La Federazione italiana per il superamento dell’handicap (FISH) ha presentato un esposto all’Agenzia Italia Digitale (AgID) contro la Camera dei Deputati per denunciare il mancato adeguamento del loro sito alla normativa in materia di accesso all’informazione online. La situazione, d’altronde, è generale: pochi gli enti che hanno rispettato anche un minimo delle richieste fissate nell’Agenda Digitale per quanto riguarda l’accessibilità dei contenuti anche alle persone non vedenti o ipovedenti. Spesso i contenuti sono scarsamente fruibili da chiunque.
Esempio perfetto è il caso denunciato da FISH: il testo del disegno di legge di stabilità , pubblicato nel sito ufficiale, non risponde ai più elementari requisti di accessibilità essendo una scarna scannerizzazione che impedisce anche una banale ricerca testuale; stessa sorte, paradossalmente – che tocca alla VII Relazione sullo stato di applicazione della Legge 68 in materia di collocamento lavorativo delle persone con disabilità. Eppure da oltre dieci anni sono vigenti in Italia disposizioni , come la legge n.4 del 9 gennaio 2004, che impongono fra l’altro che le Pubbliche Amministrazioni forniscano informazioni in modo che siano accessibili e fruibili a tutti i Cittadini. Da ultimo con la Legge Stanca, poi, il Web della PA ha assunto l’impegno di adottare lo standard W3C WCAG 2.0.
Il tutto rientra d’altra parte in quegli obblighi stabiliti a livello internazionale: è la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata anche dal Parlamento italiano, che riconosce il diritto all’accesso all’informazione e, con l’articolo 21, che le persone con disabilità hanno diritto a ricevere informazioni su base di uguaglianza. Ma nel Paese che non riesce ad avere una finestra per promuovere il suo turismo pur avendo già speso per il sito in questione milioni di euro, appaiono molto difficili gli investimenti che sarebbero necessari a razionalizzare la questione dell’accesso ai dati ed ai documenti pubblici, non solo per non discriminare le persone con disabilità ma anche nell’ottica di una razionalizzazione della spesa ed una presunta riduzione dei costi attraverso l’utilizzo di formati aperti.
In questo complesso e bloccato quadro che vede normative esistenti ma non applicate si dovrebbe inseridire l’Agenzia per lItalia digitale (AgID), l’organismo istituito presso la Presidenza del Consiglio, che dovrebbe controllare quanto viene fatto per perseguire gli obiettivi della digitalizzazione e che ha predisposto uno specifico percorso di segnalazione per queste situazioni. AGID inoltre avrebbe già intrapreso una serie di azioni, tra cui una circolare che fornisce alle amministrazioni i modelli di supporto alla predisposizione degli Obiettivi di accessibilità, l’offerta dell’assistenza giuridica alle amministrazioni sull’applicazione delle norme in materia di accessibilità e le verifiche tecniche dei loro siti. Sul fronte dei controlli, poi, vi sarebbe il laboratorio di sperimentazione su usabilità e accessibilità nelle reti digitali in banda larga istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) presso l’Istituto Superiore delle Comunicazioni e delle Tecnologie dell’Informazione (ISCTI), per indirizzare verso concrete linee di sviluppo i percorsi riconducibili alla cosiddetta e-Inclusion .
Stante tutto ciò la questione dell’accessibilità rimane bloccata, forse anche per la mancanza di sufficienti strumenti tecnici in mano agli amministratori. Come sottolinea Federico Morando di Nexa Center for Internet and Society e lead di Creative Commons Italia, appare difficile da parte dell’amministratore IT della PA trovare modelli di riferimento da applicare: eppure con investimenti minimi la PA avrebbe l’occasione di “sviluppare opportuni moduli per CMS open source diffusi e con community molto attive, come Drupal o Joomla, certificando il rispetto della normativa, e stendendo linee guida per un utilizzo coerente con la stessa”.
Ora AGID avrà una nuova occasione per intervenire sulla questione: se rileverà la fondatezza della segnalazione FISH dovrà chiedere alla Camera l’adeguamento dei servizi erogati, assegnando un termine non superiore a 90 giorni per adempiere. E magari sarà l’occasione per trovare un metodo diverso (e più ampio) per approcciare in maniera pratica la questione, magari cercando di riformare la gestione dei sistemi informatici della PA ed adottando modelli aperti, sia come formati che nel senso della collaborazione con i cittadini-community.
Claudio Tamburrino