Il mercato open source cinese è stato “bombato” con una forte dose di anabolizzante statale. Secondo CCID Consulting la rinnovata politica anti-pirateria attuata dal Governo di Pechino ha agito da stimolante per il tessuto industriale e la PA. L’Amministrazione nazionale per la Difesa del Copyright – inaugurata lo scorso anno – ha infatti obbligato gli enti pubblici ad accantonare almeno ufficialmente il software pirata. E questo, anziché stimolare l’acquisto di licenze proprietarie, secondo la società di rilevazione ha invece portato ad un notevolissimo aumento degli acquisti di desktop Linux.
Una netta inversione di tendenza rispetto agli scorsi anni. Perché se è vero che tra il 2003 e il 2006 il mercato Linux è praticamente raddoppiato, lo share delle soluzioni desktop è passato nello stesso periodo dal 16% al 12%.
Insomma, come sottolinea Linux.com , “…il Governo cinese è responsabile di più di un quarto degli acquisti Linux desktop, il locale Red Flag Linux domina sul mercato”. In ambito privato sono le industrie, le TLC e i servizi i segmenti maggiormente pinguinati. Ad esempio, secondo l’ultimo report di CCW Research , sarebbero state proprio le soluzioni Linux ad aver permesso all’industria alberghiera di crescere del 30% nel business online. I minori costi avrebbero agevolato gli investimenti in attrezzature IT.
Anche in ambito strettamente consumer qualcosa sta cambiando. I vendor hanno iniziato a promuovere Linux: Dell e Lenovo commercializzano pc e notebook con piattaforme open source pre-istallate. E quindi non è da escludere che degli stimati 6 milioni di pc che saranno venduti nelle aree rurali fra il 2007 e il 2008 una parte possa accrescere lo share “open” nazionale.
Zhen Zhongyuan, vice presidente di Red Flag, però, è convinto che la questione pirateria sia ancora un nodo centrale. A suo parere, una versione piratata di Windows vanta ancora nell’usabilità qualche marcia in più rispetto alle soluzioni Linux. Ed è per questo motivo che solo ad ogni ridimensionamento del fenomeno illegale corrisponde a suo dire un incremento nella diffusione dell’open source.
Certamente, il giorno in cui la pirateria verrà sconfitta bisognerà cercare di comprendere a fondo per quale motivo il “tasso di disinstallazione” sia così alto. I dati CCW confermano infatti che il 31,9% degli utenti cinesi che acquistano un pc nuovo con OS Linux, a breve procedono alla sua sostituzione – ritornando nelle braccia di Microsoft. Allo stesso tempo il costo di gestione Linux non è più concorrenziale come in passato: la nuova politica tariffaria applicata localmente dalla dirigenza di Redmond si inizia a far sentire. La battaglia tra open e closed in Cina è ufficialmente iniziata.
Dario d’Elia