Fatevelo un ultimo giro su Google+. Io l’ho fatto. L’ho fatto per ricordarmi cosa fosse stato, perché sia arrivato a questo 2 aprile 2019 con la bandiera bianca in alto, per valutare se ci fosse qualche raro contenuto da salvare o forse anche solo per onorare quei 796 follower che non avevano notizie di me da molto tempo. Una cosa salta all’occhio evidente, rumorosa e fastidiosa sfogliando il social-network-che-non-lo-è-mai-stato: ci sono i gattini, ci sono le condivisioni, ci sono i like, ma non ci siete voi. Non ci siamo noi.
Gli utenti c’erano, ma erano stati catapultati in questa dimensione a seguito di un trucchetto legato ai Google Account; le connessioni c’erano ma erano nate in modo affrettato e spesso innaturale; i contenuti c’erano, ma mancava del tutto l’intimità, la persona dietro l’avatar, l’umanità dietro l’account. Il “networking” non rifletteva alcuno schema “social”: era soltanto un’immagine farlocca e posticcia, nella quale nessuno avrebbe mai potuto rispecchiarsi.
Google Plus è un’immagine in negativo di qualcosa che avrebbe voluto essere, che non è mai stato, che mai avrebbe potuto diventare. Tra poco qualcuno toglierà la spina, qualche dipendente che ci aveva creduto coltiverà il suo ultimo rammarico, ma nel frattempo milioni di persone saranno su Facebook per gattini, condivisioni e like. Il social networking è altrove.
Quel che non è stato Google Plus
Google Plus ha il profumo alcalino del prodotto di laboratorio, ha il profilo schematico del progetto teorico e ha la struttura asettica dell’esperimento senza coraggio. Non bastava riadattare l’idea di Facebook per superare Facebook e, se la cosa poteva sembrar chiara fin dal principio, per un attimo è stata in piedi l’illusione per cui una chance questo “plus” potesse averla.
Ma era tutto troppo posticcio per essere vero. La cavalcata all’inseguimento di Zuckerberg era più che altro una corsa a recuperare quell’attenzione che Facebook stava facendo propria e l’idea di far nascere un social network a Mountain View altro non era se non la maccheronica imitazione di un qualcosa che non si era mai davvero capito. Ma del resto il social networking non fa parte del DNA di Larry Page e Sergey Brin, probabilmente nemmeno dell’attuale Pichai, perché in fondo non fa parte della vocazione di Google. Le possibilità di successi di Google nel social networking sono pressoché le stesse di quelle di Facebook tra i motori di ricerca, con la differenza che Zuckerberg ha virato altrove le proprie attenzioni mentre Google si lasciò trascinare nell’errore.
Fu panico, o forse eccessiva ambizione, o chissà quale mai compresa strategia, a portare Google in questo vicolo cieco. Oggi, prima che chiudano tutto entro poche ore, fatevi un giro su quel che rimane di Google Plus. Là dove il “Google con la +” è diventato un “Google con la -“, oggi rimangono soltanto condivisioni, adii, collezioni abbandonate e post destinati all’oblio (G+ rimarrà vivo soltanto nell’ignota versione enterprise).
Fateci un ultimo giro. Si può imparare molto dai fallimenti. Google ha riconosciuto il proprio in ritardo, lasciandolo affondare dopo l’urto con una vulnerabilità. La realtà è che Google può far tranquillamente a meno del social networking , o quantomeno ha la forza per poter evitare di inseguire avventure altrui.
Addio G+. Fateci un ultimo giro, perché tra poco spegneranno la luce. L’ultimo chiuda la porta.