È tra i maggiori esperti italiani di accessibilità a cui ha dedicato da anni un sito, Diodati.org che è una vera e propria mecca per webmaster e sviluppatori e per chi utilizza tecnologie assistive. Ora Michele Diodati è anche autore di un testo che si annuncia come summa e riferimento cardine per tutti. Lo è nel nome, Accessibilità – Guida completa e nei fatti, nella descrizione pratica dei problemi, nella conoscenza e nell’individuazione delle soluzioni. Accessibilità è prima di tutto diritto, parità, solidarietà, opportunità . Per questo e di questo Punto Informatico ha parlato proprio con lui. Ecco cosa è emerso.
Punto Informatico: Un libro sull’accessibilità fatto di carta e venduto in libreria, non è una contraddizione?
Michele Diodati: Lo sarebbe se vi fosse solo la versione cartacea del libro. Il progetto concordato con l’editore prevede, invece, la pubblicazione integrale del libro in HTML. Ci sarà dunque nei prossimi mesi una versione elettronica accessibile che si affiancherà al libro stampato, già presente da qualche giorno nelle librerie. Della realizzazione di questa versione accessibile mi occuperò personalmente, insieme ad alcuni lettori di Diodati.org, che si sono offerti come volontari.
PI: Online ok? A pagamento?
MD: Il libro in HTML sarà consultabile gratuitamente online, il che mi sembra un passo importante ed innovativo nella direzione di una vera accessibilità e condivisione delle informazioni. Non sarà però scaricabile come documento unitario, anche per salvaguardare le vendite e i diritti di chi acquista la versione cartacea.
Per chi desidera leggere off line la versione digitale del libro stiamo comunque studiando con l’editore la possibilità di realizzare un PDF accessibile, da acquistare a pagamento (l’idea è però, al momento, ancora in una fase embrionale).
PI: Chi segue diodati.org sa che sono molti anni che ti occupi con estrema competenza di accessibilità: nel libro cosa ci troveremo del sito? C’è una relazione tra sito e libro? Di che genere?
MD: Il sito Diodati.org non ha una relazione diretta col libro, ma il libro può essere considerato senz’altro una conseguenza delle idee che ho maturato in seguito ad anni di discussioni sull’accessibilità e gli standard web, di cui recano traccia gli archivi dei forum del sito .
PI: Nell’introduzione spieghi come il libro sia destinato in particolare a chi realizza siti web, ma che i beneficiari dell’accessibilità sono molti, dai portatori di disabilità a chi conosce poco la lingua di pubblicazione dei siti che visita, agli anziani e a chi ha poca dimestichezza con la rete e altri ancora.
Il tuo sito sono anni che approfondisce a beneficio di tutti i vantaggi e i problemi dello “sviluppo accessibile”. Il libro cosa aggiunge a tutto questo?
MD: Il libro ha rappresentato per me lo strumento adatto per tentare un grosso passo in avanti rispetto ai contenuti sull’accessibilità diffusi attraverso il mio sito. Per la sua ampiezza, infatti, un libro, e in particolare quello che l’editore Apogeo mi ha consentito di scrivere, permette di operare una razionalizzazione della materia su larga scala, che guide e discussioni online quasi mai consentono.
Nel libro ho potuto argomentare in modo completo e sistematico, avvalendomi delle ricerche più recenti e avanzate disponibili sul Web, una serie di concetti che dovrebbero aiutare gli sviluppatori a chiarire numerosi aspetti importanti della progettazione di siti web in generale, non soltanto di quella orientata specificamente a un’utenza di persone con disabilità. Mi riferisco ai concetti di indipendenza dal dispositivo, di separazione dei comportamenti e della presentazione dai contenuti e dalla struttura di un documento, di sviluppo piramidale delle applicazioni web ottenuto col metodo del potenziamento progressivo.
