È giunto a conclusione il processo a Bradley Manning , il soldato statunitense che ha reso pubblica una quantità di informazioni senza precedenti fornendo centinaia di migliaia di documenti segreti – in prevalenza cablogrammi diplomatici – a Wikileaks.
La corte militare che lo ha processato ha giudicato Manning colpevole di 20 dei capi di imputazione, inclusi possesso e trasmissione illegale di informazioni sulla difesa nazionale, furto di informazioni governative, accesso non autorizzato a computer governativi. Manning si era già dichiarato colpevole riguardo a 10 capi di imputazione, e la sentenza lo ha “graziato” liberandolo dall’accusa peggiore rivolta nei suoi confronti: quella di aver “aiutato il nemico” degli USA.
Manning è stato condannato a 35 anni di detenzione in una prigione militare meno quelli già scontati in regime di fermo cautelativo, un tempo che tiene conto (in forma di “crediti”) anche delle dure condizioni e il trattamento a cui il soldato ha dovuto sottostare fin qui inclusa la confisca dei vestiti ogni notte, l’impossibilità di dormire dalle 5 alle 8 del mattino e le ispezioni delle guardie subite completamente nudo.
La condanna a 35 anni non soddisfa l’accusa rappresentata dal capitano Joe Morrow, che aveva chiesto una condanna ad almeno 60 anni perché prima di Manning non c’era stato un soldato nella storia dell’Esercito capace di mostrare “un tale estremo disprezzo” per i suoi doveri militari.
Trentacinque anni sono comunque molto meno dei 136 anni di carcere rischiati dal giovane soldato convertitosi in talpa e informatore per Wikileaks, anche se in definitiva il ventiseienne Manning è stato degradato a soldato semplice – fatto che influenza anche lo stipendio che gli verrà riconosciuto forfettariamente al termine della detenzione – e infine congedato con disonore. Manning dovrà passare almeno un terzo della condanna in prigione prima di poter fare richiesta del rilascio in regime di libertà condizionata.
La pronuncia della sentenza da parte del giudice ha avuto il suo carico di reazioni umorali, soprattutto da parte del network di supporto che in questi mesi e anni ha sostenuto la causa di Manning: gli avvocati dell’ex-soldato hanno accolto la condanna fra le lacrime, mentre il diretto interessato ha provato a consolarli dicendo che era “tutto OK” e che sarebbe riuscito a sopravvivere a tutto questo.
Anche la difesa, come l’accusa, si è detta scontenta della sentenza visto che aveva richiesto non più di 25 anni per Manning, e gli avvocati già si dicono pronti a chiedere la grazia al presidente Barack Obama. Una posizione, quella della richiesta della grazia a Obama, sposata anche da Amnesty International che sottolinea come il soldato abbia agito nella consapevolezza di poter avviare un “dibattito pubblico” sui costi della guerra e il comportamento dei militari USA in Iraq e Afghanistan.
Molto più tagliente risulta il giudizio del direttore della American Civil Liberties Union (ACLU) Ben Wizner, che in un comunicato post-sentenza evidenzia l’assurdità di una condanna che punisce molto più duramente un soldato che ha condiviso informazioni con stampa e pubblico di chi tortura i prigionieri e uccide civili innocenti. Nel sistema giudiziario statunitense c’è qualcosa di “profondamente sbagliato”, ha chiosato Wizner.
Alfonso Maruccia