Roma – Standard, linee guida e progetti condivisi per lo sviluppo del software e dell’inclusione digitale dei portatori di disabilità: questi gli obiettivi del lungo lavoro di armonizzazione internazionale sull’ ergonomia del software , concetto centrale per l’accessibilità delle risorse informatiche. Su questi temi si sono confrontati a Venezia esperti nazionali ed internazionali, per dar vita alle norme ISO in materia. Per capire di più come tutto questo impatti sul mercato e sulle prospettive dello sviluppo del software abbiamo fatto il punto con Roberto Scano presidente di IWA/HWG e membro del gruppo di lavoro.
Punto Informatico: All’evento di Venezia c’erano diversi esperti internazionali in ergonomia del software, qual è l’obiettivo delle norme ISO sull’accessibilità?
Roberto Scano: L’ISO ha una serie di gruppi di lavoro che si occupano dell’ergonomia del software ed il gruppo di lavoro che si è riunito a Venezia si occupa principalmente dello sviluppo di norme dedicate all’ergonomia del software per le interfacce delle applicazioni – siano esse di applicazioni software, sistemi operativi, che interfacce delle applicazioni web-based. L’obiettivo di queste norme è quindi di fornire una serie di principi generali agli sviluppatori ed ai grandi produttori su come garantire l’accessibilità di tali interfacce a qualsiasi utente, indipendentemente dalle disabilità a cui è soggetto.
PI: Come possono “collaborare” le nuove indicazioni ISO con le future WCAG 2.0, le linee guida sull’accessibilità del W3C? Ci sono conflitti con gli standard americani in materia?
RS: Assolutamente no e per una serie di motivazioni. Innanzitutto come già detto in precedenza, le norme ISO contengono una serie di principi – ovvero non forniscono approfondimenti tecnici su come applicare un determinato principio. Questo significa, a titolo di esempio, che è fornita un’indicazione del tipo “garantire che le funzionalità siano indipendenti dal dispositivo di input”, senza entrare nelle tecniche di applicazione.
Va inoltre detto che all’interno di questo gruppo di lavoro vi è la presenza di tre esperti che operano anche nel WCAG Working Group: Gregg Vanderheiden, il sottoscritto e Luca Mascaro.
Per quanto riguarda invece la compatibilità con gli standard americani, anche questa è garantita dalla presenza di rappresentanti degli USA: importante quindi sono il contributo e l’esperienza di Gregg Vanderheiden e di Gregg Lowney (uno dei padri delle caratteristiche di accessibilità di MS DOS e Windows), risultate come essenziali per garantire una quasi totale compatibilità con lo standard ANSI HFES 200.2 che fornisce le medesime indicazioni per la normativa americana.
PI: Si parla molto di accessibilità ma gli strumenti informatici non sono spesso all’altezza. Ci sono portatori di disabilità, ad esempio, penso ai non vedenti in particolare, secondo cui solo nel mondo del software proprietario esistono soluzioni sufficienti a coprire le necessità di utilizzo di browser e altri software indispensabili. E’ vero? A tuo giudizio c’è sufficiente attenzione all’accessibilità nel mondo open source?
RS: Il problema sta proprio nel fatto che da tempo vo denunciando anche nei forum (non solo italiani): mentre nelle aziende “closed” vi sono delle policy aziendali per garantire l’accessibilità dei sistemi informatici, nel mondo “open” spesso non si è a conoscenza delle problematiche a cui possono incorrere degli utenti che utilizzano tecnologie assistive.
PI: Cosa intendi?
RS: Poniamo un semplicissimo caso di una finestra di dialogo in cui, ad esempio, l’ordine di tabulazione degli elementi non è corretto. Ciò causa all’utente l’impossibilità di compilare le informazioni richieste.
Altro esempio può essere legato alle barre degli strumenti (in cui spesso mancano etichette identificative), la mancanza di tasti di scelta rapida, l’uso di colori e caratteri non personalizzabili dall’utente, ecc. ecc.
Senza questa cultura di infoinclusione, nel nostro paese molti ottimi progetti open source avranno vita breve non solo nel settore della P.A. (in cui vige un obbligo per le interfacce web based ed un titolo di preferenzialità per quelle software) ma anche nel settore privato (con l’avvento delle nuove ISO sarà probabilmente avviata una sorta di “certificazione” delle applicazioni web…).
PI: E questo non creerà dei problemi? Le società di sviluppo software e gli sviluppatori indipendenti a tuo giudizio come risponderanno alle indicazioni ISO? Ne avete parlato?
RS: Il problema maggiore è innanzitutto di invitare i produttori di sistemi operativi al rispetto di tali principi e di fornire delle API per garantire agli sviluppatori di poter produrre applicazioni accessibili. Se uno sviluppatore utilizza le normali API per la generazione di testi, fornisce etichette identificative per le immagini, ecc. ecc. sicuramente avrà meno difficoltà nel sviluppare interfacce comunque accessibili all’utente con tecnologie assistive.