Il libro affronta in modo organizzato una serie di questioni con cui la maggior parte degli sviluppatori professionisti si confronta abitualmente: cos’è e come scegliere una DTD, quale linguaggio di marcatura utilizzare (e perciò l’elenco, nel capitolo 16, di tutte le differenze tra HTML e XHTML, con la messa in luce di vantaggi e svantaggi di entrambi), come svincolarsi dall’impaginazione basata sulle tabelle, come usare AJAX, Flash e PDF in modo accessibile, l’importanza generale del rispetto degli standard per il Web, ed altro ancora. Non ultimo, almeno per chi lavora in contatto con le pubbliche amministrazioni, il libro contiene informazioni e considerazioni sulla legge italiana sull’accessibilità. PI Qual è il maggiore ostacolo alla diffusione di siti e servizi accessibili?
MD: Soprattutto la mancanza di consapevolezza, da parte di sviluppatori e autori di contenuti, dei problemi di accesso al Web di chi naviga con tecnologie assistive. A volte basterebbe molto poco per migliorare l’accessibilità, ma quel poco non viene fatto appunto perché s’ignorano i problemi.
Ho pubblicato di recente sul mio forum un banale esempio , che illustra come una differenza strutturale visibile solo graficamente sia inadeguata per chi ascolta la pagina usando uno screen reader.
Detto in breve, il sommario di un articolo presente nella home page del Corriere online di qualche giorno fa (prima della reimpaginazione del sito), se ascoltato invece che scorso visivamente, finiva con l’attribuire comicamente all’autore dell’articolo, Guido Olimpio, la causa della mancata cattura di Osama in Afghanistan: “il capo di Al Qaeda intercettato a Tora Bora ma le unità americane hanno perso tempo per lo scarso coordinamento di Guido Olimpio”. In realtà “di Guido Olimpio” era messo in corsivo e quindi, per chi vede, era chiaro che quel testo non faceva parte del sommario dell’articolo. Ma chi ascolta non sa del passaggio al corsivo e dunque può incorrere nell’equivoco.
Il modo più semplice per eliminare simili ambiguità (che si verificano più spesso di quanto non si immagini) consiste, come segnalato da un lettore del mio forum, nell’inserire un punto alla fine del testo che deve essere separato da quello successivo. Ciò induce la sintesi vocale a fare una pausa chiarificatrice nel punto in cui le due stringhe consecutive devono essere separate. Ma, per usare un simile accorgimento, bisogna evidentemente conoscere il problema…
PI: Hai pubblicato online il glossario del libro, con quale scopo? Oggi è in pdf, domani lo troveremo come wiki?
MD: Il motivo principale per cui il glossario è stato pubblicato solo online è quello di stimolare il lettore a usare il libro in stretto contatto con il Web, che è l’oggetto vero di cui parla il testo. Non inserendo il glossario nella versione cartacea, si è voluto inoltre preservare i lettori da sforzi muscolari troppo intensi nel maneggiare il volume, che già così è abbastanza corposo…
Il wiki-glossario dell’accessibilità è comunque una possibilità interessante, che non escludo di prendere seriamente in considerazione in futuro.
PI: Sei uno dei massimi esperti in Italia di accessibilità e hai iniziato a parlarne quando il termine stesso veniva confuso con diritto alla connettività, questione altrettanto rilevante ma diversa per almeno alcuni aspetti. Come siamo messi? L’accessibilità è una cultura, un obiettivo più conosciuto di un tempo? E in Italia? I siti del nostro paese ti sembrano indietro? Avanti?
MD: Penso che negli ultimi anni siano stati fatti progressi notevoli nello sviluppo di siti più organizzati e professionali, all’estero e anche in Italia. La preparazione tecnica degli sviluppatori è senz’altro aumentata.
Per esempio, è difficile oggi (anche se non impossibile) trovare in siti di qualche interesse pubblico dei menu di navigazione fatti solo di immagini e privi di testi alternativi. L’impaginazione senza tabelle sta prendendo
sempre più piede; diminuiscono parallelamente i siti sviluppati senza usare i CSS, con la presentazione grafica tutta affidata al codice HTML. Molti siti cominciano ad essere tarati per la consultazione con dispositivi mobili. Aumentano, infine, i siti che consentono all’utente di personalizzare le caratteristiche di visualizzazione o addirittura le tipologie di contenuti da caricare. C’è oggi, insomma, sul Web molta più flessibilità e possibilità di scelta di quanta ce ne fosse anche solo tre o quattro anni fa.
