Le persone invecchiano e prima o poi smettono di lavorare per riposarsi. Al di là dell’attuale stato di salute, anche Steve Jobs prima o poi dovrà mollare il comando di Apple per lasciarla camminare sulle proprie gambe, e quando arriverà quel momento sarà lecito domandarsi: “e ora cosa accadrà?”
Sarà lecito domandarselo per vari motivi, perché Apple è stata fondata da Jobs e già in passato ha avuto qualche problema a tirare avanti senza di lui. Basta vedere cosa successe a cavallo tra gli annì80 e ’90: dalla cacciata di Jobs (1985) iniziò un periodo con una mancanza cronica di idee e tentativi maldestri di risollevare le sorti dell’azienda. Ci fu un periodo in cui Apple vendeva stampanti e macchine fotografiche, dispositivi completamente fuori dal proprio know-how (ed infatti erano prodotti di altre marche opportunamente rimarchiati), ci furono macchine di bassa qualità (la linea Performa), ci fu il periodo dei cloni che porto Apple sull’orlo del fallimento, e tante altre cose ancora.
Chi se lo ricorda il Pippin ? Chi si ricorda dell’incapacità di aggiornare il sistema operativo e dei numerosi progetti incompiuti (Pink, Copland , OpenDoc ecc)?
Difficile dire cosa sarebbe successo se in quel periodo Jobs fosse rimasto al comando dell’ azienda che aveva fondato con Woz e col “sempre dimenticato” Ronald Wayne , ma non possiamo comunque dare per scontato che le cose sarebbero andate meglio, anche se ad alcuni piace pensarlo: giusto per restare in tema col periodo di cui stiamo parlando, la NeXT fondata da Jobs alla sua dipartita da Apple non fu un grande esempio di successo imprenditoriale, nonostante gli apprezzamenti sul sistema operativo che ancora vive nella sua forma Open , e in parte rivive come struttura di MacOS X.
Inoltre non è nemmeno vero che ogni prodotto pensato da Jobs si sia tramutato in un successo: basti pensare al Cube, alla vecchia AppleTV, o allo shuffle senza comandi (sul quale è stata fatta marcia indietro con l’ultimo modello). Anche a livello di server bisognerebbe capire come stanno realmente le cose: se è vero che la linea Xserve non ha avuto il giusto riscontro commerciale si tratterebbe di un altro mezzo flop di Jobs, ma se fosse vero il contrario l’errore starebbe nella dismissione della linea . Comunque la si guardi la faccenda Xserve è da annoverarsi tra le scelte errate di Jobs, nonostante il prodotto sia rimasto in commercio per quasi nove anni.
In ogni caso, al di là del fatto che siano giuste o sbagliate, si è trattato di “decisioni di Jobs”, perché la questione ruota intorno a questo tema: Jobs, in Apple, ha un potere decisionale enorme, una carisma senza eguali e (da quel che si dice) anche un carattere al quale è difficile opporsi. Quello che verrebbe a mancare in caso di abbandono della posizione è proprio questo suo forte potere, e bisogna vedere se chi ne prenderà il posto riuscirà ad avere almeno un briciolo del carisma di Jobs, quel briciolo che serve per condurre l’azienda con decisione, facendo scelte anche sbagliate se poi si ha la forza di fare marcia indietro, come sulle linee guida per la realizzazione delle App (purché ovviamente non ci siano errori in continuazione).
Premesso questo, se Apple continuerà a realizzare buoni prodotti credo che per il pubblico non farà troppe domande su chi è alla guida della società: se penso a quando acquistai il mio primo Mac (un LC di seconda mano) fui colpito dal sistema operativo, e sapere chi fosse Jobs era l’ultima delle mie preoccupazioni, tanto più che in quegli anni Jobs non era nemmeno in Apple. Presi piena consapevolezza del suo “potere” solo qualche anno più tardi (nel 1997) al suo rientro in Apple, vedendo il modo in cui prese per mano la sua vecchia creatura malconcia e la incamminò verso un futuro di successi, tagliando i rami secchi e cambiando drasticamente hardware e software: in poche parole, prendendo decisioni.
Non è stato facile dire a sviluppatori e utenti che da MacOS9 si sarebbe passati ad un sistema Unix (seppur con un lungo periodo di transizione e retrocompatibilità), e ancora meno facile ammettere che l’era del PPC (processore fortemente voluto da Apple, in collaborazione con Motorola e IBM) era terminata, e lo stato delle cose imponeva un cambio di architettura verso Intel. Erano decisioni forti, di quelle “o la va o la spacca” (anche se preparate per anni con minuziosa attenzione ad ogni dettaglio), ma Apple ne aveva bisogno e Jobs ha deciso.