Queste norme non chiedono l’impossibile, ma chiedono chiaramente di garantire alcune caratteristiche di fruibilità, nonché di seguire un ragionamento logico quando si produce un’applicazione. Questo comunque già è fattibile in ambienti operativi come Microsoft Windows e sta migliorando i ambienti come Mac OSX e Linux che in questo settore però risentono della pioneristica iniziativa di accessibilità di Windows lanciata da Microsoft sin dalla versione 2.0 del suo sistema operativo.
Un ambiente cross-system che sta notevolmente migliorando sotto l’aspetto dell’accessibilità è Java.
Nei gruppi di lavoro ISO comunque vi sono larghe rappresentanze di esperti e di aziende del settore, oltre a realtà universitarie e di ricerca: a Venezia erano presenti realtà come Oracle, NEC, Oki, Fujitsu e la nazionale “Engineering SpA”.
PI: Esiste un problema di costi aggiuntivi per chi sviluppa software accessibile rispetto a chi non si pone il problema? Sviluppare software accessibili significa essere più competitivi?
RS: Non esistono costi aggiuntivi, in quanto sviluppare applicazioni accessibili significa rispettare le API di sistema, senza inventarsi interfacce “fatte in casa”. Ove il programmatore comunque desideri crearsi le proprie interfacce, dovrà garantire pari funzionalità e pari accessibilità rispetto alle applicazioni che utilizzano le routine di sistema.
Chi sviluppa applicazioni accessibili “a tutti” ha certamente il vantaggio di contare su un bacino di utenza superiore, nonché su un bacino di utenza garantito (ove i concorrenti non investano anch’essi in tali caratteristiche).
PI: E’ stato detto che sarà necessario aggiornare i requisiti tecnici di cui alla Legge Stanca in seguito alle novità. C’è chi dice che non siano di facile consultazione e applicazione, che ne pensi?
RS: Certamente alla pubblicazione ufficiale delle ISO discusse a Venezia (previste per dicembre 2006) e delle WCAG 2.0 (auspicate per giugno 2006) dovrà essere aggiornato il decreto.
Posso concordare che l’attuale decreto contiene alcune problematiche che purtroppo sono legate all’applicazione delle attuali WCAG 1.0 (come richiesto dall’Unione Europea).
Il caso più classico è il requisito 15 che richiede di garantire l’utilizzabilità della pagina anche in mancanza di script, applet, oggetti di programmazione. Questo era possibile nel 1999, anno di emanazione delle WCAG 1.0, ma non oggi che quasi tutto è incentrato su applicazioni “web based” con largo uso di scripting.
E a chi replica dicendo che tale requisito – come successo per altri – era meglio toglierlo, replico dicendo che è un punto di controllo WCAG 1.0 di livello 1, che quindi dovrebbe essere garantito da tutte le web-application presenti nel mercato che si dichiarano conformi alla singola “A” o alla “Doppia-A”.
PI: La Legge Stanca si rivolge principalmente ai siti di interesse pubblico, a tuo giudizio come procede l’applicazione della normativa in Italia?
RS: Attualmente procede a rilento, forse anche a causa di “correnti di pensiero” che anziché promuovere l’applicazione della legge preferiscono scovarne i “buchi” in questo modo purtroppo fornendo delle pericolose scappatoie alle amministrazioni pubbliche.
Allo stesso tempo però si vedono sempre più spesso sia amministrazioni centrali che piccole amministrazioni con nuovi siti web di qualità altamente superiore e soprattutto accessibili, ovvero si inizia chiaramente a diffondere anche nella P.A. l’idea che chi non commissiona il sito accessibile oppure utilizza la scappatoia dello sviluppo interno per utilizzare soluzioni non a norma è certamente qualcuno che non fa l’interesse del cittadino.
Ricordiamoci comunque che delle scelte dei funzionari delle P.A. poi ne risponde politicamente l’amministrazione: un’amministrazione che “aggira” una legge non da un buon esempio al cittadino, ed un cittadino che si sente escluso da una pubblica amministrazione potrebbe sempre rivolgersi a realtà quali il difensore civico per veder risolto il problema legato al diritto d’accesso (che comunque verrà risolto entro 2 anni grazie all’art. 54 del Codice della PA digitale).
PI: Quali sono i prossimi passi previsti per ISO in questo campo?
RS: Ci sono molti documenti aperti, tra cui posso citare l’accessibilità degli “everyday products”. L’ISO (e i gruppi nazionali, come il gruppo di lavoro dell’UNI) lavorano molto su questo settore, proprio per garantire un punto di riferimento alle aziende e alle nazioni che desiderano recepire i principi ISO all’interno di norme nazionali.
a cura di Paolo De Andreis