PI: Quindi si va migliorando.. diciamo
MD: In realtà ciò non significa che il Web sia oggi più accessibile di quanto non fosse in passato, per esempio dieci anni fa. Sembra anzi che sia avvenuto il contrario.
Di ciò rende conto bene la testimonianza di un utente sordocieco, citata nell’ introduzione del mio libro . La questione è che, insieme alla crescita di professionalità di chi realizza siti e alla larga diffusione di tecnologie che migliorano l’interattività (AJAX) e la reperibilità dei contenuti (categorizzazione per tag), sono cresciuti esponenzialmente la complessità dei siti, la quantità di contenuti disponibili, le interfacce di consultazione, le modalità operative e, soprattutto, i pericoli per la sicurezza.
Tutto ciò determina un crescente senso di spaesamento e di inadeguatezza, non solo in chi – come un utente sordocieco – è penalizzato pesantemente dal proprio deficit sensoriale nelle possibilità di esplorare e dominare i contenuti del Web, ma anche in chi, normodotato, è sprovvisto però di competenze informatiche e si avvicina da profano all’uso del Web e in generale del computer.
PI: Un esempio?
MD: La richiesta di installare un plug-in o un aggiornamento del sistema operativo; un avviso che mette in allerta sui pericoli connessi all’esecuzione di controlli ActiveX o che sconsiglia la memorizzazione di cookie provenienti da terze parti; la comparsa di una finestra di dialogo che chiede se abilitare o disabilitare le macro in un file in formato DOC o PPT: sono tutte situazioni che stressano seriamente chi non ha la minima idea di cosa siano questi oggetti e soprattutto dei pericoli che dal loro cattivo uso possono derivare.
La situazione diventa ancora più penosa se, oltre a non conoscere tali nozioni, l’utente interagisce col computer e col Web attraverso una tecnologia assistiva: dunque, per esempio, con tutta la lentezza (e la perdita di contesto) che la lettura con un sintetizzatore vocale o una barra braille comportano.
Tali fattori, anche se per buona parte non dipendono direttamente dalla composizione dei siti, pure influenzano – negativamente – l’accessibilità del Web nel suo insieme. Alla fine, il risultato è un aumento del cosiddetto “digital divide”. I bambini e gli adolescenti nati nell’era dei computer risolvono brillantemente i problemi di accesso ai contenuti e ai servizi derivanti dagli avvisi che browser e sistemi operativi presentano di continuo all’utente: li aiuta in questo la straordinaria duttilità e facilità di apprendimento delle menti giovani, predisposte fin dalla prima infanzia a trattare con strumenti digitali, dal cellulare alla Playstation, dal navigatore satellitare al computer. Ben diversa è, invece, la situazione per chi è nato e cresciuto in era pre-informatica. Per tutti costoro, che rappresentano una frazione ancora molto ampia della popolazione complessiva, dominare finestre di dialogo e avvisi di pericolo è un’impresa irta di difficoltà, che basta da sola, in parecchi casi, ad allontanarli definitivamente dall’uso del computer e del Web, giudicato troppo difficile e poco soddisfacente. In Italia la situazione è, se possibile, ancora peggiore che altrove, dati l’invecchiamento e lo scarso livello culturale medio della popolazione, attestati da numerose statistiche.
PI: Un quadro a tinte fosche…
MD: Questo digital divide può essere progressivamente ridotto, agendo in due direzioni parallele e complementari: dal lato degli sviluppatori e dei programmatori, cercando di semplificare e di “umanizzare” sempre più le interfacce e le procedure di interazione uomo-computer; dal lato degli utenti, migliorando le proprie competenze informatiche.
