Non potrà essere licenziato il dipendente Telecom Italia che aveva abusato del telefonino aziendale per spedire migliaia di SMS privati. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso presentato dalla compagnia telefonica, che voleva dare l’estrema punizione ad un lavoratore che utilizzava in modo troppo disinvolto il cellulare in dotazione.
Come riferiscono le cronache, da gennaio ad ottobre del 2000, l’uomo aveva spedito – ad utenti privati e per fini personali – ben 13mila messaggini con il telefonino affidatogli per le sue mansioni lavorative. Il costo totale dei messaggi ammonta ad oltre 1.500 euro.
Telecom Italia per l’abuso ha licenziato il dipendente, ma questi ha presentato ricorso davanti al Tribunale di Napoli che, nel febbraio 2002, ha annullato il licenziamento. La causa è così proseguita davanti alla corte d’Appello (che nel 2004 ha confermato il primo verdetto) e quindi in Cassazione.
Ma anche la suprema corte – con la sentenza n. 23107 – ha confermato la decisione del giudice partenopeo, evidenziando un principio di disparità di trattamento dei dipendenti da parte dell’azienda. I giudici hanno infatti rilevato che in altre vicende analoghe Telecom Italia era stata più clemente verso altri lavoratori che si erano resi responsabili di abusi dello stesso tipo, che per punizione si erano visti addebitare sullo stipendio il valore di quanto avevano fruito indebitamente, o erano stati oggetto di sospensione per alcuni giorni.
Nella sentenza si legge, in sostanza, che “i lavoratori devono essere trattati nello stesso modo” e nell’eventualità di “fatti illeciti analoghi” l’azienda non può adottare criteri di giudizio e punizioni diverse senza una valida giustificazione. “Esattamente i giudici – precisa l’atto – hanno ritenuto che l’irrogazione di sanzioni conservative (come ad esempio la mera sospensione dal lavoro, ndr) ad altri lavoratori per fatti illeciti analoghi possono indurre nel caso concreto a ritenere sproporzionato il licenziamento”.
Dario Bonacina