Andrew Crossley voleva trasformare il file sharing non autorizzato in un business legale a tanti zeri, ma l’unico risultato che ha sin qui ottenuto è stato un giudizio impietoso sulle procedure e la plateale incompetenza dimostrata nel sottoporre il caso alla corte. ACS:Law , lo studio legale creato dal succitato Crossley come ideale continuazione del “business” delle lettere minatorie inventato da Davenport Lyons , è stato rispedito sui libri di scuola dal verdetto della England and Wales Patents County Court – specializzata nella gestione dei casi che riguardano la presunta infrazione di proprietà intellettuale.
Non bastasse lo scandalo delle email trafugate sui server dello studio, ACS:Law riceve un nuovo, durissimo colpo a opera del giudice, che si è rifiutato – dichiarandosi per di più “non dispiaciuto” di doverlo fare – di assegnare a Crossley il “default judgment” richiesto in una causa aperta contro 8 condivisori britannici.
Un default judgment viene concesso quando gli accusati non rispondono alla chiamata del tribunale e non si presentano in aula, ma nel caso in oggetto tale formula non si sarebbe mai dovuta evocare perché le cose sono andate molto diversamente rispetto a quanto sostenuto da Crossley .
Il giudice ha stabilito che il modus operandi di ACS:Law è irrimediabilmente fallato , prima di tutto perché in realtà a non rispondere alla chiamata del tribunale sono stati 2 imputati contro gli 8 coinvolti da Crossley. Una motivazione sufficiente, dice la corte, a screditare alla base una qualsivoglia presentazione di giudizio sommario.
Il caso aperto da ACS:Law è fallato perché non ci sono prove concrete del fatto che Media CAT – legale degli studi di produzione pornografica a sua volta rappresentato da Crossley – possegga effettivamente i diritti d’autore la cui infrazione viene contestata agli 8 condivisori incappati nelle grinfie dello studio legale.
C’è inoltre una ulteriore discrepanza fondamentale tra le pretese legali di ACS:Law e il sistema giudiziario britannico: Crossley pretenderebbe una “ingiunzione” contro gli abbonati le cui connessioni sono state usate, contro la loro volontà, per infrangere il sigillo del copyright, accostando il verbo “consentire” a quello “autorizzare” nell’uso del WiFi per il download a scrocco. Una simile pretesa è “semplicemente sbagliata”, ha stabilito il giudice.
“Il file sharing P2P che riguarda l’infrazione del copyright è una questione importante e seria”, ha sentenziato il giudice, e chi formula accuse di questo genere deve “usare l’intero apparato delle corti per far valere i propri diritti”. Ciò concesso, “la natura e le accuse” poste da ACS:Law “sono tali che sarebbe stato inopportuno concedere un giudizio sommario senza preavviso”. Crossley torni a studiare legge e si prepari alle imminenti indagini disciplinari sul suo operato, suggerisce la corte britannica.
Alfonso Maruccia