PI: A questo proposito, i servizi della PA online sono accessibili? Il problema viene vissuto come centrale dalle amministrazioni? Vengono chieste consulenze a chi ne sa qualcosa? E i disabili, i primi ma non soli beneficiari di siti accessibili, vengono coinvolti nella sperimentazione delle novità?
MD: I siti della Pubblica Amministrazione italiana sono molto migliorati negli ultimi anni. Non so fino a che punto ciò sia un merito della legge 4/2004 sull’accessibilità, ma è un dato di fatto che molti siti pubblici italiani, spesso anche quelli di piccoli comuni, sono oggi sviluppati usando un codice di marcatura abbastanza in linea con le esigenze dell’accessibilità: per esempio, presentano testi alternativi per le immagini e sono consultabili anche a CSS disabilitati.
Tuttavia, il problema dell’accessibilità viene affrontato, almeno questa è la mia impressione, con un approccio “creativo” tipicamente italiano: la legge, infatti, già di per sé difettosa in vari punti, viene applicata e seguita molto sommariamente. Sono ancora pochissimi, rispetto al numero totale di soggetti pubblici presenti sul Web, i siti che dichiarano ufficialmente la propria conformità ai 22 requisiti tecnici previsti dal decreto attuativo della legge 4/2004.
I siti pubblici sono però solo una piccola parte del problema. È certo di assoluta importanza che siano accessibili, ma la verità è che i beneficiari dell’accessibilità hanno bisogno soprattutto di siti *privati* accessibili: sistemi di home banking, di social networking, quotidiani online, web mail ecc.
PI: Uno dei nodi centrali dell’accessibilità sono gli standard. Qualche sviluppatore non li considera a dovere, certi webmaster se ne lavano le mani, persino i browser si comportano spesso in modo non standard. Come se ne esce?
MD: La domanda cruciale da porsi è a mio avviso la seguente: che vantaggio ho, come sviluppatore, dall’applicare correttamente un linguaggio standardizzato? Nel caso di XML, la risposta è semplice e immediata: se la pagina prodotta contiene errori, il browser non permette all’utente di utilizzarla. Nel caso, invece, di HTML (e di XHTML servito come text/html) la situazione è molto diversa e più sfumata.
I browser grafici correggono infatti, nei limiti del possibile, gli errori di codifica commessi dagli autori, consentendo agli utenti una normale interazione con i contenuti anche nel caso di pagine che contengono centinaia di errori. Questo comportamento da “madri” amorevoli tenuto dai browser ha impedito alla maggior parte degli autori di contenuti web di divenire “adulti”, cioè di codificare pagine HTML senza errori.
Lasciando stare la questione se ciò sia stato un bene o un male (questione ingiudicabile per mancanza di prova contraria), resta il fatto che è ancora adesso possibile scrivere codice HTML sbagliato senza pagare dazio, almeno apparentemente. In realtà una pagina mal codificata, per esempio con i TD intrecciati tra loro in una tabella di dati, può influire negativamente sull’accessibilità: una tecnologia assistiva che cerchi di comunicare all’utente l’organizzazione di quella tabella, può essere facilmente ingannata. Insomma, la correttezza del codice è importante per la certezza dell’*interoperabilità*, cioè di un corretto scambio di dati tra computer e tra applicazioni. Purtroppo, però, i problemi di interoperabilità non vengono mediamente percepiti come importanti dagli sviluppatori, finché non accade qualcosa di irreparabile come la mancata visualizzazione della pagina in un browser grafico.
PI: Standard e pulizia del codice sono parole chiavi dell’accessibilità…
MD: Posto che difficilmente vedremo scomparire le pagine HTML con errori, il rispetto degli standard web diventerà tanto più diffuso e recepito come importante quanto più si diffonderanno applicazioni e contenuti basati su XML piuttosto che su HTML. Naturalmente ciò non può accadere finché non appariranno evidenti i vantaggi che la migrazione a una nuova tecnologia possono assicurare (ciò è già accaduto, per esempio, con l’esplosione del formato RSS).
