No, ACS:Law non può svignarsela alla chetichella dopo aver tuonato contro i presunti “pirati” del P2P trascinati a forza nei tribunali di Sua Maestà: la decisione del fondatore Andrew Crossley di ritirarsi dal business delle lettere minatorie, a caccia di compensazioni monetarie per reati tutti da dimostrare, non è una motivazione sufficiente per chiedere la dismissione dei 26 casi aperti contro altrettanti “pirati” del file sharing.
Lo ha deciso il giudice Birss della Patents County Court : dopo essersi in passato già detto “stupefatto” dalla condotta di ACS:Law e del “copyright troll” suo cliente MediaCAT , Birss ha ora stabilito la necessità di continuare con l’iter dei 26 casi suddetti fino alla loro naturale conclusione, qualunque essa sia.
Alla nuova udienza ACS:Law era presente con un nuovo avvocato, mentre MediaCAT non ha reputato necessario far partecipare nessuno in rappresentanza dei propri – supposti e mai dimostrati – interessi sul copyright dei contenuti scaricati “illegalmente”: i 26 casi di presunta violazione vanno avanti, ha deciso Birss, e i veri proprietari dei diritti d’autore contesi – qualora mai esistessero – hanno un altro paio di settimane di tempo per presentare le loro richieste alla corte.
Nel decidere la prosecuzione dei casi di presunto P2P illecito, il giudice Birss ha colto ancora una volta l’occasione per evidenziare le magagne delle pretese addotte dai legali dell’accusa (vale a dire le suddette ACS:Law e MediaCAT), la “straordinaria” mancanza di prove fattuali presentante al giudice e l’evidente intenzione dei protagonisti di “spremere” denaro dagli utenti accusati – attraverso le lettere minatorie – piuttosto che di proseguire con le cause legali in tribunale.
Birss ha inoltre contestato con gran forza l’assunto secondo cui un indirizzo IP sia sufficiente per scatenare una tempesta legale contro un utente accusato – magari senza motivo – di download illegale, un pronunciamento che minaccia di far cadere una nuova tegola sulle sempre più criticate strategie antipirateria in salsa britannica codificate nella legge nota come Digital Economy Act .
Alfonso Maruccia