Le soluzioni per fruire di un Web epurato dalla pubblicità si moltiplicano, a supporto delle motivazioni di utenti infastiditi o impensieriti dall’advertising che li bersaglia, ma soprattutto a favore di un sistema di blocchi e stratificazioni di pubblicità sostitutive che assume sempre di più le sembianze di un mercato. L’intransigenza delle soluzioni di blocco per adblocker invocate da editori e inserzionisti non paga, con le sue barriere che i netizen si limitano ad ignorare. Il report annuale stilato da PageFair, che opera a supporto del mercato pubblicitario online turbato dall’ascesa degli adblocker, offre i numeri e suggerisce una soluzione, quella di riformare il panorama pubblicitario affinché gli utenti tornino ad accoglierne i contenuti.
L’ analisi dello scenario dell’adblocking nel 2016 tracciata da PageFair non fa che confermare le tendenze rilevate in passato , accentuate dallo sdoganamento degli adblocker tanto in termini legali , quanto soprattutto in termini di accettazione da parte di diversi anelli della catena del valore del Web, che hanno recepito le soluzioni di adblocking quali funzioni da offrire ai propri utenti.
La diffusione degli adblocker cresce del 30 per cento nel 2016: alla fine del 2016, stima PageFair, su 615 milioni di dispositivi erano attivi degli adblocker. Il 62 per cento di questi dispositivi, 380 milioni, è costituita da smartphone e tablet : nel 2016 sono 200 milioni in più gli adblocker installati su dispositivi mobile. Si tratta di una adozione che procede a ritmi molto più sostenuti rispetto alla controparte desktop, che conta 236 milioni di dispositivi con installati degli adblocker, a fronte dei 232 milioni di fine 2015. Le motivazioni dell’esplosione dell’ adblocking in ambito mobile , suggerisce PageFair, sono da ricercare nelle tendenze del mercato asiatico , soprattutto presso i paesi emergenti come India e Cina, dove si sono affermate partnership fra gli sviluppatori di soluzioni di adblocking e i produttori e i distributori di dispositivi mobile, che laddove la banda dati è preziosa e le infrastrutture languono, intendono offrire ai propri utenti un’esperienza di navigazione più fluida, senza le zavorre della pubblicità. Nulla vieta che le stesse dinamiche di mercato si affermino anche in Europa o negli States, avverte PageFair: l’adozione di massa in queste aree “continuerà in maniera organica, ma potrebbe accelerare in maniera inaspettata se i produttori o i distributori stringeranno accordi per la preinstallazione di software di adblocking”.
Per quanto attiene i numeri, nel report si stima che a livello globale i servizi di adblocking siano stati adottati dall’ 11 per cento della popolazione connessa . L’area di massima diffusione e quella dell’Europa occidentale, in cui il 20 per cento dei netizen blocca l’advertising (20 per cento su desktop; 1 per cento su mobile), seguita dal 18 per cento del Nordamerica (18 per cento desktop; 1 per cento mobile), mentre in terza posizione si collocano l’Asia e i paesi che si affacciano su Pacifico, con una penetrazione del 16 per cento (3 per cento desktop; 16 per cento mobile). In Europa centrale e orientale si rileva che il 12 per cento dei netizen ne fa uso (12 per cento destop; 1 per cento mobile), mentre in America Latina e Africa la percentuale di adozione è rispettivamente del 7 e del 2 per cento. L’ Italia si colloca al di sopra della media globale, con il 17 per cento degli utenti desktop che impiega soluzioni per arginare la pubblicità, e l’1 per cento degli utenti che blocca l’advertising su dispositivi mobile.
Per contestualizzare i dati rilevati, PageFair offre altresì uno spaccato sul panorama statunitense, adottando un approccio qualitativo e intervistando 4626 utenti. Interrogati sulle motivazioni all’uso dei blocchi, la sicurezza è risultata la preoccupazione citata dai più, insieme ai fastidi di una pubblicità che interrompe la fruizione dei contenuti . Il lento caricamento dell’advertising, che appesantisce le pagine consultate, insieme alla saturazione del campo visivo, sono altre due delle motivazioni che spingono all’impiego di adblocker, seguite dall’apprensione rispetto al tracciamento, che potrebbe attentare alla privacy.
Nel contempo, PageFair ha sondato l’atteggiamento dei netizen statunitensi rispetto ai cosiddetti adblock wall , blocchi eretti dai gestori dei siti, ormai diffusi al punto che il 90 per cento degli intervistati vi si è imbattuto almeno una volta. La loro reazione? Il 74 per cento preferisce abbandonare il sito e non rinunciare al proprio adblocker: i contenuti, evidentemente, rappresentano l’aspetto dirimente in questa scelta, e se ciò che offre il sito Web non ha carattere esclusivo il netizen non esiterà a rivolgersi altrove.
Le motivazioni che risiedono alla base dell’impiego di adblocker, sommate alla reazione dei netizen agli adblock wall, spinge PageFair a trarre delle conclusioni sulle prospettive per il mercato dell’advertising, e di conseguenza sul proprio operato e sulla propria proposta ai clienti: il muro contro muro che persegue certa parte dell’industria dell’advertising rischia di essere inefficace, ed è necessario tornare a proporre ai cittadini della Rete un tipo di pubblicità meno invasiva e di maggior valore , che possa scavalcare i filtri cognitivi dell’utente senza intralciare la fruizione dei contenuti. I tradizionali banner statici, la pubblicità video che si può interrompere, l’advertising nativo, spiega PageFair, sono canali tollerati dal pubblico a differenza dell’advertising audio che irrompe nel corso della lettura e dei video che infarciscono i contenuti e che l’utente è costretto a sorbirsi. Secondo PageFair e secondo un’industria dell’advertising che è disposta a rimettersi in discussione , è proprio da questi elementi che è necessario ripartire per ripensare il mercato pubblicitario online. Soprattutto in un momento in cui numerosi attori dell’adblocking hanno apertamente dichiarato l’ ambizione di sviluppare un mercato pubblicitario parallelo.
Gaia Bottà