L’accordo anticontraffazione che paesi di tutto il mondo stanno negoziando è ancora tutto da inventare. Ma, assicurano la autorità statunitensi, mira a sconfiggere i grandi traffici transnazionali di merce contraffatta e non si insinuerà nella vita quotidiana dei cittadini. E si moltiplicano coloro che vogliono vederci chiaro, aziende comprese.
Il sospetto nei confronti del misterioso trattato, annunciato con pochi dettagli circa un anno fa, erano iniziati a strisciare quando, nei mesi scorsi, era trapelata su Wikileaks una bozza di un documento che testimoniava le intenzioni di USA, UE, Svizzera, Corea, Giappone, Messico e Nuova Zelanda di operare un giro di vite per la tutela della proprietà intellettuale. Al tavolo delle trattative, mostrava il documento, si ventilava di inasprire le pene per coloro che violassero il diritto d’autore, si meditava di far convergere in un nucleo anticontraffazione transnazionale attori afferenti a stato e mercato. Si dibatteva inoltre dell’eventualità di intensificare i controlli alle frontiere e di incoraggiare gli ISP a ritagliarsi un ruolo attivo per combattere la pirateria anche sul versante online.
Nei giorni scorsi si sono mosse un centinaio di associazioni: hanno rivendicato trasparenza, insospettite dal fatto che le negoziazioni in corso procedessero avvolte in una cortina di segretezza. Alla richiesta delle associazioni si sono accodate EFF e Public Knowledge : hanno denunciato l’Office of the U.S. Trade Representative ( USTR ) per aver sfuggito il confronto , per non aver rilasciato alcun dettaglio riguardo alle trattative, nonostante le richieste formulate dalle organizzazioni nei mesi scorsi sulla base del Freedom Of Information Act. “La mancanza di trasparenza in questa negoziazione è incredibilmente allarmante – ha spiegato Sherwin Siy, legale di Public Knowledge – qualsiasi forma assuma l’ACTA, possiamo stare certi che sarà impugnato per giustificare ulteriori leggi e accordi internazionali. Il testo dell’accordo deve essere reso pubblico per assicurare che non attenti ai diritti degli utenti, dei consumatori e dei cittadini di accedere alla conoscenza, all’informazione e ai contenuti”.
Tutto quello che le organizzazioni sono per ora riuscite ad ottenere è stato un confronto con lo USTR , un evento al quale hanno partecipato anche i rappresentanti dell’industria della rete, Google in prima linea . A rappresentare la Grande G, Johanna Shelton: ha sottolineato come una regolamentazione di quanto avviene in rete rischia di andare oltre l’intento del trattato , creando indubbie difficoltà ai fornitori di servizi online come Google. Shelton ha chiesto se nell’accordo fossero previste le esenzioni di responsabilità che la legge statunitense mette già in campo a favore delle aziende che operano in rete, fra le mani delle quali scivolano incessantemente prodotti che violano il diritto d’autore. Il riscontro da parte dello USTR è stato sibillino: “Non abbiamo ancora avuto una discussione approfondita riguardo al versante Internet – ha spiegato Stanford McCoy, rappresentante dell’istituzione – ma la nostra intenzione è quella di raggiungere un accordo che si inquadri appieno nella legge statunitense”. Jonathan Band, legale che ha rappresentato biblioteche e aziende che operano in rete, ha però avvertito: “C’è questa convinzione per cui si crede che quel che va bene per Disney vada bene per gli Stati Uniti, ma questa è una semplificazione. C’è da considerare anche quello che va bene a Yahoo e Google”.
C’è da considerare anche quel che è giusto per i cittadini, fanno indirettamente eco a quanto segnalato da Band le associazioni a tutela dei diritti dell’individuo: l’ACTA rischia di infiltrarsi nelle loro vite, di costringerli ad ancor più severe perquisizioni di dispositivi alle frontiere, di trasformare l’esperienza online in sessioni di navigazione monitorate. Se McCoy non può pronunciarsi riguardo alle implicazioni dell’ACTA per la rete, cerca di temperare le preoccupazioni riguardo al valico delle frontiere: “Assicurarsi che il personale delle dogane abbia l’autorità di effettuare controlli, non significa in nessun modo che siano tenuti a perquisire i lettori di musica o i PC dei viaggiatori”.
Lo USTR non ha rilasciato alcun documento ufficiale perché ancora non ne esistono: “Abbiamo molto lavoro da fare” ha ammesso McCoy. Nel mese di ottobre, a Tokio, è in programma il terzo incontro fra i paesi coinvolti nella trattativa.
Gaia Bottà