Tim Cook ha già dimostrato in più occasioni di saper guidare l’azienda , ma non è l’unico candidato a questo ruolo tanto ambito quanto delicato, e c’è anche chi crede che Jobs si affidi a lui in questi momenti di assenza proprio perché si tratta di una personalità non così forte da dare l’idea di poterlo sostituire da subito, tant’è che le decisioni strategiche più importanti sono sempre state prese col consenso di Steve. Aldilà delle malelingue, Cook è sicuramente un ottimo amministratore in grado di gestire i flussi di prodotti nonché la parte economico-organizzativa dell’azienda (ricordiamo che ha già ricoperto diversi ruoli importanti, come responsabile dei processi di produzione di iPod e iPhone e dell’intera divisione Macintosh), ma è opinione comune che manchi di quelle intuizioni creative proprie di Jobs e di quel dinamismo che deriva da chi ha un certo background tecnico.
Dalla sua però Cook ha una caratteristica in comune con Jobs, una caratteristica importante di cui abbiamo parlato sopra: la decisione. Cook è molto esigente sul lavoro ed ha il carattere per “pretendere” dai propri collaboratori che le cose vengano fatte nel modo giusto.
Gli altri pretendenti al ruolo di futuro CEO di Apple sono Eric Schmidt e Scott Forstall. Eric Schmidt si sta preparando ad abbandonare il ruolo di CEO di Google per lasciare spazio a Larry Page, e la coincidenza di questo abbandono con la malattia di Jobs, nonché il destino incrociato delle due aziende (prima alleate per offrire servizi, poi concorrenti per via dello scontro iOS-Android), ha indotto molti analisti ad ipotizzare questa possibilità: il suo recente “no comment” sull’argomento (nel corso di un’intervista rilasciata alla CNBC ) non ha fatto che alimentare questa voce. Nonostante l’esperienza come CEO e la sua solidità dal punto di vista manageriale (sappiamo tutti cos’è riuscito a fare con Google), Schmidt (che ha la stessa età di Jobs visto che entrambi sono nati nel 1955) dà l’impressione di essere una figura molto meno carismatica di Jobs, meno decisa di Cook, e forse poco adatta ad un’azienda come Apple (non tutti i manager vanno bene per tutte le aziende: basti pensare a quello che combinò Sculley , che pur veniva dalla presidenza della Pepsi).
L’outsider di questa vicenda potrebbe essere Scott Forstall , attuale vicepresidente della sezione Software per iPhone ma con un’esperienza tecnica che parte da NeXT, passa dalla progettazione della prima versione di MacOS X e dell’interfaccia Aqua, per sfociare in iOS. Forstall è tecnicamente preparato e sufficientemente creativo, visto che ha curato personalmente lo sviluppo dell’interfaccia di iOS nonché alcuni aspetti di MacOS X; Forstall inoltre, a differenza di altri possibili candidati (come Schiller) è anche di buona presenza pubblica, sa tenere il palco ed ha la stessa età di Cook (ovvero 5 anni in meno di Jobs e Schmidt). Di contro, Scott Forstall non ha grandi esperienze in campo amministrativo, e questo potrebbe essere un punto a sfavore per la sua candidatura in questo ruolo.
È anche vero che Jobs non dev’essere sostituito obbligatoriamente da un’unica persona, ma ci potrebbero essere più figure a prende il suo posto, ognuna con un ruolo ben definito: Cook potrebbe diventare un ottimo CEO in grado di amministrare l’azienda con decisione, mentre Forstall lavorerebbe direttamente al suo fianco dando le direttive sullo sviluppo e sulla creazione dei nuovi prodotti. Schmidt, nonostante le coincidenze, mi sembra un po’ fuori dai giochi.
Se volete che mi sbilanci, sono ottimista sul futuro prossimo di Apple, ma l’informatica è una scienza talmente giovane che le rivoluzioni sono dietro l’angolo: Firefox che scalza Explorer, il declino di Symbian, Windows Mobile che è praticamente sparito dagli smartphone, il successo di iPhone, la crescita inarrestabile di Android, l’inizio dell’era tablet… Sono tutti eventi che cinque anni fa nessuno avrebbe mai immaginato, e tra cinque anni ci troveremo di fronte a cose che adesso non riusciamo nemmeno ad ipotizzare. Se dovessi scommettere su un futuro lontano, probabilmente guarderei verso il mondo Open Source: non tanto per questioni “tecniche” o “filosofiche”, ma perché è un mondo slegato da qualsiasi logica commerciale o da legami troppo forti con personaggi-simbolo.
In realtà i “santoni” non mancano nemmeno nel mondo Open Source: Torvalds e Stallmann , ognuno con la propria visione di questo mondo (visioni che non sempre coincidono), sono comunque due personaggi carismatici, due personaggi che prima o poi cederanno il passo anche loro. Ma per sua natura il mondo Open Source prevede un modello distribuito dello sviluppo, e in quanto tale non potrà mai sparire: chissà che nel decennio appena iniziato la rivoluzione informatica non passi anche da lì.
Domenico Galimberti
blog puce72
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