Milano – Le Ragazze con il Pallino per la Matematica è il titolo di
un saggio curato da Chiara Burberi e Luisa Pronzato disponibile da pochi giorni per l’acquisto sui canali digitali di vendita: decine di interviste ad altrettante donne di tutte le età e con molteplici carriere differenti, tutte con un minimo comune multiplo. Nella storia di queste donne hanno avuto un ruolo significativo le scienze, le cosiddette STEM ( Science, Technology, Engineering e Mathematics ), ovvero le materie scientifiche che troppo spesso sono state ritenute l’antitesi del pensiero e delle occupazioni femminili : un mito da sfatare, anche e soprattutto per coinvolgere talenti potenziali che covano tra le studentesse e che potrebbero essere messi a frutto.
Esiste un problema di genere nello studio delle materie scientifiche? Probabilmente sì: le curatrici del volume citano i casi nei quali le famiglie provano a spingere le ragazze – con meccanismi espliciti o meno – verso l’abbandono dello studio ben prima di quanto accada con i coetanei maschi. In quei casi, dicono, spesso è solo l’intervento di un mentore a salvare la situazione : un professore, non importa se uomo o donna, che gioca un ruolo decisivo nel tenere in classe le ragazze e a motivarle magari anche a perseguire l’impegno in una facoltà scientifica. Ci sono anche programmi specifici che provano a promuovere questo circolo virtuoso, stimolando l’interesse delle ragazze per queste materie (l’ospite di casa era Microsoft, e ha ricordato Nuvola Rosa ).
Che le donne abbiano bisogno di maggiore spazio e maggiori diritti nel campo dello studio e nel mondo del lavoro è un fatto: non serve ribadire che le donne ricevano stipendi più bassi dei loro pari-grado maschi, non serve ribadire che di donne al vertice di grandi aziende ce ne sono decisamente meno che uomini. Non serve neppure ricordare che figure importantissime della storia della scienza hanno subito un trattamento di seconda scelta solo in virtù del fatto che erano del sesso sbagliato (e nel libro vengono ricordate molte di queste donne). Tutto questo è vero e va tenuto ben presente (oggi è pure l’8 marzo): esiste un ostacolo culturale che tiene troppo spesso frenate le donne nelle loro aspirazioni, convincendole che non è vero che qualsiasi sogno è alla loro portata o che ogni obiettivo sia raggiungibile. Meno donne che studiano STEM significa anche un livello di occupazione inferiore per il genere femminile: più donne ingegnere, più donne che studiano matematica, fisica e scienze, significherebbe anche più donne con un lavoro, con un lavoro migliore . E, di conseguenza, risollevare un po’ le percentuali scoraggianti che contraddistinguono l’Italia in questo senso.
Nel corso della presentazione del volume, svoltasi lo scorso lunedì a Milano alla Microsoft House, un punto però è emerso oltre alle discriminazioni di genere: un altro ostacolo che l’Italia si trova ad affrontare non è semplicemente la necessità di prevedere “quote rosa” nelle facoltà scientifiche delle università, o nei libri-paga delle aziende che si occupano di tecnologia. Il problema è nel “sistema”: la cultura italiana è ancora tutta, profondamente, legata al concetto di una presunta superiorità delle materie umanistiche su quelle scientifiche , e ciò travalica le considerazioni relative alla necessità di garantire alle studentesse le stesse opportunità che sono offerte ai loro colleghi di sesso maschile.
È di nuovo una delle autrici, Chiara Burberi, ad aver detto qualcosa di estremamente significativo nel corso del dibattito di lunedì sera: la matematica si studia per tutto il ciclo scolastico, 13 anni, e alla fine di tutto questo corso di studi sono in molti a concludere che non sono affatto tagliati per questa materia . C’è chi vende i libri, chi li regala: persino chi li brucia, ha scherzato. Eppure, qualsiasi altra disciplina praticata per 13 anni vedrebbe molti di noi eccellere: se la matematica fosse uno sport finiremmo tutti per competere in un torneo agonistico, invece resta una disciplina spesso respinta per principio e sentita come distante dalla vita quotidiana.
Quello che manca oggi in Italia non sono probabilmente le iniziative per spingere le donne a misurarsi con le materie scientifiche, che pure servono, bensì un adeguato programma di istruzione che metta la scienza in primo piano: ci sono troppe scuole in Italia dove il livello di efficacia dell’insegnamento delle STEM è sotto la media , troppe realtà nelle quali una serie di cause (dall’età del corpo docente al metodo di insegnamento, dai programmi ministeriali all’attuale impostazione delle scuole secondarie di secondo grado) non fa altro che aumentare la distanza tra le scuole migliori e quelle che stentano a tenere il passo delle prime. Discorso simile vale per gli atenei: ci sono in tutte le regioni delle eccellenze indiscusse, ma ci sono anche molti casi nei quali il livello medio dell’insegnamento impartito cala in modo preoccupante. La differenza spesso la fanno i singoli professori, capaci di far appassionare alla propria materia gli studenti: ma è un merito personale, più che un valore assoluto dell’istruzione italiana.
L’Italia che occupa posizioni di rincalzo nella classifica mondiale OCSE sull’istruzione , e che in particolare è ancora più in ritardo quando si parla di STEM, si condanna da sola a una lenta e inesorabile discesa del PIL. Una nazione che non riesca a tenere il passo di quelle più avanzate nella ricerca scientifica , non può sperare di tenere il passo per quanto riguarda la ricchezza prodotta e il benessere dei suoi cittadini: ben vengano le iniziative per promuovere lo studio delle scienze, tutte le iniziative, purché realizzino una scuola più efficace e produttiva. Solo, per favore, non l’ennesima riforma scolastica che poi verrà smontata dal governo successivo.
Luca Annunziata