PI: Nell’introduzione parli di “immedesimazione” nelle difficoltà di chi non può accedere agli effetti speciali di un sito web e ha bisogno di servizi accessibili. L’umanità tende a non immedesimarsi nel suo prossimo: tra gli sviluppatori va meglio?
MD: Questa è una domanda a cui è impossibile per me rispondere oggettivamente, dal momento che, interessandomi da anni di accessibilità, ho sviluppato una sorta di automatismo che mi porta a considerare, riguardo a qualsiasi contenuto web, le eventuali difficoltà di accesso legate all’uso di una tecnologia assistiva. È chiaro che un simile atteggiamento non è universalmente diffuso, né in Italia né altrove.
Per aumentare la sensibilità generale degli sviluppatori verso i problemi di accesso al Web degli utenti con disabilità, sensibilità che al momento è ancora scarsa, non c’è altro modo che diffondere informazioni; ma, più che le informazioni tecniche, sono necessari i racconti delle esperienze di navigazione di chi usa tecnologie assistive. È la strada che ho intrapreso, per esempio, col mio libro, cercando di presentare, dove possibile, le esperienze dei navigatori disabili a sostegno delle raccomandazioni tecniche che si susseguono nel testo.
Mi sembra una strada fruttuosa e, a tal riguardo, mi ha fatto molto piacere ricevere l’email di una persona estranea al mondo dell’accessibilità, che mi ha scritto che la lettura dell’introduzione del libro è stata per lei un arricchimento umano, avendole per la prima volta fatto intravedere un universo di problemi e di situazioni che le erano totalmente sconosciuti.
PI: A chi dice Accessibilità uguale siti poco attraenti tu cosa rispondi?
MD: Rispondo che per il momento ha ragione. È un fatto che la grande maggioranza dei siti sviluppati sulla base di principi di accessibilità variano tra il brutto e l’orrendo (categoria nella quale iscrivo anche il mio sito, la cui grafica è ancora quella di inizio 2002, che non ho mai cambiato, non so se per scaramanzia o pigrizia).
PI: Tutto qui?
MD: C’è un’importante precisazione da fare. I siti accessibili sono per lo più brutti, ma non è un difetto genetico. Ovvero si può curare. L’equazione accessibilità = tristezza grafica dipende a mio parere principalmente da due fattori: la grafica dei siti accessibili è stata finora prodotta per lo più da tecnici del codice, cioè da persone che sono solitamente prive di un’adeguata formazione artistica e che non brillano per creatività grafica e gusto estetico; i grafici che si sono dedicati ai siti accessibili non disponevano di informazioni sufficienti per svincolarsi, senza penalizzare l’accessibilità, da quelle impaginazioni tetre e monotone, considerate lo standard di fatto dei layout accessibili.
PI: Quindi è, ancora una volta, una questione di conoscenza?
MD: In realtà non vi è nulla che obblighi un sito accessibile ad essere brutto. I vincoli grafici che occorre rispettare – per esempio evitare i caratteri troppo piccoli, usare unità di misura relative e proporzionali, servirsi dei CSS invece che dell’HTML a scopo di presentazione, evitare gli sfondi grafici sotto i testi, scegliere combinazioni di colore primo piano/sfondo che rispettano gli algoritmi definiti dal W3C – non sono tali da impedire a chi abbia creatività e competenza grafica di creare impaginazioni belle e attraenti.
Si tratta solo di esplorare a fondo questo nuovo campo e di maturare la necessaria esperienza. Altrimenti, facendo un paragone con la composizione musicale, si dovrebbe concludere che le dodici note che compongono un’ottava sono troppo poche per comporre musiche decenti. Eppure le sinfonie di Beethoven o le canzoni dei Beatles, dei Queen e di tanti altri stanno lì a dimostrare che quelle note sono più che sufficienti per creare capolavori che sfidano il tempo.
a cura di Paolo De Andreis
il blog di pda