e informazioni, questo il succo del rapporto, si presta a divenire obiettivo ideale dei ladri di identità e di malintenzionati di varia risma, che si sentirebbero incentivati a prenderne il controllo e ad adoperarlo per condurre i propri misfatti.
Non che questi dati smuovano le autorità britanniche. Proprio ieri il ministro dell’Interno, John Reid, ha confermato uno stanziamento di 50mila sterline per installare in zone “a rischio” una 20ina delle nuove telecamere di sorveglianza, quelle già sperimentate che parlano con chi passa : gli agenti che le utilizzeranno, in qualsiasi momento potranno decidere di interloquire con chi si trova nel raggio delle cam, ad esempio per avvertire che l’occhio lungo della legge persegue le “attività antisociali”, come le ha definite Reid.
Alfonso Maruccia