In un breve comunicato diramato alla stampa, il procuratore federale statunitense Carmen Ortiz ha parlato innanzitutto da genitore, non potendo nemmeno immaginare il dolore provato dai familiari e dagli amici dell’attivista-hacker Aaron Swartz. “Voglio estendere la mia più sincera comprensione a tutti quelli che hanno conosciuto e amato questo ragazzo”, ha esordito Ortiz nel suo primo statement dal tragico suicidio.
Tuttavia, in qualità di procuratore federale nel distretto del Massachusetts, Carmen Ortiz non ha trovato alcun neo nella condotta adottata dal suo ufficio per l’apertura e la gestione del caso Swartz-JSTOR. “Gli inquirenti hanno riconosciuto che il fine di Aaron Swartz non fosse il guadagno personale, non trovando alcuna prova a dimostrarlo”, ha scritto Ortiz. Pur trattandosi di una violazione di legge, l’accusa non avrebbe mai ordinato le sentenze più severe previste dalla legge .
In sostanza dagli uffici guidati da Ortiz non sarebbe mai partita una richiesta di condanna per distruggere la vita del giovane hacker. In via cautelare, il procuratore statunitense avrebbe chiesto al giudice un periodo di sei mesi in un “ambiente di bassa sicurezza” , per poi dare il tempo alla difesa di organizzarsi per una libertà vigilata. Dunque le autorità a stelle e strisce non sarebbero responsabili – come affermato dalla famiglia – della drammatica morte di Aaron Swartz. Eppure, nella scorsa primavera, Swartz era entrato in aula con un totale di 13 capi d’accusa per frode elettronica e violazione dei sistemi di sicurezza nell’archivio JSTOR.
In una nuova proposta di legge , il deputato democratico Zoe Lofgren ha chiesto una sostanziale revisione del Computer Fraud and Abuse Act (CFAA), il cui testo risulterebbe troppo vago nella definizione di “intrusione informatica non autorizzata” . Le pene per hacker come Swartz dovrebbero risultare molto meno pesanti, lontane da quei 35 anni di carcere ipotizzati dall’accusa.
Mauro Vecchio