Il nuovo dibattito sull’advertising online e i cosiddetti adblocker si è acceso di nuovo fuoco a causa di PageFair, società specializzata nella realizzazione di tecnologie “anti-adblocker” che dice di aver fatto i conti in tasca a Google . E di aver scoperto che Mountain View ci perde miliardi, con gli adblocker, e nonostante questo ne finanzia lautamente lo sviluppo futuro.
Google paga uno strumento anti-pubblicitario molto popolare come AdBlock Plus per far parte della whitelist del tool, come è noto , sborsando una cifra ignota ma che per PageFair ammonta a 25 milioni di dollari: grazie a questa somma, gli sviluppatori di AdBlock Plus possono continuare a investire nel software promuovendo la stessa “filosofia” del blocco dell’advertising.
Una filosofia che a Google costa, sempre secondo PageFair, 6,6 miliardi di dollari di perdite. La società non è particolarmente felice dell’esistenza degli adblocker, come le policy dello store Play dimostrano , e ancor meno lo sarà se Adblock Plus continuerà sulla strada dell’ annunciato browser “anti-pubblicitario” per Android.
I pubblicitari hanno provato a fermare Adblock Plus per vie legali fallendo su tutta la linea , mentre le cose potrebbero farsi complicate sul fronte mobile con l’arrivo della versione 9 di iOS: la prossima release dell’OS mobile di Cupertino include la <a href="https://developer.apple.com/library/prerelease/ios/releasenotes/General/WhatsNewInSafari/Articles/Safari_9.html#//apple_ref/doc/uid/TP40014305-CH9-SW9
” target=”_blank”>funzionalità Content Blocking Safari Extensions , che secondo Apple permetterà di realizzare estensioni per Safari in grado di bloccare il caricamento di cookie, immagini e altre risorse Web.
Con la nuova API la versione iOS Safari cambierà in maniera radicale il modo di funzionare degli adblocker, avverte Adblock Plus , e la cosa potrebbe portare alternativamente al miglioramento drastico del funzionamento del tool o alla sua effettiva estinzione. Chi invece la vede completamente nera è l’industria dell’editoria e dell’advertising, che denuncia la mossa di Apple – che diversamente da Google non fa i soldi con la pubblicità e se ne vanta – come una pietra tombale sugli sforzi di monetizzazione delle aziende di settore nel già difficilissimo panorama mobile.
Alfonso Maruccia