Il patto internazionale anticontraffazione e antipirateria, che fermenta sotto il nome di ACTA, impensierisce anche i più fermi difensori della proprietà intellettuale dell’industria dei contenuti: l’accordo, che potrebbe coinvolgere i provider nel tentativo di arginare lo scambio illegale di contenuti online, potrebbe intralciare i progetti che si coltivano negli Stati Uniti.
“Scriviamo per esprimere la nostra preoccupazione riguardo all’ampiezza delle questioni che potrebbe coprire e alla specificità con cui potrebbe essere scritto”: così il senatore Leahy e la senatrice Specter si sono rivolti a Susan Schwab, a capo dello US Trade Representative. ACTA, il patto anticontraffazione che si sta negoziando fra USA, UE, Svizzera, Corea, Giappone, Messico, Australia e Nuova Zelanda, non preoccupa solo le associazioni a tutela dei diritti civili, impensierite che dal trattato possano scaturire misure lesive della libertà dell’individuo, non si limita a scatenare l’apprensione delle aziende che in rete operano come intermediari, che temono che l’ACTA possa costringerle ad un’ingestibile vigilanza sui propri utenti. Sono le stesse istituzioni statunitensi a paventare che il patto antipirateria possa regolamentare con eccessiva rigidità un quadro ancora in via di definizione : l’ACTA potrebbe costringere gli ISP e i servizi online ad agire contro i propri utenti per arginare lo scambio di materiale che viola il copyright, potrebbe prevedere pene più severe per coloro che traffichino in merce contraffatta e creare autorità con poteri transnazionali che vigilino sul rispetto del diritto d’autore.
Quelli perseguiti con l’ACTA sono obiettivi senza dubbio condivisi dal senatore Leahy, anche gli strumenti per perseguirli sono affini a quelli che lo stesso senatore vorrebbe impugnare. Leahy è infatti il promotore dell’Enforcement of Intellectual Property Rights Act (EIPRA) che nei giorni scorsi è stato approvato dal Senato: l’EIPRA prevede che si istituisca un organo statale di coordinamento che armonizzi tutte le strategie per la lotta alla pirateria, qualcosa di analogo a quello che sembra delinearsi con l’ACTA a livello globale. È lo stesso senatore Leahy, paladino dell’antipirateria statunitense, ad invocare cautela: l’ACTA potrebbe legare le mani al legislatore , potrebbe imporre delle regolamentazioni transnazionali e inscalfibili, pregiudicando gli sforzi nei quali si stanno producendo le autorità statunitensi. “ACTA – questo il timore di Leahy e della collega Specter – prescriverà delle regole per la protezione del copyright in maniera così specifica che potrebbe impedire al Congresso di cambiare le proprie policy nel futuro”. La perplessità dei senatori “è aggravata in questo frangente dalla mancanza di trasparenza del negoziato e dalla rapidità con cui il processo si sta svolgendo”.
Non è tutto: i senatori si preoccupano del fatto che ACTA potrebbe sovrapporsi alle politiche che il Congresso sta ancora tentando di definire e suggeriscono che il patto rappresenti un’occasione per consolidare e coordinare le strategie antipirateria a livello globale, senza però sottrarre alle autorità locali la possibilità di legiferare. “Riguardo all’ampiezza di ACTA – chiedono i due senatori a Schwab – vi raccomandiamo di non permettere che l’accordo affronti la questione della responsabilità dei service provider e delle misure tecnologiche di protezione dei contenuti”. Il dibattito è ancora aperto nei tribunali, il Congresso ancora non ha preso posizione, spiegano i senatori: “Poiché la tecnologia non è statica, il Congresso deve avere la possibilità di modellare la legge su questi cambiamenti senza la preoccupazione che un eventuale cambiamento possa scontrarsi con l’ACTA”.
Tutto appare ancora in via di definizione anche al di qua dell’Atlantico e ACTA potrebbe abbattersi su cittadini e aziende imponendo loro un repentino cambiamento di pratiche e comportamenti. Se gli stati e le aziende seduti al tavolo delle trattative sembra siano interessati a coinvolgere i provider nel contrasto alla pirateria, la fattibilità e le modalità di un tale coinvolgimento sono ancora tutte da stabilire. Ci sono provider europei, dalla Danimarca al Regno Unito , che si sono fermamente opposti a impersonare il ruolo di vigilantes. In Belgio c’è un ISP, Scarlet, che dichiara l’ impossibilità di agire su utenti e su contenuti: condannato da un tribunale a bloccare l’accesso ai file condivisi illegalmente da parte dei propri utenti, Scarlet ha prima tentato di sostenere l’illegalità del provvedimento del tribunale, poi si è rassegnato a battere la via del rallentamento del traffico P2P, per poi scegliere Audible Magic . Il provider non può ora fare altro che pagare 2500 euro di multa giornaliera: le tecnologie implementate sono inefficaci , non permettono di bloccare i soli contenuti illeciti, non sono compatibili con le norme a tutela della privacy degli utenti. Coloro che siedono al tavolo della trattative per l’ACTA e discutono del ruolo dei provider non potranno esimersi dal confrontarsi anche con questo tipo di problematiche.
In questo quadro interviene anche Business Software Alliance : suggerisce che ad arginare la pirateria dovrebbero essere gli stessi cittadini della rete . BSA, spiega l’associazione in un report , ha inoltrato migliaia di richieste di rimozione a siti e aste in cui si vende software contraffatto: nella sola prima metà del 2008, delle 782.832 richieste totali sono state 48.000 quelle relative a file torrent, 18.314 quelle mirate a interrompere delle aste. Dovrebbe però essere l’utente stesso a diffidare e a scegliere software originale: acquistando online prodotti contraffatti, spiega BSA, si rischia di ottenere un servizio incompleto o inservibile. Il fatto che BDSA sostenga questa posizione non ha impedito però all’associazione di partecipare alla fase di negoziazione dalla quale scaturirà ACTA, e di proporre una stretta collaborazione tra industria e ISP per far valere i diritti dell’industria del software.
Gaia Bottà